La riorganizzazione degli equilibri nella politica italiana è affidata in parte alla tattica di brevissimo periodo, quella della campagna “mascherina all’aperto sì e ancora” versus “mascherina all’aperto no già da ora” che in queste ore Lega e Fratelli d’Italia cavalcano agevolmente non avendo altri argomenti cui aggrapparsi; in parte, invece, è affidata alla strategia spalmata su una prospettiva di più ampio periodo, scavalcando temporalmente il secondo anno pandemico e proiettandosi in quel 2022 in cui si terrà l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e le scandenze politiche di governo verranno al pettine.

Le destre si agitano nel torbidume di un negazionismo covidiano appena sussurrato, celato dietro l’ufficiale accettazione di ogni parametro scientifico, per esaltare la voglia di “normalità” che un po’ tutti agognamo, giocando su due sponde: dall’opposizione con attacchi alla sovrapposizione europea nei confronti dell’Italia, ma evitando con accuratezza di criticare oltremodo gli aiuti alle imprese che sponsoreggeranno i leader sovranisti; dalle parti del governo di unità nazionale, dove convivono così tante differenze da annullare ogni convincimento nell’esistenza di una ancora timida visione ideologica della società.

I sondaggi, potente arma di condizionamento delle percezioni dei consensi delle varie forze politiche nel Paese, parlano chiaro: il centrodestra ha tutte le carte in regola per vincere sia la tornata elettorale delle amministrative autunnali, sia per essere protagonista il prossimo anno sia a Palazzo Chigi sia al Quirinale. Se Mario Draghi dovesse rimanere Presidente del Consiglio, qualcuno sarebbe certamente tentato dal proporre Silvio Berlusconi al colle più alto della Repubblica. Il ritorno in campo del “federatore“, come ai tempi del Popolo delle Libertà, è tempestivo e ben calcolato: il cavaliere ha bisogno, per essere ago della bilancia in una bussola apparentemente impazzita, di fungere da collante, con una Forza Italia decrepita rispetto agli ingloriosi anni della gloria post-tangentopolizia, ma pur sempre utile alla bisogna.

Gli avversari sono impreparati ai compiti che li dovrebbero attendere: il PD cerca un’anima di sinistra che ha disperso da tempo nel nome del governismo ad ogni costo, scordando i fondamentali della simbiosi tra diritti sociali e diritti civili, tra libertà strutturali (dal bisogno economico per la povera gente e gli sfruttati) e libertà sostanziali anche se fisiognomicamente formali. I tentativi di Letta di recuperare al Partito democratico un ruolo di riferimento per quella gran parte di popolazione (ed elettorato) che, in alternativa, avrebbe votato Cinquestelle con piglio ribellista, sono già privi di senso ancor prima di formulare una proposta politica alternativa alle destre.

L’effetto “incoerenza” è pur vero che lo si legge sempre e soltanto da sinistra verso destra; ma è anche vero che non è la prima volta che il PD governa o ha responsabilità istituzionali di alto livello unitamente a forze di destra, e pure di estrema destra. L’emergenza coronavirus ha la sua responsabilità fino ad un certo punto: richiama la “responsabilità” di quella che un tempo sarebbe stata definita una “forza di massa” che rispecchia il Paese. Ma oggi esiste davvero una forza politica che possa dichiararsi espressione del sentire comune, di interpretare anche parzialmente i bisogni, la rabbia, gli umori e persino l’alta sfera dei desideri di una gran parte della popolazione?

Possono aspirare a questo posto di primazia Lega e Fratelli d’Italia, pur contendendosi gli elettorati molto simili (o se non altro le pulsioni xenofobe, identitarie, neonazionliste che li muovono e dalle quali sono mossi), che insieme fanno quella consistenza politica che un tempo avevano davvero i grandi partiti di massa: DC, PCI, lievemento meno il PSI, pur provenendo da una storia ancora più antica dei due suoi surclassatori.

I Cinquestelle, da principio rivoluzionario, scardinatore delle istituzioni corrotte, ente morale e civile capace di fare del Parlamento e dei palazzi qualcosa di altro da sé stesso, immaginando una orrorifica democrazia tutta telematica, possibile solamente nei romanzi di fantapolitica, per trovare una sorta di continuità con il futuro della leadership contiana, si sono lasciati condizionare a trecentosessanta gradi dalla politique politicienne fino a negare ciò che fino a poco tempo fa avevano giurato di essere in eterno. La missione del movimento, ammesso che realmente ne esistesse una che non fosse quella di indirizzare il malcontento popolare verso sé stesso con tutte le doti populistico-comiche delle origini, sembra più concreta oggi rispetto a dieci anni fa.

I contorni sono più nitidi se si prescinde dal draghismo, dall’unità nazionale, dalla pandemia: cosa vogliano Lega, Fratelli d’Italia, PD e Cinquestelle è chiaro solo se si osserva la politica del Paese dal punto di vista prospettico della mera azione di governo. I poli restano congelati, i partiti si parlano in vista delle amministrative autunnali, ma da un lato garantiscono la “non belligeranza” reciproca, dall’altro si giurano fedeltà al secondo turno nei ballottaggi, per evitare giochi al massacro che finirebbero per annientarli nel confronto-scontro con il polo alternativo.

Dal tripolarismo inaugurato con l’avvento del grillismo, senza nessuna particolare e circostanziata voglia di ritorno ad un tonico per la democrazia, la legge elettorale proporzionale e la restituzione al Parlamento – quanto meno – della piena rappresentanza diretta datagli dalla delega popolare, siamo tornati ad un bipolarismo con tanti satelliti gravitanti attorno ai blocchi egemoni: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia da un lato, PD Cinquestelle e moderati di sinistra dall’altro. In mezzo una Italia sempre meno Viva, che almeno per istintiva coerenza si spinge più verso destra rispetto all’asse giallo-rosa (o rosso che dir si voglia).

Della scomparsa della vera sinistra, quella di alternativa, si è già fin troppo parlato. Ma non ci si può nascondere dietro corsi e ricorsi storici, dicendo che praticamente ci siamo ampiamente autoanalizzati e che quindi il momento è quello che è, e perciò niente si può fare se non stare a guardare. Chi propone di saltare dei giri, chi sentenzia – come ha fatto Norma Rangeri su “il manifesto” – che l’Italia sarebbe un paese di destra (rispolverando un vecchio cliché che censura le discussioni nel merito) quasi irrimediabile, forse dimentica che non un paese non è mai immutabile, ma segue dei cicli di sviluppo economici che ne condizionano la vita in tutto e per tutto.

Se poi, le cosiddette sinistre che sono giunte fino a noi, a far data dalla fine del PCI non hanno fatto – tra l’altro – se non spingere per una torsione maggioritaria della vita politica italiana in tutto e per tutto, propalando idee di successo personale, un neorampantismo dalle sembianze americaneggianti, provando a far sognare gli italiani col mito devastante delle privatizzazioni nel nome della “modernità” unita alla sacralità della “governabilità” (e viceversa), allora si potrà forse capire non solo come mai non esista in questa Italia quasi post-Covid una sinistra di alternativa, ma nemmeno più una sinistra moderata, socialdemocratica degna di questo appellattivo.

Quasi tutti i valori su cui si era retta la sinistra comunista e socialista sono stati dichiarati anacronistici, di impiccio, degli accidenti sulla strada della rispettabilità ricercata per accedere alle stanze dei bottoni, per dirigere il Paese col plauso degli imprenditori e dimenticando sempre più, anno dopo anno, legislatura dopo legislatura, i diritti dei lavoratori sepolti sotto controriforme aberranti che hanno impauperito la società, l’hanno resa schiava oltre che del profitto anche delle sue più recondite paure. Il revanchismo sciovinista, maleodorante di fascismo di nuovo millennio, abbandonate le rivendicazioni secessioniste e riportando in auge la fiamma tricolore, ha avuto gioco facile nel diventare primo e secondo partito nei sondaggi di oggi.

Dalla scelta antivaloriale e antisociale aperta dalla sinistra moderata che ha negato sé stessa, ai Cinquestelle che hanno tradito la loro “rivoluzione” per interpretarla da posizioni di governo e di potere, il salto di specie della politica italiana verso la destra liberista che si adatta liquidamente ad ogni fattispecie di situazione, il passo è risultato veramente breve. Tutto è funzionale alla ricalibratura del capitalismo italiano. Ma proprio tutto. E quasi tutti.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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