Nicoletta Dosio si rifiutò di rispettare i domiciliari che le erano stati imposti dal Tribunale di Torino, condanna che aveva vissuto come una ingiustizia e una persecuzione per essere uno dei membri più attivi del movimento No Tav. Per questo è stata arrestata per una lunga scia di “evasioni”. Ieri sera la Corte d’Appello ne ha confermato la condanna a 8 mesi di carcere, a darne notizia un comunicato della rete NoTav.info.
I fatti: nel 2012 Nicoletta Dosio venne arrestata. Per cosa? Perché ai primi di marzo di quell’anno insieme ad alcune centinaia di manifestanti in Valle Susa presidiò per trenta minuti il casello dell’autostrada ad Avigliana. Non ci fu alcun blocco del traffico, i manifestanti sollevarono le sbarre dei caselli e fecero passare gratis gli automobilisti, mentre veniva detto da un megafono: oggi paga Monti (allora presidente del Consiglio). Nel 2016 per questi fatti arrivò la condanna: 8 mesi da scontare ai domiciliari. La militante, che nella vita faceva l’insegnante di greco e latino e già all’epoca aveva 70 anni, rifiutò di accettare la condanna. Sul suo blog scrisse: «voglio evadere dal loro arbitrio, dalle loro norme che tutelano i potenti e criminalizzano i deboli negando diritti umani e naturali e devastando il futuro di tutti e di ognuno, significa lottare per un mondo diverso, più giusto e vivibile : esserci, contro».
E così fece: iniziò ad evadere dai domiciliari. Per partecipare alle attività del movimento, per vedere le amiche, per passeggiare nella “sua” Val di Susa. La polizia iniziò gli appostamenti e nel 2020 venne arrestata e tradotta in carcere, con l’accusa di essere evasa almeno 130 volte dagli arresti. La Dosio, all’età di 75 anni, si ritrovò così tra le mura della prigione Le Vallette di Torino come una criminale. Ieri il processo di Appello ha confermato la condanna a 8 mesi per aver violato ripetutamente i domiciliari. E non è finita. «Lunedì 27/09 è prevista la seconda puntata – comunica il movimento No Tav – continuerà il processo di primo grado per le 130 “evasioni” che le vengono addebitate. Sfileranno ancora i testimoni della accusa per confermare i giorni, le ore, i minuti in cui i controlli a casa sua restavano senza risposta».
Quella di Nicoletta Dosio non è una vicenda isolata, ma è la rappresentazione di quanto accadde quotidianamente in Val di Susa, dove gli apparati dello stato hanno scelto da tempo la repressione, poliziesca e giudiziaria, come unica via per cercare di imporre un’opera che i cittadini non vogliono e contrastano con ogni mezzo da ormai 30 anni. E la situazione sta peggiorando. È in atto una evidente strategia di logoramento del movimento popolare contro l’opera che nelle ultime settimane si è rafforzata lungo più direttrici: dalla mobilitazione di 10.000 agenti contro le proteste, allo stanziamento di 8 milioni di euro di fondi pubblici per l’attuazione di campagne di comunicazione in favore dell’opera. Fino all’ultimo tassello: l‘utilizzo delle restrizioni pandemiche come arma contro i manifestanti, colpiti da centinaia di multe per aver violato le norme sul distanziamento.
[di Francesca Naima]