Secondo le frammentarie notizie che provengono dal Sudan, nella prima mattinata di lunedì le forze militari del Paese africano avrebbero dato vita ad un colpo di Stato ai danni del governo di transizione, i cui membri civili sarebbero stati arrestati. Il canale televisivo locale Al Hadath ha indicato che il primo ministro Abdalla Hamdok (in foto) e altri componenti del governo sarebbero stati messi agli arresti domiciliari. L’emittente Al Arabiya ha invece riferito che i militari avrebbero chiuso i principali accessi alla capitale, Khartoum, oltre ad aver interrotto i servizi telefonici e Internet.
Questo colpo di Stato arriva a destabilizzare i già delicati equilibri del Sudan, che si trovava in una fase di transizione dal 2019, quando le rivolte popolari avevano portato alla destituzione del presidente ʿOmar al-Bashīr, in carica da trent’anni. Sulla base degli accordi raggiunti dalle forze politiche militari e civili, il Paese si preparava a indire le elezioni nel 2022.
Tuttavia, il percorso verso le potenziali elezioni del 2022 si era già annunciato molto complicato. Già il mese scorso, il generale Abdel-Baqi Al-Hassa era stato accusato di essere il fautore di un colpo di Stato fallito. In quell’occasione, il governo aveva annunciato di aver sventato il tentativo di golpe e di aver arrestato le persone coinvolte.
Nella giornata di giovedì scorso, invece, migliaia di persone hanno preso parte ad una grande manifestazione organizzata a Khartoum a sostegno di una transizione democratica guidata dai civili, alla quale il governo ha reagito con una repressione che ha portato ad un bilancio di almeno otto feriti. Nuclei di protesta sono stati registrati anche nelle altre principali città del Paese, con annessi scontri tra manifestanti e polizia in assetto antisommossa, che non ha lesinato sull’uso di gas lacrimogeni.
Oltre ai problemi interni, neppure la situazione internazionale sembra in questo momento sorridere al Sudan. In particolare, Khartoum è al centro di una serie di dispute con l’Etiopia, sia per quanto riguarda la gestione delle acque del fiume Nilo che per la determinazione esatta dei confini tra i due Stati. I militari sudanesi sono storicamente contrari ad ogni forma di compromesso circa la sovranità del Paese sui propri territori, e l’instaurazione di una giunta militare potrebbe portare all’acuirsi del conflitto con il governo etiope. Quest’ultimo accusa il Sudan di aver invaso il territorio etiope nel novembre del 2020, violando “i principi fondamentali del diritto internazionale e la risoluzione pacifica delle controversie”.
Il colpo di Stato in Sudan giunge poco più di un mese dopo quello che ha portato alla destituzione del presidente Alpha Condé in Guinea. Ad inizio ottobre, il colonnello Mamady Doumbouya, che ha guidato il golpe di settembre, ha prestato giuramento come presidente ad interim, e ha promesso nell’atto di rispettare tutti gli impegni internazionali presi dal precedente governo di Conakry.
Doumbouya ha prestato giuramento al cospetto del presidente della Corte Suprema, Mamadou Sylla, per un periodo di transizione la cui durata non è stata specificata. Secondo le dichiarazioni del presidente golpista, il governo militare dovrebbe traghettare la Guinea verso la nuova tornata elettorale. Inoltre, Doumbouya ha promesso che né lui né alcun membro del consiglio si presenteranno alle future elezioni che seguiranno il periodo di transizione. In occasione della cerimonia, il nuovo uomo forte della Guinea ha anche promesso di preservare la sovranità nazionale e consolidare le conquiste democratiche, garantire l’indipendenza della patria e l’integrità del territorio nazionale.
Ancor prima, nel mese di maggio, era stato il Mali a vedere i militari prendere brutalmente il potere, con la deposizione forzata del presidente di transizione Bah Ndaw per mano del colonnello Assimi Goïta, già protagonista del golpe dell’agosto 2020, perpetrato ai danni del presidente socialdemocratico Ibrahim Boubacar Keïta. Come Doumbouya, anche Goïta ha prestato giuramento come presidente ad interim del Paese, lo scorso giugno. Parimenti, il leader militare maliano ha promesso di “svolgere elezioni credibili, eque e trasparenti entro il termine previsto, nel rispetto degli impegni presi con la comunità internazionale“. Goïta ha inoltre nominato primo ministro Choguel Kokala Maiga.
Come accaduto con la Guinea ed il Mali, anche il Sudan ora dovrebbe andare incontro ad una sospensione da parte della massima organizzazione continentale, l’Unione Africana. I tre governi militari promettono tutti l’organizzazione di elezioni in vista della restituzione del potere politico ai civili, ma la storia africana ci insegna che i governi militari hanno spesso una lunga durata, quando non vengano a loro volta deposti da altre frange dell’esercito.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog