I risultati dei ballottaggi per le amministrative si sono risolte in un disastro per la destra, ma chi ha vinto davvero è stato il partito di Draghi, dei poteri forti italiani ed europei

Le lezioni comunali parziali si sono risolte in un disastro per la destra, che perde non solo a Roma, con l’impresentabile Michetti, ma anche a Torino e, cosa forse ancor più significativa e a volte sorprendente, in città minori sparse in tutta la penisola, da Varese e Savona a Isernia, Caserta, Latina, Cosenza. La riconferma di un candidato di FI a Trieste, di strettissima misura e con una grossa remuntada del centro-sinistra in una città sconvolta dagli scontri sul green pass, è un segnale ancor più allarmante per Meloni e Salvini.

È fallita la demagogia populista ed eversiva nel suo tentativo di innestarsi su una confusa protesta sociale e su un impressionante astensionismo (ha votato poco più del 43%). Rispetto alle manovre politiche della destra il risultato del voto è stato «laconico» (lo rimpiangeremo, Michetti!), ma stiamo attenti a festeggiare un vincitore – ancor più a considerarci parte della vittoria, se non per alcune posizioni locali.

Il Pd ha vinto nella lotteria dei sindaci (rigorosamente maschi e moderati) e, grazie alla diffusione territoriale dei comuni conquistati ha ridotto lo scarto fra voto locale (incoraggiante) e sondaggi nazionali (sfavorevoli, ma ora meno sicuri).

Si è avvantaggiato indubbiamente dall’avere una classe politica riformista quasi decente rispetto al branco disunito e mediocre dei frontmen della destra. Letta si è ripreso in mano per qualche mese il partito, che gli stava sfuggendo e per un po’ starà zitto. Si è perfino reso conto dei limiti di un successo conseguito su un corpo elettorale ristretto, dove vota meno di un elettore su due. Che fine fanno gli altri? Sono indifferenti, consenzienti o incazzati neri e semplicemente non hanno ancora trovato un nuovo profeta a cui aggrapparsi?

Chi ha vinto oggi è il partito di Draghi, dei poteri forti italiani ed europei, con un puntello riformista ora prevalente. Ma appunto, non è il Pd, è stato Draghi a vincere.

E a vincere in un regime in cui il suffragio universale non è scomparso – non esageriamo – ma si è dimezzato, ciò che qualche preoccupazione la dà. Il «senza formula politica» della disgraziata investitura di Mattarella a Draghi, produce i suoi effetti e, se qualche partito perde rovinosamente (i candidati di destra hanno perso voti assoluti fra il primo e il secondo turno – tutti), nessun partito può illudersi di aver vinto, si è assicurato al massimo qualche filiale grassa, ma l’Ad del gruppo bancario sta fuori dal gioco, tiene il malloppo del Pnrr e lo amministra. E i clienti insolventi premono alle porte.

Ci sarà da studiare la ripartizione del voto romano fra i municipi e dunque i flussi dei votanti e la distribuzione del silenzio. Occorrerà vedere le reazioni di partiti e le conseguenze sulle prossime elezioni del Presidente della Repubbliche e l’enigma sulla data delle elezioni e qualche constatazione andava pur fatta, a monte del fatto che è meglio sia andata così piuttosto che un Michetti al Campidoglio. Restiamo a vedere cosa farà Gualtieri e cosa faranno i presidenti nuovi dei municipi con i problemi più urgenti di Roma, con la monnezza (prioritaria solo per il naso) e con altri problemi più strutturali, dai trasporti alle case popolari, dalle occupazioni abitative alla gestione degli spazi sociali e culturali.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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