Matteo Bortolon 

Dieci anni fa, il 5 agosto 2011 un paese europeo in difficoltà per la crisi del debito sovrano riceveva una Lettera da parte del governatore della BCE controfirmata dal vertice della sua Banca Centrale nazionale. Tale comunicazione rimase segreta per un po’ di tempo, ma i suoi contenuti segnarono l’evoluzione successiva della sua politica economica, in direzione di una decisa austerità gradita ai vertici delle istituzioni comunitarie.

Ma certo! L’Italia, la famosa lettera di Draghi-Trichet!

E invece no. Parliamo della Spagna di Zapatero.

Lo stesso giorno i governi di entrambi i paesi ricevettero una comunicazione assai simile; nel caso dell’Italia le voci di essa circolarono finché a fine settembre 2011 vennero confermate dal Corriere che pubblicò lo scoop sul suo sito. Il popolo spagnolo lo seppe solo quando l’oramai ex primo ministro la pubblicò in un suo libro, e venne infine desecretata dalla stessa BCE. Oggi la si legge comodamente sul sito istituzionale.

“La fonte di ogni diritto risiede originariamente e sostanzialmente nell’intero corpo del popolo”. Così scrivevano i soldati puritani inglesi, anticipando temi della Rivoluzione francese, nel 1647, dopo aver sconfitto il Re in nome del Parlamento. Tale idea sarebbe divenuta secoli più tardi il fondamento di ogni democrazia moderna, ma a quanto pare il dibattito in materia sta regredendo in modo così oltraggioso che la platea di sottobosco politico-giornalistico accetta supinamente – ventre a terra ai poteri dominanti: banche, Ue, grandi aziende – che una istituzione fuori da ogni legittimazione democratica possa determinare l’indirizzo politico di un paese.

Austerità a gogò

I problemi sono stanto di metodo quanto di merito. Occupiamoci di quest’ultimo.

La lettera all’Italia è firmata da Trichet e dall’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e viene scritta nel contesto della crisi del debito italiano, con la crescita dello spread – da molti media ricondotta al malgoverno di Silvio Berlusconi. Come racconta Renato Brunetta, una volta arrivate le notizie delle richieste, il Cavaliere si precipita a fare una conferenza stampa dopo essersi consultato con Mario Draghi e Daniele Franco – che viene indicato, senza smentite, come l’autore materiale della Lettera.

La testimonianza di Brunetta è del resto significativa del perché il governo italiano si precipiti ad obbedire in modo così rapido. Istituzioni internazionali come l’OECD, FMI ecc. non sono certo prodighe di consigli agli esecutivi, ma raramente riescono a farsi obbedire senza una qualche forma di pressione più concreta – o magari suggeriscono quello che l’oligarchia già tiene in serbo per vincere le resistenze interne ammantando tali politiche di un’aurea di neutralità e competenza; in questo caso Berlusconi chiama subito Draghi al telefono, avendo «compreso benissimo i termini della questione: vale a dire che la Banca centrale europea avrebbe continuato ad acquistare nostri titoli sul mercato, raffreddando l’incendio speculativo, solo se noi avessimo dato delle risposte aggiuntive in termini di politica economica, di rigore e di riforme». Insomma, un ricatto belloe buono.

Per questo l’allora Presidente del consiglio dei Ministri, disposto a tutto pur di rimanere in sella, assieme al ministro Tremonti, si presenta ai giornalisti ed annuncia il pareggio di bilancio in Costituzione, il suo anticipo dal 2014 al 2013 e riforme del mercato del lavoro. A posteriori è abbastanza comico sentire come i due personaggi cercassero di far passare la imposizione della BCE come se fosse un’idea loro.

Sia pur detto per inciso, i due personaggi – in quella occasione affiancati dalla felpata presenza di Gianni Letta – avrebbero in seguito assunto posizioni molto critiche degli istituti Ue; Berlusconi l’anno seguente avrebbe definito l’euro un imbroglio, sulla scia dell’ex ministro Brunetta (che in effetti si riferiva con tale termine allo spread), mentre Tremonti si sarebbe dato una postura di antiglobalista. Negli anni seguenti, una corrente d’opinione nel giro antisistema cd. sovranista li ha incautamente accreditati in tal senso. Il modo in cui hanno cercato di restare al potere, ventre a terra di fronte a Draghi e al resto delle nomenclature Ue, non fa pensare ad una mancanza di volontà di passare sopra il cadavere della sovranità del paese, quanto di una loro inadeguatezza e inaffidabilità rispetto alle cancellerie europee – come si visto in una una plateale, voluta dimostrazione. Il loro tempo era oramai scaduto: il presidente Napolitano aveva già sondato Mario Monti a giugno per subentrare all’oramai ingombrante uomo di Arcore, ed era all’opera la scrittura del nuovo programma economico da parte dell’uomo “giusto” : il banchiere Corrado Passera, di lì a poco nominato ministro nel nuovo Esecutivo.

La Lettera cosa chiedeva?

[…] liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali […] in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende[…]

revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti,  […] la riallocazione delle risorse [cioè i lavoratori, n.d.r.] verso le aziende e verso i settori più competitivi.

un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013

intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi

clausola di riduzione automatica del deficit

messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali

riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.

indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione)

Si tratta di un programma di austerità che avrebbe caratterizzato l’Italia negli anni a venire, com’è agevole vedere in un confronto fra alcune delle misure indicate ed i provvedimenti che più hanno catalizzato l’impegno dei governi Monti, Letta e Renzi.

liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali […] in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scalaRiforma Renzi-Boschi della Costituzione (non passata)
ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziendeL. Fornero (2012), Jobs Act (2016)
sistema pensionisticoLegge Fornero (2012)
riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancioL. Cost. 1/2012 per pareggio di bilancio (2012)
clausola di riduzione automatica del deficitClausole di salvaguardia nel D. L. 138/2011 (2011)

Il tono della lettera spagnola era assai simile – alcune frasi del tutto identiche – e verteva su tre punti specifici: 1) mercato del lavoro (riforma della contrattazione, più contratti precari, salari più bassi); 2) sostenibilità finanze pubbliche (tagli alla spesa, tetto alle spese future); 3) riforme di mercato (energia, case, servizi).

Banca centrale vs democrazia

Se il merito è straziante, il metodo è pure peggio. È chiaro che negli anni della crisi del debito sovrano le modalità con cui la si è affrontata ha plasmato una trasformazione molto forte del complesso dei poteri nell’Unione, arrivando ad attribuire un ruolo alla BCE che sfida la concezione stessa di democrazia parlamentare. Mentre ai suoi già giganteschi poteri si aggiungevano funzioni di vigilanza sui sistemi bancari (nell’ambito del Single Supervisory Mechanism) e di approvvigionamento di fondi eccezionali agli Stati (politiche ultraespansive), essa consolidava il suo ruolo di gestore della crisi (anche con la partecipazione alla cd. Troika) con forte potere di sanzione verso i governi più “indisciplinati”.

Tale capacità è al cuore di una contraddizione essenziale: da un lato la Bce e le banche centrali che ne fanno parte sono indipendenti dai governi, avendo un mero ruolo “tecnico”; ma la manipolazione di queste funzioni (acquisto di titoli di Stato dei membri dell’eurozona; autorizzazione di fondi straordinari per le banche ELA) erogate con discrezionalità se non con arbitrio per raggiungere degli obiettivi ne fa un attore eminentemente politico. Il che tende a scadere nel più repellente favoritismo: la Bce limita l’emissione di titoli a breve termine, nel caso della Grecia il tetto di 15 mld € era stato alzato nell’estate del 2012 a 18,5 con il governo di destra europeista (amico) di Samaras; appena Tsipras si era insiedato ad Atene con la sua coalizione di sinistra (vista come ostile) era stato reso noto che tale eccezione sarebbe stata confermata solo a prezzo di essere collaborativi con la Troika – cioè l’accettazione del programma di aggiustamento lacrime e sangue che Syriza si era impegnato a smantellare presso i suoi elettori. Ed è solo uno della catena senza fine di casi in cui Draghi, assai spregiudicatamente corrivo verso le regole stabilite nei Trattati europei, attua un insieme di forzature in cui si mescolano la scelta discrezionale, la promozione di una determinata agenda e il colpire violentemente chi non si mette in riga.

Il merito si lega al metodo: l’esito di processi democratici può venir rovesciato da poteri tecnocratici, e pressoché sempre – ma che sorpresa! – di una restrizione dei diritti economico-sociali dei cittadini. Ecco perché economisti come Ann Pettifor ritengono che la Bce sia diventata davvero il “governo” dell’eurozona.

Difficile dire quando sia avvenuto; è un processo graduale. Forse già con l’Irlanda.

Le quinte colonne

A fine 2010 l’Irlanda era già in recessione – la prima a entrare in crisi nell’eurozona dal 2008 – da più di due anni, fra scoppio di una bolla finanziaria, depressione e disoccupazione galoppante. In questo contesto il governatore della Banca centrale irlandese Patrick Honohan annuncia un prestito del FMI. Una comunicazione che scatena il panico: chi chiede aiuto al Fondo generalmente se la passa male. Ma non era vero nulla: il governo non l’aveva chiesto. Il giorno successivo (19 novembre) arriva però una lettera della Bce che comunica la necessità del paese di entrare in programma di assistenza finanziaria – con conseguente austerità. Altrimenti si tagliano i fondi ELA (Emergency Liquidity Assistance), soffocando le banche del paese. Il ministro delle Finanze è costretto ad accettare, segue come da copione il programma di austerità coi consuenti risvolti, il consenso crolla e il partito di governo va a casa.

È evidente che il governatore Honohan ha servito la Bce più che il proprio paese. E qui sorge un’altra nota sinistra: le banche centrali dell’eurozona sono ridotte a succursali di una istituzione esterna con sede a Francoforte, cui devono ubbidienza. “Come fai a combattere con la tua banca centrale che ti pugnala alle spalle?”, chiedeva retoricamente Varoufakis nel suo libro del 2017. Nel suo caso il governatore Stournaras era stato nominato dal premier Samaras prima di lasciare la poltrona, e si debbe a boicottare Syriza fin dal primo giorno. Ma facciamo un passo indietro. La lettera della Bce al governo spagnolo da chi era firmata? Da Trichet e da Miguel Fernandez, il governatore della Banca di Spagna. E da chi era cofirmata la lettera del 5 agosto a Berlusconi? Da Draghi, allora governatore della Banca d’Italia; e con chi parla il premier al telefono prima di andare in conferenza stampa? Con lui e Daniele Franco, allora direttore generale dell’area economica in Banca d’Italia.

Il quadro è chiaro: i vertici delle banche centrali si comportano come quinte colonne al servizio di Francoforte che condividono la stessa visione ideologica finanziaria-mercatista, fanno abitualmente sponda alle manovre della governance comunitaria verso eventuali gli atti di “disubbidienza”.

Lo stesso si potrebbe dire di Cipro, dove il governatore della Banca centrale cercava di imporre al governo l’austerità.

Riprende il controllo, tornare alla democrazia

Indubbiamente esistono molti fattori di lesione della democrazia ma la crescita del potere della Bce nell’eurozona è uno dei più importanti e preoccupanti; nel decennio che ci sta alle spalle è l’istituzione che ha guadagnato più potere nel contesto Ue. Al di là di una certa pubblicistica incline al cospirazionismo non si tratta di chissà quali strumenti occulti per governare dietro le quinte ma di strutture tecnocratiche al servizio dei poteri oligarchici – le imprese più importanti, ma specialmente finanziarie, che crearono nel 1987 l’ AMUE, la lobby per spingere la creazione dell’euro.

La critica alla moneta unica e alla istituzione che la controlla si è sviluppata in questi ultimi dieci anni, quando i nodi sono venuti al pettine. Nel 2021 nessuna forza politica italiana con una rappresentanza si mostra più interessata ad essa ma il problema resta aperto più che mai. Lo status della Bce, al centro del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) se prima della crisi del debito sovrano era l’apogeo del “vincolo esterno”, la decade 2011-2020 la proietta come uno degli assi portanti della nuova governance Ue, impietosamente austeritaria e antidemocratica.

Riprendere il controllo di tali strutture è una battaglia fondamentale per la democrazia, anche nei termini più elementari citati dei Levellers puritani del XVII secolo, che per difendere le prerogative parlamentari dovettero tagliare la testa a Carlo I. Oggi più che teste occorre recidere quei legami che impediscono il pieno dispiegamento dello spazio democratico-costituzionale attualmente conculcato dall’oligarchia politico-finanziaria, marcia, bacata e bugiarda che trova in Ue/Bce i suoi strumenti più penetranti

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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