Bufale studiate ad arte, disinformazione strategica studiata per giustificare i tagli, se guardiamo ai numeri reali del reddito di cittadinanza si capisce quanti rari siano i casi dei percettori dell’intero assegno e quanto esigue siano al contempo le offerte di lavoro.
Per funzionare l’offerta di lavoro dovremmo ripristinare i vecchi collocamenti per disoccupati e avere ad esempio una reale necessità nei servizi di forza lavoro che da 30 anni è stata affrontata con la esternalizzazione e l’affidamento a cooperative e aziende.
In Toscana sono meno di 500 le famiglie che percepiscono il massimo assegno del Rdc per altro con presenza, nel nucleo familiare, di disabili e minori e oltre 4 componenti complessivi (famiglie numerose in particolare situazione di indigenza)
Stando ai numeri relativi alla Toscana più del 60% degli utenti ha accettato il lavoro offerto, anche lontano da casa, teniamo conto che i 3\4 dei destinatari del Rdc sono in possesso del titolo di studio della scuola dell’obbligo e non hanno competenze informatiche richieste in molte aziende, sono spesso da anni fuori dal mercato del lavoro e la leva formativa dovrebbe servire per restituire loro le conoscenze necessarie e indispensabili.
E qui entra in gioco il business della formazione, lucroso per alcuni ma del tutto insufficiente per dotare di competenze e conoscenze giudicate indispensabili per entrare nel mercato del lavoro. La soppressione delle vecchie Province gioca un ruolo solo negativo nell’ambito della formazione che risulta carente e inadeguata.
Scopriamo, dati alla mano, che il Rdc è stato per lo più non un sussidio ma una integrazione a redditi insufficienti derivanti da lavori part time e sottopagati, soldi per pagare gli affitti e le rette scolastiche dei figli.
E sempre dai dati scopriamo che le offerte di lavoro sono state spesso inferiori a un reddito minimo giusto a confutare le tesi di certe associazioni datoriali per le quali non si troverebbe manodopera proprio a causa del reddito di cittadinanza
Altro aspetto dirimente per comprendere e confutare i luoghi comuni riguarda la crescente povertà che attanaglia forza lavoro sottopagata e part time. Una lavoratrice delle pulizie ci scriveva ” lavoro da 30 anni, pulizie nelle case e negli uffici e anno dopo anno sono sempre più povera, se prima pagavo le bollette con regolarità oggi sono perfino morosa nell’affitto di 2 mensilità, pensano che sia una privilegiata perché ho un impiego regolare che tuttavia non mi permette di arrivare a fino mese, dieci giorni prima i soldi sono già finiti e se arrivano delle bollette non posso pagarle. 700\800 euro al mese /straordinari inclusi\ con un figlio a scuola e 200 euro di affitto sono una miseria”
Una definizione onnicomprensiva della povertà è impossibile, forse potrebbe aiutarci il rapporto tra entrate e numero dei componenti del nucleo familiare, povertà è anche non avere i soldi per mandare un figlio al nido o accedere a dei servizi sanitari quando le strutture pubbliche rinviano una analisi o una visita di sei o sette mesi (basterebbe aumentare le risorse alla sanità pubblica ma è ormai acclarato che questa non sia intenzione dell’intero arco parlamentare), o rendere decorosa la propria abitazione o perfino dare degna sepoltura i propri congiunti (anche i campi cosiddetti comuni dove resta la salma per un decennio supera in molti Comuni il costo di 700 euro)
La pandemia ha accresciuto le disuguaglianze e creato dei nuovi poveri, quanti fino al 2019 potevano contare su un reddito sufficiente a garantire una vita dignitosa, reddito spazzato via invece dalla crisi .
Perfino il covid ha portato alla luce quanto la malattia abbia colpito, soprattutto nei primi 6\8 mesi, le famiglie piu’ povere, gli abitanti dei quartieri popolari con un elevato tasso di mortalità. Se un contagio avviene in una casa di 40 o 50 metri quadri non c’è possibilità del distanziamento, diventa impossibile garantire le condizioni igieniche e sanitarie minimi per evitare i contagi
L’approccio alla povertà non può essere solo di natura economica o sociologica, i nuovi poveri non possono essere racchiusi in una classificazione ben definita perché sono aumentati i casi di esclusione sociale che caratterizzano la miseria
Negli anni neokeynesiani produrre la ricchezza sociale o\e essere sfruttati non determinava una condizione di miseria tale da non accedere ai servizi essenziali, oggi, negli anni neoliberisti, non è più così
Negli ultimi 40 anni la distribuzione di ricchezze ha determinato il ritorno della ricchezza prodotta ad una fascia ristretta della popolazione e così sono cresciute le disuguaglianze e i nuovi poveri, è andato riducendosi il cosiddetto ceto medio (e negli Usa questo fenomeno di proletarizzazione è avanzato rispetto alla Ue)
Nei prossimi anni la esclusione dalla produzione capitalistica, l’espulsione dal mondo del lavoro riguarderà settori un tempo appartenenti non solo alla working class ma anche ai ceti medi, sarà impossibile per molti\e offrire la merce lavoro per vivere esistenze dignitose. Per questo stanno modificando il welfare e gli ammortizzatori sociali, per prevenire uno tsunami sociale ma lo faranno nell’ottica e negli interessi del capitale e della impresa.
Ammortizzatori sociali e reddito si rendono quasi indispensabili per quanti non potranno più essere schiavi salariali perché esclusi dal mondo produttivo e quindi si creeranno nuove fasce di povertà in settori fino a poco tempo fa produttivi
Poi ci sono i poveri assoluti, gli emarginati che vivono negli slums sconfinati nelle grandi megalopoli latinoamericane e del terzo mondo ma questa immagine di povertà non può essere il parametro di confronto per descrivere la miseria nei paesi a capitalismo avanzato dove i nuovi poveri in qualche modo concorrono, anche come esercito industriale di riserva, alla produzione del plusvalore
I discorsi sulla democrazia e dei diritti umani lasciano fuori quasi sempre la questione distributiva delle ricchezze e quando esistono eccezioni non prendono mai in considerazione l’intera catena del valore, non affondano le loro analisi nella produzione capitalistica odierna. Le teorie dell’economia del bisogno, per consentire l’accesso ad alcuni servizi sociali anche per chi non ha un impiego, può valere per i paesi del terzo mondo attraverso l’intervento di Ong e attraverso il rilancio di economie parallele ma questo esperimento sociale vale per esigue minoranze e non per la stragrande maggioranza delle classi subalterne.
Pensare che sia possibile sfuggire alla miseria attraverso l’economia informale e la piccola produzione delle merci è forse una soluzione consolatoria ma alla fine non coglie i processi in atto nai paesi ex coloniali.
Quando parliamo allora di miseria e povertà dobbiamo guardare sempre all’arrivo dei nuovi esclusi, alla crisi delle partite iva e del ceto medio, alla espulsione prossima di migliaia di lavoratori e lavoratrici dal ciclo produttivo, ai bassi salari che determinano, pur occupati, la condizione di lavoratori in miseria come accadeva prima del neokeynesismo.
Stanno per essere travolte così le vecchie identità sociali e dovremmo rivedere le classificazioni usuali con le quali descrivevamo la società, la stessa nozione di classa operaia, o di popolo, è destinata a subire trasformazioni come del resto accadrà per i soggetti sociali di riferimento. Lo stesso sindacato conflittuale dovrà attrezzarsi conseguentemente uscendo dalla logica dei cosiddetti servizi ai quali in parte si è piegato per offrire risposte alle crescenti domande, una logica che alla fine provoca arretramenti sul fronte dell’analisi di classe e nell’agire conflittuale.
Guardare la povertà dall’ottica distributiva è stata la base del compromesso social democratico e progressista, allargare la nostra visuale alla sfera sociale e produttiva diventa piu’ che mai necessario anche per cogliere le infide trasformazioni del welfare alle quali stanno lavorando i paesi della Ue.
La condizione crescente di povertà all’interno della working class non potrà essere affrontata dentro il compromesso di sacrificare previdenza e sanità pubblica favorendo quelle integrative che alla fine faranno la fortuna dei mediatori sindacali e del settore privato ormai parte integrante di quel welfare che un tempo era solo pubblico.
La rivincita del capitale sul reddito è il risultato degli anni neo liberisti come il pareggio di bilancio in Costituzione, chi continua ad invocare il rispetto della Carta non coglie, per volontà politica, le trasformazioni avvenute per altro con il silenzio assenso dei sindacati cosiddetti rappresentativi che hanno accettato lo scambio perdente tra tenuta salariale (che poi non c’è stata come dimostra la perdita del potere di acquisto) e aumento della produttività alimentando invece i profitti delle grandi aziende e l’aumento dei nuovi mega ricchi insieme allo smantellamento dello stato sociale.
La povertà odierna è costituita da una sorta di working progress, di ingressi sempre piu’ numerosi e di minori uscite a questa area di miseria, le distanze tra poveri e non si sono attenuate soprattutto in epoca pandemica, l’immagine del povero stesso è in profonda e rapida trasformazione e non serviranno le sociologie d’accatto per cogliere i processi di trasformazione.
Redazione pisana di Lotta Continua Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com
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