Un tema che sta particolarmente a cuore alle classi dominanti di ogni epoca è quello della sofferenza. Per i poveri, s’intende.
Dopo un incessante e continuo lavorio del Governo Draghi su varie tematiche (vedasi, tra le altre, alla voce sblocco dei licenziamenti), sembra ora essere diventato fertile il terreno per uno dei prossimi passi: il progressivo abbattimento del reddito di cittadinanza. E chi poteva incaricarsi di aprire le danze, se non uno dei massimi alfieri della lotta non alla povertà, ma ai poveri, ergo Italia Viva capitanata da Matteo Renzi? Nell’ultimo mese il prode di Rignano si è infatti reso protagonista di una escalation continua di dichiarazioni contro il reddito di cittadinanza. Dopo aver attaccato il provvedimento del fu Governo giallo-verde accusandolo di essere diseducativo e clientelare, il nostro torna alla carica affermando ancora più esplicitamente: “Io voglio mandare a casa il reddito di cittadinanza perché voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, provare, correre, giocarsela, se non ce la fai ti diamo una mano, ma bisogna sudare ragazzi”. Su questo tipo di attacco hanno subito fatto trapelare il loro malcelato consenso esponenti di varie fazioni, tra cui (immancabilmente) Salvini, Meloni e Calenda.
Non è ovviamente difficile mettere in luce il portato d’odio ferocemente diretto alle fasce più deboli della popolazione che tale operazione politica contiene. Basta infatti riportare alcuni dei dati che il rapporto INPS ha segnalato con specifico riferimento all’applicazione del reddito di cittadinanza. La platea dei tre milioni e settecentomila soggetti che fino ad ora hanno percepito il sussidio beneficiari è infatti composta da un fiume di persone disoccupate di lungo periodo, scoraggiate, disabili e minori. In media l’importo percepito è stato di 583 euro. Questo tipo di intervento sarebbe quindi per Renzi diseducativo. Sì, ma per chi? Ci troviamo qui infatti di fronte a un caso da manuale di avversione dei ceti dominanti nei riguardi di quelle misure che possano in qualche modo costituire un seppur minimo trasferimento di risorse alle classi meno abbienti volto a, minimissimamente, alleviarne la povertà e ridurne la ricattabilità. In tale ottica, sembra chiaro come Renzi si faccia portavoce del desiderio di andare a fare uno screening certosino ad ogni tipo di contributo che possa anche solo pallidamente allontanare le grandi masse di poveri e disgraziati da quella che, in maniera altrettanto candida, Padoa Schioppa definì a suo tempo la “durezza del vivere”. E allora perché non lasciare che proprio l’ex Ministro del fu Governo Prodi ci spieghi per filo e per segno qual è il (neanche tanto) retro pensiero che anima oggigiorno Renzi?
“Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l’individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato.” In maniera esplicita, Padoa Schioppa afferma ciò che Renzi solo accenna: un distillato dell’odio delle classi dominanti, messo nero su bianco.
Eppure, oltre a questo c’è anche un ulteriore dato politico da sottolineare. Il reddito di cittadinanza, insieme a Quota 100, ha rappresentato una novità introdotta dal Governo giallo-verde rispetto al corso generale delle politiche economiche degli ultimi decenni. Ad oggi possiamo però vedere, su un orizzonte più ampio di quello dei mesi immediatamente successivi all’approvazione di queste misure, quale fosse il reale portato politico di quegli interventi. M5S e Lega non avevano infatti altro in mente se non un contentino necessario a dar seguito all’incredibile ondata anti-euro e fintamente anti-sistema che aveva sospinto entrambi i partiti verso percentuali fino ad allora impensabili. Tuttavia, tali contentini non sono stati accompagnati da una adeguata lotta ai vincoli europei, senza la quale, dal punto di vista strettamente economico, il mantenimento di qualsivoglia forma di tutela sociale viene posto immediatamente sotto pressione. In più, dal punto di vista politico, entrambi i partiti si sono immediatamente convertiti all’appoggio all’attuale Governo Draghi, vero alfiere delle ‘riforme strutturali’ che metteranno ulteriormente alle strette lo Stato sociale nostrano.
Quel timidissimo e subito rimangiato passo in una direzione differente può quindi ora essere messo sotto attacco, in modo da potersi riprendere anche qualche briciola inopinatamente caduta dal tavolo dei ricchi verso terra. E’ allora qui il caso di ricordare come, se implementato a regime, il reddito di cittadinanza possa per vari canali non essere quella panacea di tutti i mali che i suoi sostenitori della prima ora credono possa rappresentare. Tuttavia, le critiche ad una misura di questo tipo volte a metterne in luce criticità e punti deboli nulla debbono avere a che vedere con un ignominioso rigurgito atto a togliere il pane a chi più ne ha bisogno, che in quanto tale va respinto con forza al mittente