Un rapporto rilancia l’allarme sull’aumento critico della fame nel mondo, soprattutto in Africa, dopo anni di stallo @ marylina/iStockPhoto Corrado Fontana
La protesta contro il prossimo vertice Onu sul cibo si allarga. L’organizzazione appare opaca e troppo potere è concesso alle multinazionali
«Nonostante l’alimentazione riguardi la salute di tutta la popolazione del Pianeta e le aziende agricole familiari e di piccola scala producano oltre il 70% del cibo che consumiamo, sono poche grandi imprese a dettare le politiche in campo agricolo e a stabilire cosa dovrà essere prodotto, come e quanto dovrà costare il cibo». È anche a partire da queste parole della premio Nobel Vandana Shiva che vengono lanciate le giornate di protesta contro il prossimo Vertice sui Sistemi Alimentari delle Nazioni Unite (UNFSS).
Una contestazione organizzata a partire dal flashmob dello scorso 22 luglio a Roma, nei pressi della sede della FAO. E poi, tra il 25 e il 27, in occasione del pre-Vertice sui Sistemi Alimentari che si terrà sempre a Roma presso la FAO, dal 26 al 28 luglio. Un dissenso scandito da una chiamata a partecipare che pone l’obiettivo di cambiare l’attuale modello del sistema globale del cibo. Cambiarne gli equilibri e le logiche.
Vertice Onu sul cibo: opacità su chi detta regole e contenuti
Si tratta di una protesta corale, che riunisce tante diverse voci a livello internazionale (CSM) e italiano (AOI, Slow Food…). E che prende vita sia dalle analisi sui dati che dalla riflessione, politica ed economica, cui, ad esempio, danno corpo le parole di Nicoletta Dentico, responsabile del programma di salute globale di Society for International Development.
La giornalista, in una recente intervista alla Rai, inquadra così il summit in programma a New York: «Molte cose non tornano nella organizzazione di questo vertice, sin dall’avvio dei lavori. Nasce come evento convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite, ma non sotto il controllo degli Stati. Il percorso organizzativo che ha dato forma al vertice è caratterizzato da una opacità senza precedenti.
Una mancanza di trasparenza che ha destato molta sorpresa e anche vivaci preoccupazioni, man mano che si è fatto strada il folgorante protagonismo del Forum Economico Mondiale (World Economic Forum, WEF) di Davos – l’elitario circolo privato che riunisce le 1000 più grandi corporations globali – come co-organizzare del vertice. I centri di interesse riuniti nel WEF, dal primo momento, hanno indirizzato i contenuti e strutturato l’agenda. La narrazione ufficiale parla di sostenibilità, di contadini e comunità indigene, persino di diritti».
Ma la fotografia della realtà dice ben altro. E non da oggi.
Complice il Covid-19, lo spettro della fame fa più paura
Ad esempio ci mostra che, a dispetto dei propositi sbandierati al punto 2 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, la fame globale è tornata a crescere. E ciò dopo anni di globalizzazione di stampo liberista – ricordate le istanze del G8 di Genova del 2001?- che ha diffuso e incrementato distorsioni, senza offrire soluzioni definitive. Pochi giorni fa è stato pubblicato un rapporto che rilancia l’allarme sull’aumento critico della fame nel mondo, soprattutto in Africa, dopo anni di stallo.
Nel 2020 le persone sotto-alimentate hanno rappresentato circa il 9,9% della popolazione mondiale, contro l’8,4% del 2019. E il numero medio (tra un minimo di 720 e un massimo di 811) di persone che hanno affrontato la fame sul Pianeta nel 2020 è stato indicato in 768 milioni. Ciò si traduce in 118 milioni di affamati in più rispetto ai 650 milioni del 2019, o addirittura 161 milioni, se guardiamo alla stima del valore massimo.
Sprechi, clima e agricoltura: diverse facce della medaglia del cibo
Numeri drammatici, di cui l’attuale sistema di produzione e distribuzione alimentare, messo ulteriormente alle corde dalla pandemia di Covid-19, è parte in causa. Tanto più che, nel frattempo, i profitti delle principali multinazionali del cibo nono sono stati intaccati granché, mentre lo spreco di risorse alimentari è anche maggiore di quanto non si credesse.
A porre la questione al centro del tavolo è una indagine appena pubblicata da Tesco e Wwf sulle perdite di cibo nelle fattorie, intorno, durante e dopo i raccolti e nella filiera di macellazione della carne. Lo studio rivela che «circa 2,5 miliardi di tonnellate di cibo non vengono consumate in tutto il mondo ogni anno. Si tratta di un aumento di circa 1,2 miliardi di tonnellate rispetto alle stime stabilite di 1,3 miliardi di tonnellate sprecate ogni anno. Queste nuove stime indicano che di tutto il cibo coltivato, circa il 40% non viene consumato, una cifra superiore alla cifra precedentemente stimata del 33%».
Come se non bastasse, i ricercatori hanno calcolato anche quali impatti ambientali negativi abbia generato la produzione di tutto quel cibo perduto. In termini di emissioni di gas serra, di potenziale acidificazione ed eutrofizzazione, uso di acqua e terra è un enorme costo collettivo che alimenta la crisi climatica. Come dire… affamati e mazziati.