Michele Paris
Un nuovo colpo di stato militare è andato in scena nei giorni scorsi in un altro paese africano. Dopo gli eventi dello scorso maggio in Mali, questa volta è toccato alla Guinea, situata sulla costa occidentale del continente e oggetto di forti interessi internazionali per via delle ingenti riserve minerarie di cui dispone. Il presidente appena rovesciato, Alpha Condé, era al centro di critiche e proteste popolari per le tendenze autoritarie che gli vengono attribuite almeno da un paio d’anni a questa parte. Come spesso accade, le motivazioni del golpe potrebbero essere tuttavia un po’ meno nobili e intrecciarsi con la competizione attorno all’industria estrattiva guineana e con le mire strategiche di potenze come Francia e Russia.
L’operazione condotta dai militari ha seguito un copione collaudato, così come gli ufficiali che l’hanno guidata si sono scoperti essere legati ancora una volta a governi occidentali. A ordinare l’arresto del presidente Condé è stato il presunto leader della giunta in fase di insediamento, Mamady Doumbouya, colonnello delle forze speciali dell’esercito con varie esperienze sul campo, tra cui in Afghanistan, e un passato nella Legione Straniera Francese.
Doumbouya, apparso immancabilmente in diretta sulla TV di stato appena passata sotto il controllo dei militari, ha annunciato la deposizione di Condé, la revoca della Costituzione e lo “scioglimento delle istituzioni”. Quella che dovrebbe aprirsi in Guinea è ora una fase di transizione, gestita da un governo di unità nazionale, i cui contorni e piani concreti saranno tutti da valutare. Intanto, il potere è di fatto nelle mani di una giunta militare che ha assunto il nome di Comitato Nazionale per l’Unità e lo Sviluppo (CNRD).
Nel paese è stato istituito un coprifuoco notturno, ma il colonnello Doumbouya si è affrettato a escludere dalle restrizioni le aree dove si trovano i giacimenti minerari, in modo da “garantire la continuità della produzione”. La Guinea vanta le più importanti riserve di bauxite del pianeta. Questo minerale serve per la produzione dell’alluminio, le cui quotazioni si sono impennate a partire da lunedì in seguito alla notizia del colpo di stato a Conakry.
Per il momento non vengono segnalate interruzioni nelle forniture di alluminio, anche se questo settore estrattivo di estremo rilievo per la Guinea potrebbe subire contraccolpi in conseguenza dell’evolversi della situazione politica nelle prossime settimane. Per comprenderne le implicazioni, basti ricordare che la Russia, attraverso il colosso della produzione di alluminio Rusal, domina di fatto l’estrazione della bauxite guineana, mentre la maggior parte delle esportazioni di bauxite sono dirette verso le fonderie cinesi.
Oltre e in parallelo alla questione del controllo dei giacimenti, è da considerare nella valutazione del golpe di domenica scorsa la partnership a tutto campo tra la Guinea e la Russia. Gli ottimi rapporti tra i due paesi risalgono ai tempi dell’Unione Sovietica e in questi ultimi anni hanno assunto un significato ancora più importante per Mosca nel quadro della competizione con l’Occidente in Africa e non solo. Oltretutto, per quanto riguarda la Guinea va considerato che questo paese è stato una colonia francese fino al 1958 e farebbe teoricamente parte della cosiddetta “Françafrique”, ovvero la zona di influenza di Parigi nel continente.
Non c’è dubbio che il deposto presidente Alpha Condé fosse da tempo sulla lista occidentale dei possibili bersagli di una “guerra ibrida”, tentata prima con la strumentalizzazione delle proteste popolari e ora con il possibile appoggio all’iniziativa dei militari. Nel 2019, la Guinea si era infilata nelle cronache dei media “mainstream” in Occidente dopo che Condé aveva introdotto una modifica alla Costituzione per cancellare il limite di due mandati presidenziali.
Nel voto dell’ottobre 2020 si era così puntualmente confermato alla guida del paese, nonostante le proteste, centinaia di arresti e almeno una dozzina di morti negli scontri con le forze di polizia. L’altra linea d’attacco contro Alpha Condé era appunto la collaborazione con Mosca. È sufficiente una rapida ricerca in rete per ripescare articoli di media come Bloomberg o il britannico Guardian che proponevano ritratti dell’allora presidente come una sorta di burattino di Putin.
In particolare, una presa di posizione pubblica sempre nel 2019 dell’ambasciatore russo a Conakry aveva contribuito a creare un clima ideale alla demonizzazione del governo del presidente Condé. Il diplomatico russo aveva in sostanza appoggiato pubblicamente il tentativo, in seguito andato in porto, di Condé per cancellare il limite dei due mandati alla presidenza. L’ambasciatore avrebbe poco più tardi lasciato il suo incarico per passare alla guida delle operazioni della compagnia Rusal in Guinea.
Mosca ha inoltre assistito il paese africano in ambito sanitario, contribuendo alla lotta sia contro l’epidemia di Ebola tra il 2014 e il 2016 sia contro il COVID-19, grazie alla fornitura di vaccini Sputnik V. Se e in che misura la Francia abbia avuto parte nel golpe contro Alpha Condé non è evidentemente chiaro in questa fase, ma è innegabile che gli interessi di Parigi siano chiamati in causa dai fatti in corso di accadimento in Guinea. Gli orientamenti di politica estera dei militari ora al potere aiuteranno a far luce su questo punto, assieme all’eventuale stravolgimento della composizione delle compagnie straniere concessionarie del settore estrattivo guineano.
Senza dubbio, una certa aumentata aggressività francese in Africa appare indiscutibile ed è motivata anche dagli eventi più recenti che non hanno favorito gli interessi di Parigi, come ad esempio nella Repubblica Centrafricana, con l’intensificata presenza russa, o in Ciad dopo la morte lo scorso mese di aprile del presidente Idriss Deby. Per il momento, praticamente tutti i principali organismi internazionali e molti governi anche in Occidente hanno condannato il colpo di stato, dall’ONU all’Unione Africana, fino alla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) e al governo degli Stati Uniti.
Gli appelli al ristabilimento dell’ordine “democratico” e costituzionale sono ad ogni modo la norma in casi come quello della Guinea e non comportano necessariamente un sostegno ai regimi rovesciati con la forza. Ciò che conta è l’atteggiamento dei nuovi detentori del potere e quali interessi saranno disposti a garantire una volta consolidata la propria posizione.
Resta il fatto che anche in Guinea esistevano motivi di natura puramente economica, così come sanitaria, che avevano reso traballante il governo di Condé, tanto più se si considera che l’ormai ex presidente era arrivato al potere nel 2010 prospettando una rigenerazione economica e democratica del paese dopo un turbolento periodo post-coloniale e due anni di dittatura militare. Aumenti dei prezzi dei principali beni di consumo, rallentamento dell’economia a causa della frenata della domanda di alluminio e l’impatto della pandemia di Covid-19 avevano alimentato la rabbia di una popolazione già in larga misura costretta a vivere in condizioni di estrema povertà.
L’inviato di Al Jazeera nel vicino Senegal ha poi raccontato di come il parlamento guineano una settimana prima del golpe avesse approvato un impopolare aumento del bilancio dell’ufficio della presidenza, in concomitanza con una “sostanziale diminuzione” degli stanziamenti finanziari destinati ai dipendenti pubblici e alle forze di sicurezza. Altre ricostruzioni riferiscono invece di uno scontro tra Condé e le forze speciali, comandate appunto dal colonnello golpista Doumbouya, in seguito alla decisione del presidente di rimuovere un alto ufficiale di questo corpo.
Tutti questi elementi hanno avuto con ogni probabilità un peso sugli eventi del fine settimana in Guinea e contribuiscono a spiegare il motivo per cui il golpe militare sia stato seguito da festeggiamenti nelle strade della capitale, così come il fatto che, almeno fino ad ora, non siano stati segnalati particolari scontri o disordini nel paese africano
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