Riceviamo e pubblichiamo

di Franco Astengo

La radicalizzazione e l’eccessiva semplificazione del messaggio politico portano alla marginalizzazione delle sensibilità culturali e sociali che hanno bisogno di articolare il proprio pensiero e la propria azione nell’insieme di un complicato quadro sociale nel quale corrono un complesso di contraddizioni del cui effetto e peso (politico) non si è ancora riusciti a sviluppare un’adeguata analisi.

Contraddizioni semplificatorie che appaiono ancor più acuite nell’emergenza sanitaria, dalla quale non si sta uscendo in un clima di grande confusione provocato dall’insufficienza di relazione tra politica e tecnica e tra Centro e periferia.

Una prima risposta a questo stato di cose è stata tentata attraverso un adeguamento dell’agire politico sviluppato nel senso di una “analogia semplificatoria” che ha preso la veste della democrazia diretta intesa come “uno vale uno” (non certo nel senso del consiliarismo, come sarebbe nella tradizione di una parte della sinistra storica) e nel superamento dei concetti tradizionali di rappresentanza pervenendo, in conseguenza, a un’impostazione di una possibile aggregazione del consenso fondata sullo “scambio politico di massa”.

Un secondo livello di proposta destinata a nascondere la realtà dello scontro sociale e politico in corso è stato quello dell’inasprimento della tensione identitaria posta in contrasto verticale con l’idea di una società globalizzata . L’idea era quella di formare un consistente nucleo di opposizione all’idea di un progressivo cedimento di sovranità da parte della struttura storica dello “Stato – Nazione”.

Dalla crisi di entrambe queste proposte deriva l’appiattimento del sistema politico dentro all’affermazione di egemonia della tecnica sulla politica.

Una crisi culminata nell’adesione di M5S e Lega al governo Draghi.

Governo Draghi dalla cui costituzione deriva un’affermazione di egemonia arrivata nell’espressione di una sorta di sudditanza culturale dell’agire politico dalla quale deriva una quasi completa difficoltà della democrazia parlamentare e l’ulteriore spostamento dell’asse del potere verso il Governo.

Nel “caso italiano” il Governo è ormai quasi arrivato al traguardo dell’essere inteso come entità astratta e superiore, posta al riparo dalla necessità di formazione del consenso attraverso l’espressione di opinioni diverse da parte dell’opinione pubblica.

Il PD appare l’espressione più coerente di questa visione che esclude ruolo e funzione dei corpi intermedi e si allinea alla vocazione di controllo dell’informazione e delle diverse agenzie formative.

L’insieme dell’apparato sovrastrutturale, insomma, sembra corrispondere e accondiscendere all’impostazione della centralità assoluta del concetto di governabilità (ormai ridotta a “governismo”).

Le elezioni possono infatti essere considerate come la “palestra muscolare” nella quale competono individui che ambiscono a recitare una parte sulla scena della cosiddetta “democrazia recitativa” (concetto direttamente tratto dalla degenerazione dell’intreccio tra biopolitica e democrazia del pubblico)

Sta in questo contesto l’ apparentemente insuperabile difficoltà della sinistra a ricostituirsi in soggettività politica (non solo in Italia).

La sinistra non riesce ad esprimere una visione sovranazionale dei fenomeni in corso, manca di capacità di lettura dell’inasprirsi delle contraddizioni principali (in primis quella “capitale/lavoro”), non riesce a definire un punto di collegamento tra dispersione sociale e riconoscimento in una identità politica da organizzare in soggetto collettivo.

Il discorso potrà allora essere ripreso soltanto individuando i termini esatti del riproporsi evidente di una rinnovata articolazione del confronto di classe che si impone anche dentro alle dinamiche in atto nei grandi passaggi storici delle transizioni in atto (migrazioni, ambiente, digitale) e di una necessità di posizionamento stabile nel contesto internazionale (quale Europa nel riprofilarsi del neo-atlantismo e di uno scontro che recupera tratti di bipolarismo?).

Il punto da affrontare dovrebbe essere quello di comprendere davvero il “da che parte stare” in questa radicalizzazione dello scontro avversando metodi e funzioni semplificatorie adottate soltanto in funzione della partecipazione alla governabilità.

Il recupero della grande tradizione della sinistra italiana in una funzione di “ soggetto di pedagogia di massa”, la visione costituzionale del ruolo del governo e del parlamento, l’organizzazione politica complessa tra presenza territoriale e utilizzo dell’innovazione tecnologica potrebbero rappresentare i punti sui quali basare la discussione sulla sinistra italiana: nella scorsa primavera se ne era discusso in diverse sedi, adesso si tratterebbe di riprendere il discorso con la dovuta profondità di analisi.

Non va concessa nessuna delega ad improvvisate alleanze “strutturali” con l’antipolitica dorotea, né a movimentismi moltitudinari che hanno ormai smarrito la capacità di riconoscere la gerarchie delle fratture all’interno delle grandi transizioni che i dominanti stanno intestandosi stando al di fuori dalla fatica della mediazione politica.

Non serve e non vale una semplice accumulazione maggioritaria.

Di AFV

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