La crisi bellica con l’Azerbaigian per il controllo della regione contesa del Nagorno-Karabakh, autoproclamatasi indipendente con il nome di Repubblica dell’Artsakh, ha provocato anche un’importante crisi politica in Armenia, dove il primo ministro Nikol Pashinyan è stato accusato di aver tradito gli armeni dell’Alto Karabakh. Lo scorso mese di aprile, Pashinyan è stato costretto alle dimissioni, portando così all’indizione di elezioni legislative anticipate per il 20 giugno.
La tornata elettorale ha fatto registrare un’affluenza alle urne al di sotto del 50%, pari al 49,43%, ma in linea con quella del 2018. Il dato è stato molto più elevato nelle regioni di confine con l’Azerbaigian, dove la situazione di tensione tra i due Paesi caucasici ha spinto la popolazione a recarsi alle urne.
Nonostante le pesanti accuse rivolte nei suoi confronti e le proteste popolari che si sono susseguite dopo l’accordo tra Baku ed Erevan, raggiunto grazie alla mediazione di Vladimir Putin, Nikol Pashinyan è uscito vincitore da queste elezioni legislative. Il primo ministro in carica si è presentato sotto l’egida di Contratto Civile (K’aghak’atsiakan paymanagir, KP), un’organizzazione nata nel corso della cosiddetta rivoluzione di velluto del 2018, abbandonando l’Alleanza “Il Mio Passo” (Im Kaylə Dashink’, IKD), sciolta nel mese di maggio, con la quale aveva vinto le precedenti elezioni. La lista di Pashinyan ha ottenuto il 53,96% delle preferenze, conquistando 72 seggi sui 105 che comporranno il nuovo emiciclo di Erevan, un numero più che sufficiente per garantirsi la maggioranza assoluta, nonostante un calo di sedici deputati.
Entra in parlamento la nuova forza Alleanza Armenia (Hayastan dashink’), recentemente fondata dall’ex presidente della Repubblica dell’Artsakh Robert Kocharyan, che diventa la seconda forza politica dell’ex repubblica sovietica con il 21.06% delle preferenze e 27 seggi. Positivo anche il riscontro dell’Alleanza “Io Ho Onore”, guidata dall’ex capo del servizio di sicurezza nazionale Artur Vanetsyan e dall’ex presidente Serzh Sargsyan, che guadagna sei rappresentanti con il 5,23% dei consensi.
Escono di scena, invece, due forze importanti della precedente legislatura. Innanzi tutto, il Partito dell’Armenia Prospera (Bargavatch Hayastan Kusaktsut’yun, BJK) di Gagik Tsarukyan, che di seggi ne aveva ben 26, ma che si ferma questa volta al 3,96%, mancando dunque la soglia di sbarramento del 5%; e, in secondo luogo, Armenia Luminosa di Edmon Marukyan, che ottiene solo l’1,22% e perde tutti i suoi 18 scranni.
“Il popolo armeno ha fatto la sua scelta, è successo quello che era stato previsto. E abbiamo previsto che durante queste elezioni il popolo armeno avrebbe ottenuto la vittoria, e questo è successo“, ha dichiarato Pashinyan in seguito alla pubblicazione dei primi risultati. “È già chiaro che il partito del Contratto civile ha ottenuto la maggioranza in parlamento. Tutti i voti non sono ancora stati contati, ma è chiaro che avremo una maggioranza convincente“, ha aggiunto.
Pashinyan ha anche affermato che intende avviare consultazioni politiche “con tutte le forze sane che hanno preso parte alle elezioni per comprendere la loro visione della vita politica dell’Armenia“. Il premier armeno ha anche espresso gratitudine nei confronti del presidente russo Vladimir Putin e del primo ministro Michail Mišustin per il sostegno fornito all’Armenia: “Esprimo la mia gratitudine alla Federazione Russa, al presidente russo Vladimir Putin e al primo ministro Mikhail Mišustin per il sostegno che ha fornito all’Armenia e al popolo armeno in questa situazione“, ha affermato.
Il Cremlino ha commentato le elezioni legislative armene attraverso le parole del portavoce Dmitrij Peskov: “Ci auguriamo che questa scelta del popolo armeno lo aiuti a far fronte alle difficoltà che il Paese sta vivendo ora e a raggiungere la traiettoria dello sviluppo sostenibile, […] In particolare attraverso l’attuazione di accordi trilaterali che sono stati raggiunti e firmati con la partecipazione del presidente russo”.
Il ministro degli Affari Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, ha mostrato maggiore prudenza, affermando che per il momento è difficile prevedere quale impatto le elezioni armene avranno sulla disputa del Nagorno-Karabakh. “Crediamo che l’accordo trilaterale che ha fermato la guerra, così come il secondo accordo trilaterale che ha dato il via al processo di concordare forme concrete di creazione di attività economiche e la revoca del blocco stiano lavorando nell’interesse di tutte le parti interessate”, ha comunque commentato.
“Ci auguriamo che i risultati del processo elettorale dopo la loro elaborazione legislativa incoraggino lo sviluppo dell’Armenia, l’ulteriore rafforzamento dei legami russo-armeno e promuovano la pace, la sicurezza e la stabilità nell’intera regione del Caucaso meridionale, prima di tutto, in termini di completa l’attuazione delle dichiarazioni trilaterali dei leader azerbaigiani, armeni e russi del 9 novembre 2020 e dell’11 gennaio 2021“, ha invece dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Marija Zacharova.
Non sembra invece convinto del risultato elettorale il nuovo leader dell’opposizione, l’ex presidente dell’Artsakh Kocharyan, che, come detto, ha visto la sua forza politica classificarsi al secondo posto. Vaghe Akopian, leader del partito Armenia Risorgente, che fa parte dell’Alleanza Armenia di Kocharyan, ha affermato di volersi rivolgere alla Corte Costituzionale, e di non riconoscere i risultati delle elezioni. “Secondo le nostre osservazioni e i dati pervenuti dalle sedi territoriali, ci sono state numerose violazioni molto prima del giorno delle elezioni. Il giorno del voto, abbiamo ricevuto numerose segnalazioni dai nostri delegati, che hanno riportato in via provvisoria la falsificazione sistemica e precedentemente pianificata del processo di voto“, si legge in un comunicato successivamente diffuso dalla coalizione di Kocharyan.
Anche il blocco che fa capo ad un altro ex presidente, Serzh Sargsyan, ha formulato commenti di questo tipo: “Affermiamo che non riconosciamo questi risultati come una legittimazione delle perdite territoriali e umane nell’ultima guerra dell’Artsakh, come fissazione dello status dell’Armenia come merce di scambio nel commercio geopolitico“, si legge nel comunicato dell’Alleanza “Io Ho Onore”. “Le forze dell’ordine hanno scatenato repressioni contro l’opposizione, perquisizioni senza fondamento degli appartamenti degli attivisti, i loro arresti, intercettazioni telefoniche. Così, vediamo numerosi fatti palesi di intralcio al lavoro dell’opposizione nel giorno del voto e casi di pressione diretta sugli elettori da parte delle autorità con l’uso di strumenti amministrativi“.
Tali commenti sono comunque stati respinti dagli osservatori internazionali della Comunità degli Stati Indipendenti, che hanno monitorato lo svolgimento delle elezioni nel Paese caucasico sotto la supervisione di Ilhom Nematov, ambasciatore dell’Uzbekistan negli Stati Uniti: “La procedura di voto si è svolta in conformità con i requisiti del codice elettorale. Gli osservatori della CSI non hanno registrato violazioni di rilievo che avrebbero potuto influenzare il risultato del voto“, ha affermato il diplomatico uzbeko.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Giulio Chinappi – World Politics Blog