Dopo la morte di Willie Monteiro Duarte sono state messe in campo iniziative per promuovere una prese di coscienza delle comunità coinvolte nella vicenda, ma ancora sembrano permanere la perdita di servizi e l’erosione della vita sociale

A un anno dalla morte di Willly Monteiro Duarte, dopo l’ondata mediatica che ne è seguita, con il suo corollario di giornalisti e analisti da tutta Italia, “approfondimenti” televisivi con improvvisati opinionisti di ogni sorta, che cosa è successo, quindi, da un anno a questa parte nel nostro comprensorio?


Su quelle valli dove, dopo i riflettori, secondo il “Corriere della Sera” e sarebbe tornata la paura e secondo “Open” la prepotenza era legge, cosa si è fatto e come si è lavorato da parte di quelle forze sociali che mettono parte del loro tempo e lavoro per tenere insieme le proprie comunità e aumentare la qualità e la vivibilità della vita dei propri centri?


La vicenda dell’uccisione del ragazzo di Paliano ha indubbiamente creato, almeno all’inizio, una maggiore capacità di comunicazione tra le realtà dei vari paesi e centri sia coinvolti dalla vicenda che limitrofi. Un’occasione per fare i conti con il proprio ruolo e dare una lettura della realtà in cui si vive.


Un nutrito gruppo di queste realtà ha trovato, forse in maniera un po’ classica ma almeno ci ha provato, nel rivolgersi all’unica istituzione in grado di avere un rapporto con i giovani nel quotidiano, la scuola, il suo interlocutore per cercare di dare un senso alla tragedia. Ne è nata una lettera aperta alle istituzioni scolastiche del territorio. Si può vedere come emerga, già da qui, un primo punto dolente da parte di attivisti e realtà più o meno organizzate.

Quale effetto abbia avuto questa lettera aperta nelle scuole possiamo vederlo, per esempio, leggendo questo articolo. Più facile per gli attivisti andare a vedere come se ne è discusso in un Liceo o in un Tecnico, dove si può trovare un Preside sensibile, ma nulla o poco del resto degli altri Istituti, siano essi secondari di primo o secondo grado. Un limite forte nel lavoro politico di chi dovrebbe porsi il problema delle differenze sociali.


Come accade per eventi come questi che, lasciano il segno per decenni, istituzioni e associazioni marcano il territorio sul terreno del ricordo e delle risposte da dare. Dal canto loro le istituzioni locali, Sindaco di Colleferro e Regione Lazio, hanno risposto con una politica-spettacolo molto accentuata: istituzione di premi, promessa di statue, murales ecc. (qui un passaggio dove si evince la sola risposta di alcuni politici regionali eletti nel territorio).

Dall’altra parte, nel mondo associazionistico, nasce l’idea di un percorso chiamato “In cammino verso” che aveva all’inizio il compito di promuovere una marcia della “non violenza e per la giustizia” da Paliano fino ad Artena. I dibattiti organizzativi che ne sono scaturiti hanno portato all’emergere di diversità di fondo e di alcuni temi tabù di cui per scarsa preparazione e ritrosia non si vuole parlare. Assenti da questa iniziativa le tematiche della droga, le problematiche legate allo spaccio e alla vita delle nostre comunità, uno schiacciamento invece sul tema della violenza e della non- violenza (qui potete trovare il link dell’iniziativa cui comunque partecipano personalità di qualità e spessore).

(commons.wikimedia.org)


LE COMUNITÀ DIMENTICATE


Non la faremo troppo lunga ma, oltre a una scarsa riflessione sulle tematiche legate alla droga rispetto alle quali le associazioni progressiste, scontano una difficoltà e anche un certo perbenismo, un’altra delle problematiche che l’iniziativa del 5 settembre a Colleferro non tiene minimamente in considerazione, almeno nella sua presentazione ma che speriamo nel dibattito emerga, è quella delle comunità fuori dalla piccola-città Colleferro.

A riflettere su questo, tra i circa 6-7 suicidi di under 40 avvenuto a Valmontone da un anno e mezzo a questa parte (frutto delle più disparate e complesse motivazioni: depressioni, scarsi legami sociali ecc. qui trovate l’ultimo caso) e la complessa vicenda del Comune di Artena, senza Sindaco da circa un anno e con 22 dipendenti comunali sospesi per un inchiesta di carattere amministrativo avviata poco dopo l’omicidio di Willy e con la prospettiva, al momento in cui scriviamo, di un lungo commissariamento, ci sono poche realtà e attivisti.

Le realtà più “cittadine” di Colleferro non riescono a cogliere ciò che esce fuori dalla città dello spazio. Alcuni degli attivisti impegnati tra Artena e Valmontone, invece, indicano alcuni elementi come fondamentali: le nostre comunità perdono servizi, non hanno più una vita sociale, senza lo stare insieme, frutto della ricerca collettiva delle soluzioni ai problemi hanno vinto i clan familiari, le piccole tribù parentali il cui unico obiettivo è la sistemazione dei membri della propria famiglia in enti, imprese private e pubbliche.

Un pezzo di giovani, altamente istruito (lauree magistrali e dottorati) a volte emigra al nord e all’estero e, come afferma uno di essi, «ogni anno che tornavo da Londra per le vacanze e per trovare la famiglia qui ad Artena vedevo un pezzo di città in meno, un servizio di meno, una cosa in meno che prima si faceva e che poi scompariva». Insomma, pezzi di città che muoiono a poco a poco e in maniera costante.


Non sappiamo dove va questo cammino, sappiamo però che, a un anno dalla morte di Willy, il lavoro fatto non è sufficiente e non all’altezza delle sfide.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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