È da almeno un mese che il Guatemala è attraversato da manifestazioni di protesta organizzate da cittadini che chiedono le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei, in carica dal gennaio del 2020. Giammattei è infatti ritenuto responsabile della grave crisi che sta vivendo il Paese centroamericano, particolarmente colpito dalla pandemia di Covid-19. Il Guatemala ha infatti registrato oltre 390.000 casi positivi, ma con più di 10.700 decessi, numero che lascia intendere come il virus sia in realtà molto più diffuso tra i guatemaltechi. Infatti, il Guatemala è uno dei Paesi della regione che ha effettuato meno test in rapporto al numero di abitanti, insieme ad Honduras e Haiti. Anche il viceministro della Sanità, Francisco Coma, ha dovuto ammettere che la situazione epidemica del Paese sta peggiorando, e che potrebbe verificarsi presto un collasso del sistema sanitario nazionale.
Giammattei ed il ministro della Sanità, Amelia Flores, sono ritenuti dall’opposizione i principali responsabili della gravità della pandemia in Guatemala, unitamente alla mancanza di un numero di vaccini adeguato all’immunizzazione della popolazione. Dopo la grande manifestazione organizzata a Ciudad de Guatemala il 10 luglio, il 13 luglio Giammattei ha annunciato l’intenzione di decretare lo stato di prevenzione. Prevenzione contro il virus? No, prevenzione contro le manifestazioni antigovernative: “La mia denuncia è contro quelle persone che stanno permettendo al virus di diffondersi di più attraverso una serie di manifestazioni illegali”, sono state le parole del presidente.
La limitazione delle manifestazioni voluta dal governo potrebbe avere senso solamente se inserita all’interno di una serie di misure prese per arrestare il diffondersi del virus. Tuttavia, la decisione di Giammattei è stata presa unicamente per reprimere coloro che si oppongono al suo operato, facendo appello alla legge sullo stato di prevenzione che risale al 1965, quando al governo c’era Enrique Peralta Azurdia, salito al potere con un colpo di Stato sostenuto dall’esercito. Tale legge presuppone “l’obbligo delle autorità di mantenere la sicurezza, l’ordine pubblico e la stabilità delle istituzioni statali“, ed autorizza il governo a militarizzare i servizi pubblici, nonché a limitare e dissolvere con la forza le manifestazioni.
La Corte del Guatemala, tuttavia, ha espresso un parere negativo nei confronti del decreto presidenziale. Sollecitata dal procuratore per i diritti umani, Jordán Rodas Andrade, la Corte ha dato ragione al ricorso presentato da quest’ultimo contro Giammattei. Il procuratore Rodas ha precisato che la sua azione è legata alla “minaccia imminente ai diritti umani della libertà di movimento, riunione, manifestazione ed espressione di pensiero“.
Un altro avvenimento che ha fatto molto discutere è stata la destituzione del procuratore contro l’impunità e la corruzione, Juan Francisco Sandoval, dopo aver denunciato la mancanza di sostegno da parte degli organi giudiziari durante il suo mandato. Juan Francisco Sandoval ha infatti messo a nudo una serie di ostacoli al suo lavoro, “ordinandogli di non svolgere indagini contro il presidente Alejandro Giammattei senza il consenso del procuratore generale”. Secondo vari media guatemaltechi, la decisione di rimuovere Sandoval è stata voluta proprio dal capo di Stato. In passato, Sandoval aveva fatto processare l’ex presidente Otto Pérez Molina e membri del suo gabinetto per atti di corruzione. Addirittura, nelle ore successive alla sua destituzione Sandoval ha lasciato il Paese, affermando di temere per la propria integrità fisica.
Tali avvenimenti non hanno fatto altro che inasprire il confronto con l’opposizione, forte di un grande sostegno popolare, come dimostra l’affluenza registrata nelle manifestazioni di protesta. Il 26 luglio, le organizzazioni indigene hanno proclamato uno sciopero nazionale per chiedere le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei e del procuratore generale, Consuelo Porrás, responsabile diretta della destituzione di Sandoval. L’appello è stato lanciato dal presidente dei cantoni indigeni di Totonicapán, Martín Toc, ma ha ricevuto il sostegno di numerose organizzazioni di studenti e lavoratori.
“Siamo in una situazione critica della pandemia, dove non abbiamo i vaccini, ed è triste e deplorevole che in questo frangente non ci sia la consapevolezza di pensare allo sviluppo del Paese“, ha dichiarato Toc. “Siamo qui sul campo di battaglia e invitiamo tutti a manifestare, anche a costo di paralizzare il Paese. Se dobbiamo paralizzare il Paese, lo faremo, perché non possiamo più continuare così… è ora di alzare la voce perché noi guatemaltechi vogliamo giustizia e verità per tutti“, ha concluso il leader indigeno, che ha anche definito “deplorevole” la decisione di rimuovere Sandoval dal proprio incarico.
Se l’ultimo mese è stato particolarmente infuocato per la politica guatemalteca, in realtà sono oltre otto mesi che hanno luogo forme di protesta nei confronti del governo di destra. In precedenza, il dissenso era stato causato dall’approvazione della legge di bilancio, che non ha soddisfatto larghi strati della popolazione, prevedendo in particolare ingenti tagli della spesa pubblica indirizzata verso i settori della sanità, dell’educazione e della giustizia.
Lo sciopero generale convocato dalle comunità indigene ha avuto un grande impatto sul Paese, facendo registrare un’ampia partecipazione popolare, nonostante le azioni repressive della polizia nazionale. I leader della protesta hanno affermato che lo sciopero proseguirà fino alle dimissioni di Alejandro Giammattei e Consuelo Porrás. Molti sperano anche che questa grande ondata di proteste porti ad un cambiamento di portata ancora maggiore: la costruzione di un nuovo Stato plurinazionale basato su una nuova Costituzione.
“I popoli si avviano verso il processo costituente popolare e plurinazionale“, si legge in un comunicato del Comitato per lo sviluppo dei contadini guatemaltechi, che ha convocato uno sciopero nazionale per il 9 agosto. “Governando con una legge del 1975, cioè una dittatura, questo governo sul modello dello Stato-nazione, è un fallimento“. “Rifiutiamo e ignoriamo qualsiasi celebrazione di un bicentenario che ha lasciato ai popoli indigeni solo la povertà, l’esclusione, la malnutrizione e la perdita del nostro territorio“, hanno affermato invece i leader indigeni, facendo riferimento alle celebrazioni per i 200 anni di indipendenza del Guatemala, che avranno luogo il prossimo 15 settembre.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog