riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
Dalla “Democrazia del Pubblico” (Manin) alla “Democrazia Recitativa” (Crouch) fino alla “Democrazia delle Emozioni” teorizzata da Pierre Rosanvallon: mutano in tempi rapidi gli assi di riferimento dell’agire politico.
Il quadro generale è quello della crisi della democrazia liberale , di esasperata volatilità elettorale, di formulazione di tesi intorno all’idea del distacco tra governo e rappresentanza, di latitanza della mediazione.
Negli ultimi anni i grandi movimenti di piazza, dai gilet gialli ai no green-pass hanno sconvolto il tessuto sociale.
Il prevalere dell’individualismo competitivo sull’idea novecentesca dell’aggregazione collettiva ha portato, secondo il sociologo francese, alla determinazione delle nostre azioni politiche da parte delle emozioni.
I populisti hanno saputo sfruttarle, mentre i “politici della ragione” le hanno negate.
Rosanvallon si esercita su di una sorte di “terza via” fondata sulle “prove”, ovvero sulle difficoltà vissute individualmente dai cittadini e non vi è dubbio che questo risulti un tema decisivo, soprattutto nella complessità della fase di emergenza imposta dall’epidemia.
Ognuno è richiamato a riconoscere la propria sorte e diventa sempre più difficile muoversi sul terreno dell’orizzonte comune e della trasformazione democratica.
Non possiamo però fermarci su questo limite perché da quel punto del ripiegamento dalla democrazia costituzionale potrebbero aprirsi varchi per infiltrazioni pericolose.
E’ possibile allora approfondire l’analisi e convenire su di una definizione del pericolo più evidente che il ripensamento individualista comporta : quello di sostanziale omologazione al sistema che avviene attraverso l’esercizio del primato dell’io all’interno della nostra coscienza.
Un nichilismo alla cui affermazione potrebbe bastare il dominio dell’ “io” sugli altri.
Gli spazi interiori sarebbero sottratti alla potenza ordinativa del Leviatano e la strategia decisionistica uscirebbe dallo schema del paradigma della modernità, quello che aveva dato origine alla democrazia nel suo significato più originario: fosse questa democrazia “liberale” o “democrazia “socialista”.
A quel punto si segnalerebbe l’inesistenza della mediazione politica.
Si sovrapporrebbero, nella forma di esercizio del comando l’assenza di riconoscimento della condizione comune e l’idea dell’impossibilità di apertura di una forma di libertà politica capace di limitare, attraverso l’esercizio della rappresentanza, la reciproca licenza tra benessere del singolo e interesse collettivo.
L’idea di libertà che si esprime nelle manifestazioni no- pass (beninteso poste al di fuori nella loro espressione di obiettivi dalla concretezza necessaria a risolvere un problema reale di forte contraddizione) ci fa tornare alle origini, allo Stirner di “L’unico e la sua proprietà” (1844): “ogni concetto ideale astratto che si contrapponga alla concretezza irriducibile del singolo va destituito secondo una prospettiva individualistica”.
L’individualismo come punto di fondo del riconoscimento dell’azione politica.
L’individualismo come fonte di un nichilismo basato sul “bel gesto” dell’ egoismo nella ricerca del dominio sulle masse.
Il nichilismo inteso come svilimento complessivo al riguardo del quale tutti saremo chiamati a pagare un prezzo prima di tutto sul piano della possibilità di esercizio della politica considerata fattore essenziale dello sviluppo umano.
Quanto tempo dovremo aspettare perché emerga un qualche segnale di consapevolezza e di messa in opera di una riflessione e di un’azione assolutamente controtendenza a questo quadro di vera e propria distruzione della democrazia repubblicana?