Già previste per il 29 agosto 2020, le elezioni legislative in Etiopia erano state rimandate a causa della pandemia di Covid-19. Successivamente, sono state nuovamente posposte dal 5 giugno al 21 giugno, quando hanno finalmente avuto luogo, seppur senza la partecipazione di tre regioni del Paese dell’Africa orientale.
Come noto, infatti, l’Etiopia è attualmente scossa dal conflitto tra il governo centrale di Addis Abeba, guidato dal primo ministro Abiy Ahmed Ali, ed il governo locale della regione del Tigrè, la più settentrionale delle dieci regioni etiopi, sotto l’egida del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè. Nel settembre del 2020, il TPLF (acronimo derivante dalla denominazione inglese di Tigray People’s Liberation Front) ha organizzato una tornata elettorale per la regione del Tigrè, non riconosciuta come legittima dalle autorità etiopi. Nel mese di novembre, il primo ministro ha lanciato un’offensiva militare contro la regione, che in un primo momento ha visto le truppe etiopi occupare il Tigrè e sciogliere il governo del TPLF, sostituito dal governo di transizione del Tigrè. Nel mese di giugno, tuttavia, il TPLF ha riconquistato le proprie posizioni, ed il governo di transizione ha dovuto lasciare Macallè, la capitale del Tigrè.
Tale situazione ha reso impossibile lo svolgimento delle elezioni nella regione del Tigrè, tornata in gran parte sotto il controllo della formazione tigrina. Anche la regione di Harar, la più piccola del Paese, e la regione dei Somali, una vasta area situata al confine con la Somalia, che corrisponde in gran parte alla regione storica dell’Ogaden, non sono state in grado di organizzare la propria tornata elettorale, rimandata al mese di settembre. Lo stesso dicasi per ben 40 collegi elettorali situati in altre sei regioni del Paese. Questo significa che, dopo l’ufficializzazione dei risultati, avvenuta il 10 luglio, molti dei 547 seggi che compongono la Camera dei rappresentanti del popolo sono rimasti vacanti.
Di fatto, fino ad ora sono stati assegnati solamente 436 scranni, lasciandone vuoti 111. Tuttavia, i risultati indicano già una schiacciante vittoria del primo ministro Abiy Ahmed, che l’opposizione non ha potuto che mettere fortemente in dubbio visto il clima con il quale gli etiopi sono stati chiamati alle urne. Inoltre, le autorità nazionali non hanno rilasciato dati ufficiali circa la partecipazione, il che lascia pensare che il dato sia stato molto basso, verosimilmente inferiore al 50% degli aventi diritto.
Venendo ai numeri, il Partito della Prosperità del primo ministro avrebbe conquistato ben 410 seggi, lasciando le briciole agli altri partiti partecipanti: il Movimento Nazionale Amhara avrebbe eletto solamente cinque deputati, uno in più della lista Cittadini Etiopi per la Giustizia Sociale, mentre quindici seggi sarebbero andati ai candidati indipendenti. Infine, una lista locale, il Partito Democratico Popolare di Gedeo, ha ottenuto due seggi nella regione delle Nazioni Meridionali. Naturalmente, alcuni partiti regionali non hanno ottenuto seggi in quanto non si è votato nelle loro regioni di riferimento: è il caso soprattutto del Fronte di Liberazione Nazionale dell’Ogaden, che ha la propria base elettorale proprio nella regione di Harar e in quella dei Somali.
Berhanu Nega, leader dei Cittadini Etiopi per la Giustizia Sociale, ha affermato che il suo partito ha presentato più di 200 denunce dopo che gli osservatori in diverse regioni sono stati bloccati da funzionari e miliziani locali. Nella regione dell’Oromia, quella dalla quale proviene Abiy Ahmed, i principali partiti di opposizione sono stati costretti a ritirarsi prima dello svolgimento delle elezioni, affermando che i loro candidati erano stati arrestati e gli uffici vandalizzati. In tutta l’Oromia, il partito di governo ha conquistato 167 seggi su 170, ai quali vanno aggiunti tre deputati eletti come indipendenti.
Anche i risultati della capitale, Addis Abeba, dove generalmente i risultati sono più equilibrati, hanno lasciato molte perplessità. Il Partito della Prosperità avrebbe infatti vinto qui 22 seggi su 23, lasciandone solamente uno ad un candidato indipendente, mentre alcune liste dell’opposizione, compresa quella dei Cittadini Etiopi per la Giustizia Sociale, non avrebbero ottenuto neppure un voto, nonostante dispongano di un’ampia base militante.
Il primo ministro, al contrario, ha parlato di un’elezione storicamente inclusiva, aggiungendo: “Il nostro partito è anche felice di essere stato scelto dalla volontà del popolo per amministrare il Paese“.
In base ai risultati elettorali, dunque, il primo ministro Abiy Ahmed dovrebbe ottenere senza troppi problemi un nuovo mandato alla guida del governo da ottobre, quando dovrebbe insediarsi il nuovo parlamento. Prima, il 6 settembre, si svolgeranno le elezioni posticipate nelle aree che non sono andate al voto, con l’esclusione della regione del Tigrè, per la quale non è stata prevista una data. Tuttavia, la schiacciante maggioranza ottenuta dal partito di governo renderà di fatto inutile lo svolgimento delle elezioni di settembre, se non per l’assegnazione dei seggi ad alcuni partiti regionali.
L’Etiopia resta oggi un Paese fortemente diviso su base etnica, e attraversato da tensioni che possono facilmente sfociare in spinte indipendentiste. In questo, il primo ministro Abiy Ahmed ha una forte responsabilità: con la fondazione del Partito della Prosperità, il premier non solo ha operato una svolta di stampo liberista da parte del governo etiope, ma ha anche deciso di abbandonare il modello federale tra le etnie, volendo puntare sulla costruzione di un’identità nazionale etiope unitaria, che di fatto si tradurrebbe in un assorbimento delle etnie minoritarie da parte dei gruppi maggioritari, gli oromo e gli amhara. Questo ha causato il riemergere delle rivalità e delle spinte indipendentiste in alcune regioni, e potrebbe persino portare ad uno smembramento dello Stato etiope.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog