Nonostante la pandemia continuano sfratti e gentrificazione nella capitale tunisina. La denuncia delle responsabilità del governo e l’appello alla solidarietà locale e internazionale
Alle 5:30 del 27 maggio, ad Ariana, agglomerato urbano alle porte di Tunisi, la polizia in assetto antisommossa irrompe nella casa di Mehrezia Trabelsi Idrissi, 86 anni, per sfrattare con la forza lei, le sue due figlie e la nipote adolescente.
In piena pandemia, all’alba, una famiglia cacciata dalla propria casa in cui viveva dal 1960 per fare spazio alla speculazione e al profitto. Sin da subito non manca l’enorme solidarietà popolare, sostenuta da diverse associazioni, organizzate in un comitato di sostegno, che allestiscono un presidio permanente al di fuori dell’abitazione.
Anch’esso prontamente attaccato sempre in serata dalla polizia che però non riesce in alcun modo ad arrestare il moto di partecipazione popolare che resta ancora oggi accanto alla famiglia di Mehrezia.
Nel frattempo, la sezione dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti, rappresentata da Soha Ben Slama, che è anche coordinatrice del Tribunale Internazionale degli Sfratti (Ite), ha lanciato l’allarme con un Appello alla solidarietà assieme alla Plateforme Tunisienne des Alternatives, del Comitato di sostegno a Nonna Mehrezia.
GENTRIFICAZIONE E DIRITTO ALLA CASA IN TUNISIA
Ma facciamo un passo indietro, perché la storia dello sfratto ad Ariana parte da lontano e si lega a processi speculativi avviati da diversi anni nell’area urbana all’interno e a ridosso di Tunisi. «Questo dell’Ariana è un quartiere popolare che sta subendo una forte gentrificazione, portata avanti da nuovi possidenti tunisini (spesso nemmeno così nuovi, in realtà, perché legati a vecchi apparati di potere risalenti all’epoca di Ben Ali come nel caso del proprietario in questione) e stranieri che approfittano dei prezzi bassi di case vecchie per cambiare fisionomia a interi pezzi di città, espellendo gli abitanti storici appartenenti alle classi popolari», racconta Ranya, la nipote di Nonna Mehrezia.
Lo sfratto è arrivato dopo una serie di passaggi di proprietà rispetto ai quali l’inquilina avrebbe avuto il diritto di prelazione, secondo la legge tunisina, ma non le è stato mai proposto di acquistare l’immobile da un passaggio di proprietà all’altro.
Dopo diversi tentativi non riusciti di allontanare la famiglia di Mehrezia in passato, l’ultimo proprietario, grazie a una pressante azione presso la polizia e le autorità locali è riuscito ad ottenere lo sgombero con l’uso della forza pubblica.
Forte anche di un procedimento giudiziario in cui l’avvocato della famiglia non ha fatto valere i diritti dell’inquilina e il giudice non ha ritenuto prove valide le ricevute del pagamento degli affitti e delle utenze. La famiglia Trabelsi Idrissi ha denunciato un pesante clima minatorio scatenato dal proprietario nei loro confronti, confermato anche dagli abitanti del quartiere che si sono da subito schierati dalla loro parte.
Circostanza resa evidente dalla solidarietà di un fabbro della zona che si è rifiutato di cambiare la serratura alla casa, su richiesta sempre del proprietario, ed è subito andato ad avvertire la famiglia di quello che stava succedendo.
In questo clima lo sfratto del 27 maggio è avvenuto in maniera illegale, senza alcun preavviso e in assenza di una comunicazione formale e dell’ufficiale giudiziario. La violenza di questo sfratto, come altri sfratti in molte regioni della Tunisia, è figlia della speculazione fondiaria e di un processo di gentrificazione avviato nel centro di Ariana, in cui al posto delle vecchie case, che sono tra l’altro una memoria storica dell’interculturalità dell’area (in cui vivevano ebrei, francesi, italiani e greci) si vogliono costruire centri commerciali e complessi residenziali.
La conseguenza più terribile è la messa in pericolo di nonna Mehrezia e delle sue figlie. «Purtroppo adesso la nonna e le sue due figlie sono malate di Covid-19», aggiunge Soha Ben Slama.
L’IMPORTANZA DELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
La violenza della polizia e le mancate risposte delle istituzioni hanno però generato un’ondata di solidarietà, con la formazione di un comitato popolare, composto da attivisti e diverse associazioni, che ha organizzato un presidio permanente ancora in corso dinanzi la casa della signora Mehrezia. Nei prossimi giorni ci sarà un’evoluzione della protesta con altre iniziative che mirano a tenere alta l’attenzione sulla vicenda.
La forza della solidarietà ha avuto anche il merito di sollevare la questione all’interno dell’opinione pubblica tunisina, coinvolgendo diversi attori della società civile, come dimostra l’appello pubblico di denuncia lanciato da decine di artisti e operatori culturali.
«Ora però, per riuscire a ristabilire il diritto alla casa della signora Mehrezia Trabelsi Idrissi e della sua famiglia, è necessaria una mobilitazione a livello internazionale che possa mettere pressione al governo tunisino e alle autorità locali», sottolinea Cesare Ottolini, coordinatore globale dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti.
«Far conoscere questa storia al di fuori della Tunisia è fondamentale per ottenere dei risultati se pensiamo anche che, nonostante l’appello lanciato a marzo dello scorso anno dalla sezione tunisina dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti, in collaborazione con la sezione tunisina di Médecins du Monde Belgique, sottoscritto da una sessantina di associazioni, per una moratoria degli sfratti durante la pandemia, purtroppo il governo tunisino non ha attuato nessun provvedimento a riguardo e lo sfratto ad Ariana sta lì a dimostrarlo».
Oggi il clima politico in Tunisia non è quello di quando nel 2013, sull’onda del social forum di Tunisi, fu lanciata, su iniziativa dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti, la prima assise del diritto alla casa che propose, in particolare, il riconoscimento del diritto alla casa nella nuova Costituzione allora in discussione.
Ma le mobilitazioni in questi anni non si sono mai fermate, come conferma la pronta reazione in opposizione allo sfratto della signora Mehrezia. Per dare forza a queste lotte, però, è ora necessaria la solidarietà al di fuori dei confini tunisini. Innanzitutto sostenendo l’appello, lanciato dall’Aia, e sottoscritto finora da oltre un centinaio di associazioni, personalità ed esperti, tra le quali la Ligue Tunisienne des Droits de l’Homme (Ltdh), l’Union Général du Travail Tunisie (Ugtt) e l’Association Tunisienne des Femmes Démocrates (Atfd).
È già pronto un dossier da inviare al Relatore speciale Onu sul diritto alla casa affinché intervenga per chiedere al governo tunisino di rispettare le normative internazionali. Ricordiamo infatti che la Tunisia ha ratificato nel 1969 il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che garantisce all’articolo 11 il diritto alla casa per tutte e tutti e all’articolo 12 il diritto alla protezione della salute.
Entrambe le cose sono state negate alla signora Mehrezia Trabelsi Idrissi e alla sua famiglia, sfrattata in piena pandemia ed esposta in tal modo al pericolo di contrarre la Covid, cosa purtroppo avvenuta qualche giorno fa.
«Vogliamo che la resistenza di Mehrezia dia voce forza alle moltissime altre persone, specialmente donne, che stanno vivendo nel silenzio delle autorità il dramma dello sfratto, impossibilitati dalla crisi a pagare gli affitti e i mutui», conclude Soha Ben Slama.