Le conferenze stampa sulla questione dello Xinjiang sono giunte alla loro 57ma edizione con l’evento organizzato lo scorso 13 ottobre. Tali eventi, organizzati direttamente dal governo locale della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, si rendono necessari in risposta alla propaganda delle “forze anticinesi negli Stati Uniti e in alcuni paesi occidentali [che] aderiscono ostinatamente a dicerie, bugie e inganni”, come ricordato nella conferenza del 4 ottobre da uno dei portavoce del governo regionale, Xu Guixiang. ”Continuano a fabbricare bugie e falsità e a diffondere false informazioni per ingannare la comunità internazionale. Questi luoghi comuni sono in contrasto con i fatti, i principi legali e la morale e costituiscono una seria provocazione alla linea di fondo della civiltà umana”.
Xu ha ricordato che “dalla fine del 2018 […] oltre 2.000 persone provenienti da più di 100 Paesi e regioni hanno visitato lo Xinjiang”. “Alcuni di loro hanno elogiato l’efficacia del lavoro dello Xinjiang sul territorio. Alcuni mettono ciò che hanno visto e sentito nello Xinjiang nei libri per raccontare al mondo la storia dello Xinjiang. Alcuni hanno pubblicato articoli firmati basati su fatti oggettivi nei principali media mondiali per raccontare la verità sullo Xinjiang”. Il portavoce ha poi ricordato anche le numerose risoluzioni ONU e le iniziative internazionali che hanno aiutato a far emergere la verità sul caso dello Xinjiang.
Elijan Anayat, portavoce del governo regionale di etnia uigura, ha ricordato il lavoro che lo Xinjiang ha svolto sul territorio per la deradicalizzazione e per contrastare “la sovrapposizione di forze separatiste etniche, forze estremiste religiose e forze terroristiche violente”. “Lo Xinjiang ha istituito centri di istruzione e formazione professionale in conformità con la legge per effettuare la deradicalizzazione, in modo che i diritti umani fondamentali dei cittadini siano protetti nella massima misura dal terrorismo e dall’estremismo”, ha affermato. “Gli Stati Uniti e alcuni Paesi occidentali dovrebbero guardare obiettivamente all’efficacia della deradicalizzazione nello Xinjiang e riflettere sulle proprie colpe nell’affrontare il terrorismo”, ha aggiunto il portavoce, smentendo le voci che considerano tale politica una forma di “soprressione delle minoranze etniche”.
La professoressa Zuliyati Simayi, vicepresidente dell’Università dello Xinjiang, ha risposto con i dati oggettivi alle accuse di “genocidio” che la propaganda occidentale proferisce contro il governo cinese. “Recentemente, sulla base delle bugie e delle false informazioni di alcune forze anticinesi, gli Stati Uniti e alcuni paesi occidentali hanno affermato falsamente che esiste un ‘genocidio’ nello Xinjiang, in Cina. Questa è un’assurda menzogna del secolo, un insulto e una violazione nei confronti delle persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang e un grave calpestamento del diritto internazionale e delle norme fondamentali delle relazioni internazionali”, ha esordito l’accademica. “Secondo i dati del settimo censimento nazionale, la popolazione dello Xinjiang e la popolazione delle minoranze etniche, compresi gli uiguri, hanno mantenuto una crescita costante negli ultimi 10 anni”, ha spiegato. “Questa non è una questione legale, ma una questione politica con un evidente scopo anticinese”, ha aggiunto, riferendosi alle false accuse prodotte contro Pechino.
Gulinar Wufuli, vicepresidente dell’Associazione scientifica e tecnologica dello Xinjiang, ha invece affrontato la questione della riduzione della povertà e dell’incremento del tasso di occupazione nella regione. “Negli ultimi anni, per vincere risolutamente la battaglia contro la povertà, in considerazione della grande eccedenza di forza lavoro rurale, dell’occupazione limitata e della difficoltà per le persone di liberarsi dalla povertà e vivere bene in alcuni luoghi dello Xinjiang, lo Xinjiang ha implementato l’occupazione politica prioritaria, ampliando continuamente la scala dell’occupazione e cercando di aiutare le persone colpite dalla povertà di tutti i gruppi etnici a scrollarsi di dosso la povertà e ad aumentare il loro reddito”, ha spiegato aprendo il proprio intervento.
“Il trasferimento della forza lavoro in eccedenza urbana e rurale nello Xinjiang ha sempre seguito il principio della volontarietà e non obbliga nessuno”, ha proseguito. “Tuttavia, prendendo in prestito la bandiera dei diritti umani, alcune persone negli Stati Uniti e in alcuni Paesi occidentali pubblicizzano maliziosamente il cosiddetto ‘lavoro forzato’ nello Xinjiang. Il loro scopo fondamentale è privare le persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang dei loro legittimi diritti sul lavoro e far precipitare le persone di tutti i gruppi etnici nella povertà, nell’isolamento e nell’arretratezza, in modo da interrompere lo sviluppo stabile dello Xinjiang e realizzare la loro cospirazione di ‘contenere la Cina con lo Xinjiang’”.
Sulle questioni religiose, è intervenuto Abudurekefu Tumuniyazi, presidente dell’Associazione Islamica dello Xinjiang e dell’Istituto Islamico dello Xinjiang, che ha fermamente smentito le voci secondo le quali il governo cinese perseguirebbe una politica di repressione della libertà religiosa. “Lo Xinjiang attua pienamente la politica di libertà di credo religioso e garantisce le normali attività religiose e le esigenze religiose dei credenti in conformità con la legge”, ha affermato il leader della comunità musulmana. Inoltre, ha spiegato come “negli ultimi anni, le condizioni dei siti religiosi nello Xinjiang sono state continuamente migliorate”, e che tutte le moschee sono state fornite di servizi come acqua corrente, servizi igienici collegati con la rete fognaria, elettricità, accesso a internet.
A dimostrazione della piena libertà di culto, “nello Xinjiang ci sono dieci istituzioni religiose, tra cui l’Istituto islamico dello Xinjiang e le sue otto sedi e una scuola di scritture islamiche. Questi reclutano quasi mille studenti ogni anno e hanno formato un sistema di istruzione e formazione islamico relativamente completo. I classici religiosi, tra cui ‘Il Corano’ e ‘L’essenza del sermone’ di Buhari, sono stati tradotti e pubblicati in cinese, uiguro, kazako e kirghiso, e i canali per i credenti religiosi per acquisire la conoscenza religiosa sono stati continuamente aumentati, il che garantisce un’eredità sana e ordinata dell’Islam”. Questi propositi sono stati confermati anche nella conferenza stampa successiva da Maimati Juma, Imam della moschea Id Kah di Kashgar.
Alla conferenza del 13 ottobre, Xu Guixiang aveva esordito attaccando il ricercatore tedesco Adrian Zenz, noto esponente della propaganda anticinese sulla questione dello Xinjiang, ricordando le recenti rivelazioni pubblicate dalla testata tedesca Nachrichten, che dimostrano come “Adrian Zenz non ha mai svolto alcuna ricerca efficace sulle scienze umane e sullo sviluppo dello Xinjiang. Le sue cosiddette denunce relative allo Xinjiang sono frodi accademiche […] al fine di ottenere ingenti finanziamenti da funzionari americani”.
La conferenza ha portato la testimonianza di diversi cittadini dello Xinjiang, che hanno condiviso con il pubblico la propria esperienza, come nel caso del già citato Imam Maimati Juma. Un’altra testimonianza è stata rilasciata da Aimai’er Simayi, coltivatore di cotone della contea di Xinhe, mentre la seconda parte della conferenza è stata dedicata a rappresentanti delle donne provenienti da varie aree dello Xinjiang. La prima ad intervinire è stata Ayinu’er Maihesaiti, rappresentante delle donne della prefettura di Hotan, secondo la quale “lo Xinjiang attribuisce grande importanza alla protezione dei diritti e degli interessi delle donne”.
Maihesaiti ha spiegato che lo Xinjiang “ha formulato e promulgato leggi e regolamenti relativi ai diritti e agli interessi delle donne […] e si sforza di promuovere la realizzazione dei diritti e degli interessi legittimi delle donne nelle aree politica, economica, culturale e di altro tipo”. “In termini di protezione dei diritti politici delle donne in conformità con la legge, lo Xinjiang considera coerentemente la promozione della crescita e del progresso delle donne come una misura importante per attuare la politica nazionale di base dell’uguaglianza di genere e portare avanti la strategia di rafforzamento del Paese, garantendo il diritto delle donne a la partecipazione al processo decisionale democratico, alla gestione democratica e alla supervisione democratica dello Stato e degli affari sociali in conformità con la legge. Il numero di donne che partecipano alla gestione degli affari pubblici ha continuato a crescere e il numero di funzionari donne è aumentato da 16.338 all’inizio del 1955 a 460.600 nel 2019”.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog