Vorrei che qualche beneamato sostenitore della sinistrosità del PD e di altre formazioni, anche populiste, presenti nella grande maggioranza di unità nazionale del governo Draghi, mi sollecitasse caparbiamente nell’accorgermi di ciò che non vedo: dove stia il progressismo nel ritornare alla Legge Fornero; dove stia la difesa dei diritti dei lavoratori nel lasciare alla Lega la protesta dal tavolo di Palazzo Chigi alle piazze sulle ipotesi di pensionamento con quota 102 prima e quota 104 poi…

Vorrei davvero potervi dire che in tutto questo io vedo una difesa delle classi sociali più fragili, del mondo del lavoro, contro ogni tentativo di accrescimento del disagio prodotto dalla crescente precarizzazione contenuta in contratti a chiamata, in uno sfruttamento delle giovani (e anche meno giovani) generazioni legate ad un patto non scritto tra scuola e imprese, a tutto vantaggio delle seconde.

Sarà una miopia progressiva (forse un po’ progressista…), ma ciò che è permesso vedere è la protesta di CGIL, CISL e UIL da un lato e il puntapiedi della Lega dall’altro. Nemmeno Giuseppe Conte, considerato da molti un paladino dei diritti sociali, si sta mettendo di traverso sulla questione che concerne il ritorno alla riforma Fornero. Possiamo lasciare ai sovranisti la bandiera della difesa del diritto ad andare in pensione a 62 anni? Possiamo lasciare loro la rivendicazione di lotte che sono della sinistra?

E’ evidente che non possiamo, ma questo è un discorso che vale per la sinistra che sta fuori dalla maggioranza di governo, che sta addirittura fuori dal Parlamento.

Dentro le istituzioni rappresentative non c’è oggi nessun fronte critico, nessuna opposizione degna di questo nome che coniughi lotte sociali e lotte civili, che veicoli nelle Camere le rivendicazioni operaie, della classe lavoratrice, di tutti i lavoratori che hanno il diritto di vedere ampliato il ventaglio delle tutele, soprattutto in tempi di pandemia, in tempi di contrazione endemica di spazi e agibilità democratiche che – seppure giustificate dalle necessità emergenziali sanitarie – finiscono con il pesare due, tre volte tanto sull’intero quadro complessivo dei sacrifici richiesti.

Sulla manovra finanziaria, dunque sulla partita degli scaloni pensionistici, si sta mostrando il volto veramente liberista del governo di Mario Draghi e tutta l’insipienza di quella finzione progressista che dovrebbe trovarsi tra le pieghe di un Partito democratico a cui deve essere assegnata la patente di “sinistra” dalle grandi testate giornalistiche della carta stampata e della televisione. Così deve essere perché è necessario bipolarizzare il discorso politico, escludendo qualunque alternativa veramente sociale e di sinistra.

Lo sfarinamento del purismo pentastellato, miseramente crollato sotto i primi colpi delle compatibilità di governo, è in gran parte opera delle contraddizioni estreme di un movimento interclassista che ha dovuto arlecchinizzarsi, ma è certamente inquadrabile in una operazione più ampia di ridefinizione degli schematismi politici che si erano per qualche tempo stabilizzati su un tripolarismo che non rispondeva alle vecchie categorie della destra, del centro e della sinistra.

La politica italiana ritrova, proprio con la pandemia, un riequilibrio tutto a favore di chi trae oggi e trarrà domani grandi interessi dalla ricalibratura della destinazione di risorse europee su cui non c’è discussione parlamentare che tenga: nel momento in cui sono state concesse, sono state poste chiare condizioni di utilizzo. Non un centesimo deve essere dato al potenziamento di un qualunque tipo di stato-sociale, di economia di Stato, di pubblico che prescinde dal privato.

Il cammino verso il revanchismo liberista della riforma Fornero obbedisce a questi dettami, senza bisogno di riforme istituzionali che decretino un presidenzialismo ante litteram, senza alcun bisogno di chissà quali trattative tra governo e parti sociali: formalmente Draghi incontra tutti, sindacati, associazioni, confindustriali. Ma, alla fine, rimane fermo sulle posizioni che condivide con Bruxelles, facendo rientrare il PNRR entro i parametri del prestito vincolato alla trasformazione liberista dello Stato in chiave intra e post-pandemica. Il rifinanziamento dei debiti privati, quindi il salvataggio di un vasto arco di settori industriali e imprenditoriali, sarà fatto apparentemente con meno risorse dell’italico erario, ma alla fine si tratterà di far pagare il costo di queste operazioni al più ampio settore sociale e popolare.

Si prende sempre dai molti e mai dai pochi. E i molti non sono i ricchi, i padroni, ma la gente comune, quel ceto medio e quel nuovo ceto proletario che faticano ad arrivare a fine mese ma che devono essere i primi ad assumersi la garanzia, la tutela e la continuazione di una stabilità economica nel nome della “salvezza nazionale“.

La decisione ultima è di Draghi. Il Presidente del Consiglio è democraticissimo nella forma, decisionista nella sostanza, ed unifica questi due tratti che gli fanno guadagnare il consenso di chi subirà gli effetti di riforme e di una impostazione complessiva della legge finanziaria devastante per le povere tasche di milioni di disoccupati, di precari, di lavoratori e di pensionati.

Senza costituzionalmente esserlo, questa è già una repubblica semi-presidenziale: la consonanza politica tra Colle e Palazzo Chigi è l’asse su cui poggiano gli ultimi istanti del semestre bianco e su cui si costruisce una continuità che, purtroppo, prescinde dalla volontà del Parlamento. La partita della successione a Mattarella è molto di più di una “semplice” (sia detto sempre tra virgolette, perché non è mai così…) elezione del Capo dello Stato. Se da un lato la Presidenza della Repubblica assume un ruolo più attivo rispetto al passato, è altrettanto vero che al momento della riunione congiunta delle Camere ci si trovi davanti, più che ad un patto politico-istituzionale, ad un patto che metta in prima istanza la difesa di un regime economico pressoché univocamente accettato da quasi tutte le forze parlamentari.

La manovra finanziaria che Draghi si appresta a scrivere con i suoi ministri ha l’ambizione di classe di essere un progetto di protezione della grande economia, della finanza e del rapporto di queste con il più ampio contesto europeo. Il ritorno alla Legge Fornero ne è una chiara manifestazione, un evidenza lampante.

Ciò che veramente disarma è la completa assenza di voci critiche tra le forze politiche che si lasciano paciosamente definire “progressiste” e “di sinistra” e che invece approvano e sostengono il draghismo come declinazione attuale in Italia della ristrutturazione capitalistica nel Vecchio Continente.

Per questo occorre muoversi oltre il contesto istituzionale, nella quotidianità del sociale, ma senza cadere nella trappola della sottovalutazione del ruolo del Parlamento e degli altri poteri della Repubblica: la sinistra che dobbiamo ricostruire deve poter avere una visione molteplice, deve coniugare critica sociale e critica istituzionale. Deve saper riproporsi come forza di lotta e di opposizione: almeno in questa fase, riconquistando quella simpatia popolare che i tatticismi governisti non ci faranno guadagnare e che, invece, ci squalificheranno ulteriormente, facendoci additare come incoerenti e protési ad un ruolo a tutti i costi nelle cosiddette (impropriamente, molte volte…) “stanze del potere“.

Dobbiamo tornare in Parlamento. Ma non a tutti i costi. Perché così facendo il costo sarebbe solo il nostro, di quei moderni comunisti che sono la sinistra vera, la sinistra che non accetterebbe di far parte del governo Draghi e nemmeno di dialogare con l’opposizione sovranista e neofascista. Una sinistra che stia dalla parte di chi lavora e di chi ha diritto di percepire una pensione dopo aver dato al Paese (e ai padroni) la propria forza mentale e le proprie braccia per decine di anni.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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