Il Cile e l’Argentina hanno una lunga storia di dispute territoriali e marittime che hanno coinvolto le aree di confine, che nel corso dei secoli hanno anche portato ad alcuni brevi conflitti armati. Queste dispute furono originate da un confine per nulla chiaro ereditato dai tempi della colonizzazione spagnola. In un primo momento, tali questioni furono risolte attraverso la firma di un Trattato bilaterale sui confini nel 1881, ma in realtà le diatribe tornarono presto d’attualità.
Il trattato del 1881 stabiliva la linea di confine tra Argentina e Cile lungo la linea spartiacque delle montagne più alte della cordigliera delle Ande, il che risolse facilmente tutte le dispute riguardanti la parte settentrionale del confine. Tuttavia, nella regione della Patagonia, a sud, la linea spartiacque non è più così chiara, il che ha portato ad ulteriori dispute tra Buenos Aires e Santiago. Il diplomatico cileno Adolfo Ibáñez Gutiérrez propose infatti un confine che avrebbe assegnato al suo Paese tutti i territori a sud del 45° parallelo, che l’Argentina non avrebbe mai potuto accettare.
Nel 1902, la guerra tra i due Paesi fu evitata grazie alla mediazione del re britannico Edoardo VII, che propose di stabilire un confine che dividesse in parti eguali le aree contese. Da tale proposta, sorse il confine che in gran parte viene considerato valido ancora oggi. Il 28 maggio di quell’anno, vennero firmati i Pactos de Mayo, volti a migliorare le relazioni bilaterali e a risolvere le dispute territoriali: secondo gli accordi, l’Argentina non avrebbe minacciato l’egemonia della costa pacifica del Cile, mentre il Cile promise di non intromettersi a est delle Ande.
Ad eccezione di alcune brevi schermaglie, i Pactos de Mayo riuscirono nell’obiettivo di mantenere la pace per oltre sessant’anni, fino al 6 novembre 1965, data dell’episodio che viene ricordato come battaglia della Laguna del Desierto, quando una sparatoria tra carabineros cileni e gendarmi argentini ebbe luogo sulle rive del lago chiamato O’Higgins dai cileni e San Martín dagli argentini. Nonostante la morte di uno dei carabineros e le forti tensioni tra i due governi, la guerra venne scongiurata anche in questa occasione.
Nel corso degli anni ‘60, però, l’Argentina iniziò a reclamare sempre più insistentemente la sovranità sulle isole Picton, Nueva e Lennox, amministrate dal Cile e situate nelle acque del canale di Beagle, nella Terra del Fuoco. In questo modo, Buenos Aires contravveniva al trattato sui confini del 1881, che aveva assegnato le isole al Cile. Nonostante il parere favorevole al Cile da parte di un arbitrato internazionale, le trattative diplomatiche fallirono nel 1978, quando il governo argentino inviò le proprie truppe lungo il confine in Patagonia. Il 22 dicembre, l’Argentina avviò l’Operazione Soberanía per invadere le isole, ma l’operazione venne fermata poche ore dopo grazie alla mediazione del cardinale Antonio Samoré, incaricato da Giovanni Paolo II. Il 9 gennaio 1979, le parti firmarono l’Atto di Montevideo, che impegnava entrambe le parti a una soluzione pacifica e al ritorno alla situazione militare dell’inizio del 1977.
In realtà, l’Argentina non aveva ancora rinunciato all’occupazione delle isole, e soltanto la sconfitta militare nella guerra delle Falkland/Malvinas obbligò il governo militare di Buenos Aires a rinunciarvi. Nel 1984, le due parti stipularono un Trattato di pace e amicizia, che definiva la delimitazione del confine e la libertà di navigazione nello Stretto di Magellano, ma soprattutto concedeva al Cile la sovranità delle isole contese.
Anche dopo il trattato del 1984, e persino in seguito alla firma del Trattato di integrazione e cooperazione di Maipu nel 2009, non tutte le dispute sono state risolte. Ad esempio, l’Argentina ha spesso sostenuto la Bolivia nelle sue richieste di creazione di un corridoio che permetta al Paese andino di avere uno sbocco sull’Oceano Pacifico, il che costringerebbe il Cile a cedere una parte del suo territorio. Ma anche il confine sia territoriale che marittimo tra Cile e Argentina è ancora oggetto di disaccordo tra i due governi, nonostante le relazioni tra le parti siano notevolmente migliorate.
Secondo un negoziato del 1998 tenuto a Buenos Aires, una sezione di 50 km della Patagonia meridionale è ancora in attesa di mappatura e demarcazione secondo i limiti già stabiliti dal trattato del 1881. Nel 2006, il presidente argentino Néstor Kirchner ha invitato il Cile a definire in maniera chiara e definitiva il confine, ma il governo di Michelle Bachelet ha lasciato l’invito senza risposta.
Le dispute tra i due Paesi sudamericani sono tornate d’attualità a causa di alcuni decreti emessi dal governo cileno di Sebastián Piñera relativi agli spazi marittimi, firmati dallo stesso presidente, dal ministro degli Esteri, Andrés Allamand, e dal ministro della Difesa, Baldo Prokurica. Tali decreti, formulati a partire dal maggio del 2020, riguardano le aree giurisdizionali marittime da Punta Puga alle isole Diego Ramírez, situate a sud di Capo Horn. Sebbene questi territori siano appartenenti al Cile, le acque rivendicate dal governo di Santiago sono attualmente considerate come acque internazionali.
Attraverso un comunicato stampa, il ministero degli Esteri argentino ha indicato che il provvedimento delle autorità cilene interessa lo spazio marittimo che fa parte del Patrimonio Comune dell’Umanità ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Inoltre, i decreti emessi dal governo cileno “chiaramente non coincidono con il Trattato di pace e amicizia concluso tra i due Paesi nel 1984”. “La suddetta pretesa cilena non è accettabile per la Repubblica Argentina e solleva una situazione che dovrà essere risolta attraverso il dialogo in difesa dei diritti argentini; secondo la storica fratellanza dei nostri popoli e il diritto internazionale”, conclude il comunicato ufficiale.
In seguito alle proteste argentine, il presidente cileno Piñera ha risposto alle accuse, affermando che “il Cile ha piattaforme continentali in molte parti del suo territorio, quindi questa pubblicazione fa parte della nostra politica estera”.
Gli ultimi sviluppi si sono verificati nella giornata del 1° settembre, quando il ministro degli Esteri dell’Argentina, Felipe Solá, ha portato la questione di fronte al Senato di Buenos Aires, invitando anche l’opposizione a sostenere la posizione del governo si questa delicata questione di politica estera. Solá ha ricordato che sono in gioco 5.000 chilometri quadrati di piattaforma argentina e 25.000 chilometri quadrati di fondo marino che fanno parte del patrimonio dell’umanità. Il ministro ha descritto la posizione cilena come espansionista, in quanto secondo il trattato del 1984 il Cile avrebbe diritto solamente ad una zona economica esclusiva a ovest, e non a est della demarcazione del 67° meridiano. Allo stesso modo, ha sottolineato che la richiesta cilena non è accettabile per l’Argentina e solleva una situazione che dovrà essere risolta attraverso il dialogo, in conformità con il diritto internazionale.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog