La fine dell’Unione Sovietica nel 1991, come noto, ha aperto le porte dell’Europa orientale al progetto egemonico dell’atlantismo a guida statunitense. Nata con la scusa di contrastare l’Unione Sovietica, la NATO non solo non è scomparsa con la sparizione del nemico designato, ma ha approfittato del vuoto lasciato da Mosca per spingere i suoi confini sempre oltre, fino a lambire il territorio della Federazione Russa. Sia la NATO che il suo surrogato noto come Unione Europea hanno incominciato ad inglobare i Paesi che un tempo facevano parte del Patto di Varsavia, dimostrando il vero volto delle mire egemoniche di Washington.
Mentre la Germania Est venne immediatamente annessa dalla Repubblica Federale Tedesca, nonostante la retorica della “riunificazione” che nasconde la vera natura dell’operazione con la quale un Paese ha inglobato l’altro [1], a partire dal 1999 la NATO ha iniziato a spostare i propri confini sempre più a oriente, con l’ingresso di Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria. Nel 2004 vi fu poi la grande espansione ad est tanto del Patto Atlantico quanto dell’Unione Europea: le tre repubbliche baltiche, Slovacchia, Slovenia, Romania e Bulgaria entrarono nella NATO, mentre diventarono membri dell’UE tutti questi Paesi (compresi quelli entrati nella NATO nel 1999) ad esclusione di Romania e Bulgaria, che sarebbero entrati solo nel 2007. Nel 2009, la Croazia divenne parte della NATO e, nel 2013, divenne parte anche dell’UE. Si può notare come l’ingresso della NATO sia de facto quasi una condizione preliminare per l’ingresso nell’Unione Europea, al punto che si può supporre che i due membri più giovani dell’Alleanza Atlantica, Montenegro (2017) e Macedonia del Nord (2020), possano essere i prossimi acquisti dell’UE, così come l’Albania, che entrò nel 2009 insieme alla Croazia.
Non è un caso, del resto, che Montenegro, Macedonia del Nord ed Albania abbiano tutti sottoposto la propria candidatura ufficiale per l’ingresso nell’UE, cosa che ha fatto persino la Serbia, che dei Paesi della ex Jugoslavia è quello che resta più vicino a Mosca. La stessa serbia Serbia, Bosnia-Erzegovina, Georgia e Ucraina sono invece ufficialmente candidate all’ingresso nella NATO. Come se non bastasse, le recenti elezioni il Moldova hanno visto la nascita di una maggioranza filo-occidentale, che potrebbe presto aggiungersi alla lista degli aspiranti membri della NATO. A completare il quadro c’è il protettorato che di fatto gli Stati Uniti esercitano sull’autoproclamato Kosovo. In pratica, l’espansione atlantista ad oriente è quasi completa, fatta eccezione per la Bielorussia, che non a caso è oggetto di attacchi di ogni tipo per promuovere un regime change all’interno dell’ultimo baluardo mancante per completare l’accerchiamento della Russia europea.
Per raggiungere i suoi scopi, l’atlantismo non si è certo fatto scrupoli, ed ha stretto alleanze con i personaggi più loschi a disposizione, spesso di matrice neonazista. L’esempio più lampante è quello del colpo di Stato avvenuto in Ucraina nel 2014, che ha portato alla deposizione del presidente filorusso Viktor Janukovyč e l’instaurazione di governi sostenuti dalle forze neonaziste del Paese. Dopo il golpe, il nuovo presidente Petro Porošenko ha messo in atto una politica di persecuzione dei comunisti ucraini e della minoranza russa, che ha portato all’annessione della Crimea da parte di Mosca ed alla ribellione delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk nella regione del Donbass. Tali politiche sono state continuate anche dal suo successore Volodymyr Zelens’kyj, che, dopo essersi presentato come moderato, ha mostrato il suo vero volto, come dimostra la legge razzista passata proprio in questi giorni che distingue i cittadini a seconda delle proprie origini etniche.
I neonazisti ucraini, in quanto antirussi, sono divenuti l’alleato privilegiato delle forze atlantiste, al pari dei neonazisti bielorussi, in quanto nemici del presidente Aljaksandr Lukašėnka. L’esempio più lampante è quello di Roman Protasevič, presentato dai media occidentali come un giornalista che si batte contro la dittatura, ma in realtà militante di organizzazioni neonaziste. Nel 2013, infatti, Protasevič prese parte alle sommosse ucraine, e successivamente si è unito al battaglione Azov, riconosciuto come un’organizzazione militare neonazista. Nonostante questo, Protasevič era tornato in Bielorussia ed aveva potuto esercitare la propria professione giornalistica, pur non avendo un titolo di studio adeguato.
Le vicende di Protasevič ricordano quelle di un altro “martire della libertà” amato dai media occidentali, l’oppositore russo Aleksej Naval’nyj. Anche costui vanta un passato di militante di estrema destra e di simpatizzante delle idee razziste e naziste, come abbiamo avuto modo di sottolineare in un articolo dedicato a questo losco figuro.
Tutto ciò dimostra come l’atlantismo, che altro non è che la manifestazione in Europa dell’imperialismo statunitense, non si faccia scrupoli quando si tratta di raggiungere il proprio scopo, sostenendo personaggi e gruppi politici di estrema destra in funzione anticomunista ed antirussa. Al contrario, i media al servizio dell’imperialismo si prodigano in aspre critiche nei confronti dei governi di Ungheria e Polonia che, per quanto riprovevoli sotto molti punti di vista, sono dei dilettanti rispetto ai criminali sopra elencati.
L’annessione definitiva dell’Ucraina alla NATO, infatti, avverrà presto senza tenere conto di nessun criterio politico che includa i termini generalmente sbandierati dalla propaganda atlantista, prima di tutto “democrazia”. L’accordo tra Stati Uniti e Germania sulla costruzione del gasdotto Nord Stream 2 va proprio in questo senso: Washington ha concesso a Berlino il completamento dell’opera energetica di collegamento con la Russia in cambio di garanzie sull’Ucraina. Il sito tedesco German Foreign Policy sottolinea al riguardo che “il governo tedesco ha promesso di fare tutto ciò che è in suo potere per garantire che il gas naturale russo continui a fluire verso ovest attraverso il sistema di tubazioni ucraino”, che permette all’Ucraina di ottenere due miliardi di dollari l’anno in tasse di transito, ed inoltre “la Repubblica Federale Tedesca promette di premere per “misure efficaci comprese sanzioni” contro la Russia nell’UE se Mosca cercher’ di utilizzare il gasdotto “per raggiungere obiettivi politici aggressivi”. Ogni tentativo di “usare l’energia come arma” deve essere fermata”.
Non è un caso, dunque, che l’UE abbia firmato in questi giorni un partenariato strategico con Kiev in campo energetico: “Al centro del partenariato strategico ci sono le materie prime per la transizione energetica, di cui l’Ucraina dispone in misura rilevante, come il litio, il cobalto e le terre rare”, riporta ancora GFP. La Germania verserà 175 milioni di dollari ad un “Fondo verde per l’Ucraina”, che dovrà raggiungere la cifra di almeno un miliardo di dollari.
Tutte queste operazioni sono la dimostrazione di una politica aggressiva sviluppata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei contro la Russia, come dimostrano anche le recenti esercitazioni militari nel Mar Nero e gli incidenti che ne sono derivati. È nostro dovere, invece, opporci sia all’espansionismo dell’imperialismo atlantista che allo sviluppo dei movimenti neonazisti in Europa orientale.
NOTE
[1] GIACCHÈ, Vladimiro (2016), Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Imprimatur.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog