Durante la prima fase della pandemia, dal suo inizio “ufficiale” in Italia, alla fine di febbraio del 2020, fino almeno all’estate dello stesso anno, abbiamo provato un po’ tutti la sensazione della costrizione, della reclusione, del ridimensionamento delle nostre libertà.
Abbiamo visto, toccato con mano e percepito tutto intorno a noi il disagio della distanza e della troppa vicinanza a volte. Della distanza dagli affetti o dai luoghi che eravamo soliti frequentare in quella che pomposamente, e molto discutibilmente, viene chiamata tutt’oggi “la normalità“, per antonomasia; obbligati a non uscire dalla massima diffusione del virus, quando non esistevano vaccini, quando non esistevano cure di alcun tipo, quando la sanità del Bel Paese, piegata alle ragioni del libero mercato e delle privatizzazioni, si è fatta trovare impreparata a gestire piani pandemici peraltro nemmeno aggiornati…
Pensavamo di aver capito cosa volesse dire stare lontani dalla nostra quotidianità: anche da quella che più ci dispiaceva, quella dello sfruttamento del lavoro, magari quella della scuola o quella di impegni che avremmo volentieri rimandato oppure eluso. Rinchiusi fra quattro mura per due mesi e più, ci siamo persuasi che tutto sarebbe poi andato bene, perché peggio di così non poteva non andare…
E che, inoltre, tutto sarebbe migliorato, a partire da noi stessi, perché ci sembrava di aver toccato il fondo e, siccome “in disgrazia addio orgoglio“, la comune condizione di sofferenza, vissuta nell’incertezza molto democratica del contagio, che poteva colpire tutti senza distinzione di ceto sociale o di etnia, pareva aprire le porte ad un futuro immediato di rinnovato patto sociale, civile e democratico, di esaltazione della convivenza civile fondata su una uguaglianza estesa al tempo della ritrovata sanità per tutte e per tutti.
Non è stato così. Non soltanto per quanto ha riguardato l’evolversi del periodo pandemico con le riaperture e richiusure, il green pass e tutto il codazzo di astiose proteste che si è portato dietro; ma anche per tanti altri aspetti e momenti della nostra vita singola e sociale: a partire dal rapporto che abbiamo con l’altro da noi, con il non italiano, con il migrante, col diverso, con l’”estraneo“, con lo straniero tante volte impropriamente definito tale.
La ridefinizione geopolitica degli spazi di agibilità dei mercati, delle rotte dei capitali verso questo o quel paese più disposto a fare della pandemia una occasione di concorrenzialità esponenziale, di attacco economico e di rafforzamento del proprio polo di sviluppo nella globalità planetaria, è responsabile dei mutamenti di indirizzo non solo della circolazione delle merci ma, principalmente, di quella degli esseri umani.
Mentre sul fronte interno europeo si saldano le posizioni di tredici paesi dell’area Schengen, consolidandosi così linee di indirizzo estranee all’ispirazione federativa ed unitaria del continente, perché fondate sull’esclusione, sul respingimento e sull’abolizione dell’accoglienza come espressione di solidarietà e di umanità alla base non solo dei trattati UE, ma soprattutto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i governi dei vari Stati balbettano e l’esecutivo di Bruxelles obietta soltanto che la richiesta di poter edificare nuovi muri alle frontiere esterne dell’Unione è irricevibile soltanto se contempla l’utilizzo di fondi comunitari.
Sul piano morale, civile e sociale l’Europa di Ursula von der Leyen per ora ha poco, quasi niente da dire. La pandemia non ci ha migliorato, ci ha reso ancora più egoisti, prevaricatori e voltati all’indietro, ripiegati sul nostro ombelico utilitaristico, smentendo quella finzione empatica che aleggiava da balcone a balcone durante le lunghe serate primaverili della chiusura totale. La imperturbabilità liberista fa il suo corso, unitamente al rigore xenofobo, razzista e tendenzialmente autarchico di tutta una serie di paesi che ampliano il già inquietante consesso di Visegrad.
Il punto saliente di questa vicenda che concerne i confini esterni dell’Unione europea è la preoccupante diffusione dell’ideologia sovranista in relazione alla politica estera continentale, alla blindatura fatta di filo spinato e cemento armato, alla voce di bilancio che ogni Stato intende mettere nella propria agenda di governo per sostenere spese di questo genere, piuttosto che per incentivare una politica di relazioni comuni che salvaguardi sia l’economia interna e le relazioni con i paesi più prossimi a quella che non è oggi sbagliato definire nuovamente la “fortezza Europa“.
Salvini approva, il governo in cui sta per ora tace. Certi silenzi sono più pericolosi del vociare, del parlare e in particolar modo dello sbraitare su presunte “invasioni” di migranti che non solo non esistono, perché una invasione vorrebbe che si creasse un moto migratorio tale da occupare fisicamente l’intero Vecchio Continente, come al tempo della caduta dell’Impero romano accadde con il superamento degli organizzatissimi limes di frontiera; ma le tratte dei nuovi schiavisti e speculatori delle migrazioni sono conosciute, già ampiamente contenute con repressioni poliziesche e con accordi vergognosi tra Europa e Turchia, tanto per citare dei bilateralismi che tradiscono lo spirito dell’Unione.
La pandemia ha creato quelle condizioni straordinarie ed emergenziali al punto giusto per poter allarmare ulteriormente popoli spaventati da un pauperismo che avanza senza sosta, per tenere in scacco ogni tentativo di riforma progressista, di tutela dei diritti di ciascuno nella contemplazione necessaria della tutela dei diritti di tutti.
Mario Draghi sostiene che l’effetto delle vaccinazioni farà finire presto questo stato emergenziale. Non c’era bisogno della sua conferma per rendersi conto dell’oggettività: più vaccinati, meno ricoveri in terapia intensiva e meno morti. Quindi si inizia a vedere la famosa “luce in fondo al tunnel“. Ma solo per chi il vaccino si è potuto permettere di farlo due e forse tre volte. Ci sono intere porzioni di pianeta, continenti addirittura, dove il vaccino è “questo sconosciuto” e dove si muore per tutte le concause prodotte dal capitalismo e dalla voracità liberista dei grandi paesi ricchi e democratici, più il Covid-19.
La pandemia finirà anche per una parte del mondo. Verrà “normalizzata” e si curerà con qualche pastiglia o con una iniezione sola all’anno. Ma i migranti saranno ancora più disperati di prima e non serviranno affatto i muri orbanisti o dei presuntuosi tredici paesi europei che pensano in questo modo di arginare il problema ponendo una barriera tra loro e il resto del mondo. Una barriera per gli esseri umani, non certo per le merci, per i capitali, per le transazioni finanziarie sporche del sangue di milioni di sfruttati e di derelitti che non sanno come sopravvivere.
Questa sarebbe l’Unione europea che entra nel nuovo millennio e vuole essere la manifestazione plastica e inequivocabile della pace, della solidarietà tra i popoli e la garanzia di una stabilità a tutto tondo tra le nazioni? Questa è l’Europa degli egoismi più beceri e del “si salvi chi può“. E’ l’Europa dei privilegiati contro il mondo dei diseredati. E’ la casa dei mercanti in alto sopra al monte, mentre – avrebbero cantato “I Nomadi” – la casa dei servi è in basso dopo il ponte.
Ma di ponti ormai si parla sempre meno. Si cercano muri da alzare, barriere da disporre, frontiere da creare. Frontiere contro cui sbatterà violentemente il carrozzone sovranista. Ed allora saremo ancora più ferocemente abbruttiti da tutto questo egoismo, da tutto questo odio e disprezzo, da questa lontananza da una necessaria lotta di classe, da un nuovo opportuno internazionalismo sociale e socialista.
MARCO SFERINI