Adesso basta. Adesso, veramente basta. La misura era colma già da decenni, con assalti dei neofascisti alle sedi dei partiti della sinistra, con incursioni contro i centri sociali, con infiltrazioni in ogni manifestazione dove si può fomentare il caos, mandare tutto a monte e cavalcare ogni protesta per farla somigliare ad una bislacca insurrezione dove si urla sempre più forte solo «Vergogna! Vergogna!» e «Libertà! Libertà!», che vanno di coppia nella ricerca della banalizzazione dei concetti, nella sterotipizzazione dei fatti, ridotti a macchiette del quotidiano e della politica.

I neofascisti non conoscono volutamente la complessità degli eventi e di quello che ci accade intorno: devono rendere semplicistico e sempliciotto il discorso, per pauperizzarlo, per farlo diventare appetibile alle tante rabbiosità che hanno diritto di esistere e di proclamarsi e che, invece di trovare la giusta direzione di una organizzata lotta di classe, si perdono purtroppo dietro alla strumentalizzazione di ex esponenti di Terza posizione, di veri e propri criminali che prendono il megafono e fanno finta che gliene importi qualcosa tanto del green pass quanto della democrazia.

Arrivano persino a distruggersi i polmoni ritmando, davanti a migliaia di persone inebriate da tanta veracità, una parola che dovrebbe essere impronunciabile per chi ha tatuato sul corpo ogni sorta di riferimento simbologico al ventennio fascista: «Resistenza! Resistenza!». La gente, abituata da lustri e lustri a non considerare più alcun confine ideologico ed ideale, nessuna distinzione valoriale compresa nelle parole ed espressa dalle stesse, plaude al neofascista imbolsito che rischia in ogni momento l’arresto cardiaco mentre straparla e stragrida, che paonazzo dirige il corteo, lo accompagna per mano per le vie di Roma e lo porta, senza essere minimamente fermato da un servizio d’ordine di polizia, sotto la sede nazionale della CGIL.

Lì, come se si fosse davanti ad una specie di Capitol Hill tutta italiana, arringa ancora le masse e le porta sul limitare dell’uscio della Camera del Lavoro. Da quel momento, il passo per entrare nell’illegalità più completa e riportare alla mente i saccheggi delle sedi sindacali da parte dei fascisti di primo modello, precisamente un secolo fa, è brevissimo. Lo fanno a decine: rompono i vetri, distruggono le tapparelle, rovesciano piante, fiori, dispenser con il tanto odiato gel per le mani, che probabilmente fa parte pure lui del complotto mondiale per il 5G, per il transumanesimo e il controllo da parte dei potenti capitalisti del pianeta dei una umanità che deve essere schiavizzata (come se non lo fosse già abbastanza…) e diminuita di numero…

I manifestanti si riprendono con i cellulari, fanno dirette Facebook e Instagram: eccomi, sono qua, sto entrando nella CGIL nazionale. Come se fosse una gita turistica, un moderno sacco di Roma, una specie di rivoluzione popolare fatta da chi urla “Libertà, democrazia, resistenza” e venera Benito Mussolini, il generalissimo Franco, Videla e altri tra i più spregevoli criminali del Novecento.

Nel biennio pandemico ancora in corso, nessuna manifestazione No-mask, No-vax e poi No-pass si era spinta così oltre, alzando tanto l’asticella dello scontro antidemocratico da diventare oggetto di attenzione persino del Quirinale e di Palazzo Chigi. Nessuna sede di partito o sindacato era stata messa a ferro e fuoco. Scontri di piazza, disordini per le vie delle più grandi città del Paese che, seppure gravi, erano stati contenuti da una gestione maldestra dell’ordine pubblico.

Adesso, però, il salto di qualità è stato compiuto: ieri abbiamo assistito non ad un atto teppistico o squadristico isolato, ma ad un vero e proprio assalto diretto e guidato, se non organizzato quanto meno pensato e meditato fino a che non si sono verificate le condizioni di piazza, finché non si è esacerbato tanto il clima ogni sabato pomeriggio da tentare il colpo grosso.

Che a formazioni neofasciste e violente, ispirate dall’ideologia criminale che ha distrutto il nostro Paese settanta e più anni fa, si permetta di esistere e di proliferare è più che paradossale: è una aperta violazione della Costituzione, è schierarsi contro la Repubblica.

Il problema dell’organizzazione politica del fascismo post-bellico non è certo ascrivibile a questi ultimi decenni: viene dal lontano 1946, quando il MSI trovò il modo di farsi spazio in Parlamento e non venne mai escluso dall’ambito sociale ed istituzionale perché faceva comodo ad una certa precisa parte politica e ai nostri alleati di campo strategico mondiale, nel contesto della Guerra fredda. Si tentava, allora, di mettere in scacco la crescente forza del Partito Comunista Italiano con atti estremi che si richiamavano ad un mondo sommerso di trame nere, apparentemente slegate fra loro, ed invece ben saldamente collegate da una fitta rete di compromissioni tra apparati deviati dello Stato e formazioni terroristiche eversive di estrema destra.

Oggi, mutatis mutandis, le prove di strategia della tensione si fanno, in tempi di pandemia, utilizzando le sofferenze della popolazione che è titubante, timorosa e recalcitrante nei confronti dei vaccini, abilmente manovrata da quelle fantasie di complotto che partono dagli adepti di QAnon negli USA e arrivano fino a noi sotto le forme di varie colori: arancioni, neri…

Cambiano i colori, cambiano i nomi, cambiano anche gli slogan, ma i fini sono sempre gli stessi: allontanare la povera gente da rivendicazioni sociali che migliorerebbero il loro tenore di vita, che farebbero pensare ad una società magari non immutabile, graniticamente bloccata sulla marcia del liberismo a tutti i costi. La distrazione di massa che le forze sovraniste e quelle di destra estrema e neofascista mettono in campo è un insieme eterogenetico di fini mira ad un ridimensionamento del progressismo, ad una marginalizzazione dei diritti, ad una cancellazione della cultura sociale, democratica e partecipativa nel senso più ampio del termine.

Per questi fascisti di nuovo modello, la libertà sta soltanto nella creazione delle condizioni di maggior disagio possibile, di esacerbazione degli animi, così da infiltrarsi ancora di più negli anfratti della politica italiana e arrivare a posizioni di potere senza nemmeno doversi presentare alle elezioni.

L’assalto alla sede nazionale della CGIL è, però, un atto eversivo plurimo: contro un caposaldo della democrazia sociale del Paese; contro un corpo intermedio che costituisce da più di un secolo un punto di riferimento per il mondo del lavoro e del non-lavoro, per i ceti più deboli e disagiati di una Italia scivolata pericolosamente nelle grinfie del liberismo privatizzatore; ed ancora, contro un emblema, un sinonimo della parola “diritto” contenuto nella Costituzione, che prevede, tutela e garantisce l’esistenza del sindacato come organizzazione fondamentale della classe lavoratrice, di tutti i lavoratori.

Qualunque errore abbia commesso il sindacato, qualunque trattativa abbia sbagliato, qualunque scelta “politica” abbia preso, nulla giustifica l’attacco violento alle sue sedi, che altro non è se non censura arbitraria, intimidazione e degrado antidemocratico che, scagliandosi contro il mondo del lavoro, si getta contro le fondamenta della Repubblica.

Adesso, dunque, basta. Il governo di unità nazionale di Draghi una cosa buona può farla, visto che ha una maggioranza che può sopravvivere anche in presenza di defezioni di coloro che mal volentieri approverebbero una legge simile: deve dichiararsi pronto a portare avanti un iter legislativo parlamentare in cui si dichiarino fuorilegge, fuori dalla società e da ogni ambito e contesto della vita del Paese, tutte le forze politiche violente, sia fasciste sia mascherate da “destre del nuovo millennio“.

Non è più possibile rimandare la discussione e l’approvazione di una legge che applichi la Costituzione in tutto e per tutto laddove si parla del carattere essenziale dell’Italia moderna: l’antifascismo. Bisogna finalmente fare i conti col passato in questo presente caotico, dove non si distingue più nulla e, per questo, si tollera alcune volte senza volerlo, altre volte invece per tattica politica e si minano i luoghi di rigenerazione della democrazia.

E’ forse l’occasione per aprire un grande dibattito nazionale sul fascismo che deve uscire dall’Italia ed esserne un corpo estraneo, espulso e rigettato ogni qual volta provi, con la furbizia di una ipocrita timidezza, a farsi avanti con lusinghe che vogliono solleticare il disagio economico, le problematiche più impellenti e divisive, i nervi più scoperti di una società che, governo liberista dopo governo liberista, cade nella trappola dei sovranisti e dei neofascisti.

Un dibattito di questo tipo deve essere davvero “costituente”: deve implementare e aggiornare l’attualità della Carta del 1948 e creare una partecipazione attiva nella costruzione culturale e sociale di una norma condivisa ed esclusiva al tempo stesso. Al bando le organizzazioni fasciste, al bando ogni tolleranza verso quella “condivisione della memoria” che è un concetto subdolo, infingardo, veicolo del peggiore revisionismo storico e politico.

Al bando il fascismo e quindi tutti i fascisti. Vecchi o nuovi che siano.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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