riceviamo e pubblichiamo

“Rimuovere la statua è un piccolo passo che ci avvicina ad aiutare Charlottesville, la Virginia e l’America ad affrontare il loro peccato di distruggere volontariamente gli afro-americani per i profitti”. Queste le parole della sindaca Nikuyah Walker mentre si apprestava ad annunciare la rimozione della statua di Robert E. Lee, generale degli Stati confederati durante la Guerra Civile. Come si ricorda, nel 2017 Charlottesville è stata al centro del raduno dei suprematisti “Unite the Right” che protestavano la rimozione della statua. Un suprematista si è scagliato con la macchina per scontrarsi con manifestanti pacifici di sinistra, causando la morte di una donna e ferendo anche dozzine di altri presenti.

Sono passati quattro anni ma adesso la statua di Lee è stata rimossa e sarà conservata per poi decidere il da farsi. Gli eventi di quel giorno e la susseguente morte di afro-americani in incontri con la polizia, specialmente l’uccisione di George Floyd, hanno scatenato manifestazioni che hanno spinto alla riconsiderazione dei rapporti fra bianchi e gruppi minoritari. Inoltre si è anche arrivati alla rivalutazione di eventi storici con radici nella guerra di secessione (1861-1865). A dare manforte a queste rivalutazioni i media hanno scoperto la teoria critica della razza, un concetto accademico che si rifà agli anni 60′ e 70′. Nella primavera di quest’anno è emerso poiché non pochi Stati in America hanno introdotto leggi che mirano a vietare il suo studio nelle scuole primarie e secondarie del Paese.

La Florida, in particolare, ha approvato una legge che insiste sull’insegnamento della storia guidata dal principio di “creazione di una nazione basata in grande misura sui principi della Dichiarazione di Indipendenza”. Questa legge proibisce l’uso di nuove metodologie che includono i rapporti razziali per spiegare la continua esistenza di disuguaglianze fra bianchi e afro-americani dopo moltissimi anni dalla fine della schiavitù nel 1865.

La teoria critica della razza ci dice invece che il razzismo non è tutto semplicemente un costrutto di pregiudizi individuali ma è anche parte integrale dei sistemi legali e politici. Il razzismo e le differenze economiche, sociali e politiche fra i bianchi e i gruppi minoritari, specialmente gli afro-americani, sono legati all’ideologia suprematista. L’unione delle manifestazioni contro il razzismo, la rimozione delle statue simbolo di supremazia bianca, e la teoria critica della razza hanno creato una sorta di assedio per una buona fetta degli americani bianchi che si vede attaccata e minacciata nei suoi privilegi.

Bisogna dunque opporsi ad iniziare con la difesa delle statue persino quelle confederate che celebrano personaggi che hanno perso la Guerra Civile ma che hanno continuato ad essere visti come figure eroiche. Abbattere queste statue per una buona maggioranza di destra significa eliminare la loro cultura non solo per quelli del Sud ma anche per quelli del Nord i cui antenati, paradossalmente, hanno lottato e vinto la Guerra Civile e mantenuto unificato il Paese. Strano che un individuo come l’ex presidente Donald Trump, che si considerava un “vincente”, abbia abbracciato i “perdenti” confederati. Lo fece ovviamente per fare piacere ai suprematisti che erano e continuano ad esser parte integrale della sua base. Non sorprende dunque che dopo gli eventi di Charlottesville del 2017, l’allora presidente Trump non condannasse i filonazisti, limitandosi semplicemente a dire che “c’era brava gente da ambedue le parti”. Inoltre, da presidente, Trump si era opposto ai cambiamenti dei nomi di una decina di basi militari che ricordano generali confederati dicendo che “Questi monumenti e potentissime basi fanno parte del patrimonio americano e una lunga storia di vincere, vittoria e libertà”.

C’è una piccolissima dosi di verità in questa affermazione di Trump poiché gli schiavi, con la fine della Guerra Civile, ottennero la libertà. Ciononostante, con il ritiro graduale delle truppe nordiste, i bianchi al Sud ricominciarono poco a poco a riprendere il controllo politico ed economico, continuando a sfruttare ed abusare gli afro-americani. Questi abusi sono stati rivendicati dagli afro-americani ma i bianchi ci credevano poco. In tempi recentissimi, però, con l’avvento dei telefonini e le riprese di video, gli abusi citati storicamente da afro-americani sono venuti alla luce del sole per tutti. Difficile ignorare il video della morte di Floyd, scattato da una giovane donna presente. Difatti, il poliziotto responsabile per la morte di Floyd, in un caso storico, è stato condannato a 22 anni di reclusione. Questa sentenza è stata vista come un possibile cambiamento per una nuova visione di giustizia per gli afro-americani.

Non basta però se lo si vede solo come un caso isolato. Gli studiosi della teoria critica della razza interpretano la morte di Floyd come risultato di ingiustizia sistemica e strutturale che va riesaminata nel contesto storico. Il sistema giudiziario, economico e politico attuale che vede gli afro-americani in una situazione sfavorevole è causato dalla storia e per creare un clima di uguaglianza bisogna capirlo appieno. La rimozione delle statue è solo un piccolo passo.

La destra ribatte con il tipico relativismo, interpretando la rimozione delle statue come rifiuto della storia, la loro storia. Si tratta di quella storia rievocata da Trump nel suo slogan “Make America Great Again” (Rifacciamo grande l’America). I conservatori si chiedono quali altre statue di eroi consacrati come George Washington, Thomas Jefferson ed altri andranno abbattute perché anche loro furono proprietari di schiavi. La chiave in questo ragionamento è il relativismo, usato non solo dalla destra ma in modo magistrale da Vladimir Putin. Ogni qualvolta che gli vengono criticate le ingiustizie nel suo Paese, il leader russo indica, con una dosi parziale di verità, i problemi razziali in America che lui stesso e i suoi collaboratori hanno fomentato, specialmente nell’elezione presidenziale del 2016.

Alcuni studiosi tendenti a destra ci dicono che non è possibile giudicare eroi del passato con parametri etico-morali contemporanei. Si sbagliano perché rivalutando la storia con gli occhi del presente ci aiuta a capirla, scongelando alcune posizioni già cementate ma bisognose di nuove analisi per capirle a fondo. Solo con una comprensione aggiornata si potrà migliorare la società attuale. Decidere di abbattere le statue che con il loro simbolismo celebrano falsi eroi, indirettamente e spesso direttamente, è un piccolo passo per un’interpretazione accentrata della storia. Robert Lee, diretto discendente del generale Robert E. Lee, ha pubblicato un editoriale sul Washington Post dove appoggia la distruzione della statua del suo antenato a Richmond, la capitale degli Stati Confederati durante la Guerra Civile, ed attuale capitale della Virginia. Un’interpretazione personale che riconosce il bisogno della rivalutazione storica per farci capire come procedere per una migliore America.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

Di AFV

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