L’adagio è: «Più se ne parla e più gli si dà visibilità». E’ vero, ma l’obiezione è: «Si può non parlarne e fare finta che tutto vada avanti così, come se si trattasse di un episodio, di un singolo “incidente di percorso”, di una estemporaneità, di una stravaganza di pochi cittadini che protestano, tra tanti e tanti altri che lo fanno senza scendere a livelli così bassi?»
La risposta che mi do è: se ne deve parlare perché non deve sembrare nemmeno lontanamente che sia una bislaccheria passeggera, ma un fatto estremamente grave che connota una parte della incultura popolare, del sentire comune, della percezione contingente dell’attualità in rapporto con la enormità del lascito storico, politico e sociale che proviene dal recente passato.
E allora, sì, se ne deve parlare di quelle persone che a Novara, appena pochi giorni fa, hanno inscenato una protesta contro il Green pass simulando una immedesimazione nei panni dei deportati nei campi di concentramento e di sterminio del Terzo Reich. Hanno sfilato tenendosi non per mano, ma a corde che hanno raffigurato come filo spinato, simile a quello che cingeva i lager nazisti: solo che quello non lo potevi stringere in mano, se ti ci aggrappavi rimani fulminato o venivi crivellato di colpi dalle guardie sulle torrette di sorveglianza.
Dicono di sentirsi uguagli agli ebrei che sono stati portati nei campi, ridotti a larve, espropriati di qualunque dignità e poi avviati alle camere a gas, per poi passare ai forni crematori e diventare quella cenere che cadeva su Cracovia e su tante città occupate dalla barbarie hitleriana.
Dicono che si è iniziato con le registrazioni, le stelle gialle di Davide e si è arrivati alle schedature di massa, alla ghettizzazione, alla deportazione, allo sterminio.
Poco importa per loro che il paragone con l’oggi sia del tutto fuori luogo, così abnorme da oltrepassare qualunque decente attribuzione all’assurdo. Poco importa che in Italia ci sia un governo liberista e non una dittatura totalitaria che reprime tutte le minoranze, che perseguita i semiti, che annienta ogni forma di opposizione, sia di destra sia di sinistra.
Le differenze tra l’oggi e l’ieri sembrano annullate, annichilite da una nuova propaganda antistorica che diventa il peggiore dei revisionismi: non quello che intende confutare i fatti e scrivere una nuova storia; ma quello che vuole ridicolizzare la Storia stessa, prendendone a prestito una porzione, quella più tragica per il genere umano, e riducendola a termine di paragone per una lotta tutt’altro che sociale, tutt’altro che politica, ma settaria, complottista.
Una lotta fatta esclusivamente di fantasie antiscientifiche, di mitizzazione di concetti appresi su Internet, passati di meme in meme, di social in social, fino a diventare la balla più colossale che si possa sentire.
Queste persone, che dicono di manifestare contro il Green pass, sono le stesse che nelle piazze invocano la libertà, la resistenza (per favore… con la erre minuscola!), la dittatura sanitaria e che ritmano concetti che hanno imparato a memoria, divenuti slogan da città a città, proprietà di un movimento eterogeneo che comprende frange dogmaticamente antisistema, esteriormente anarchicheggianti (ma Pietro Gori se ne vergognerebbe, insieme a Malatesta e a tanti altri padri del movimento libertario del nostro Paese) e neofascisti, neonazisti dell’ultim’ora, sempre pronti a soffiare sul fuoco di proteste dal sapore ambiguo, dai confini labili, dal ventre molle.
Dove tutto si compenetra, si mescola e finisce per essere indistinguibile la cosiddetta, celeberrima “matrice“: quanto meno rischia di essere così tanto interpretabile da andare bene per chiunque, tranne per chi – si intende – esercita il diritto di critica sociale, civile e morale, nonché politica contro questo governo ma riconosce, allo stesso tempo, alla scienza il ruolo che le compete. Sapendo bene che il capitalismo tutto mercifica e tutto include: compresa l’imbecillità dei no-vax (si perdoni il francesismo, ma quando ci vuole… ebbene, ci vuole!).
Avere “fede” nella scienza è proprio quello che non si deve fare se si vuole sostenere la ricerca anche da un punto di vista sociale, personale, con parole, azioni concrete. Bisogna avere “fiducia” nella scienza, quindi affidarsi allo studio di scienziati che hanno dato la loro vita per battersi contro le malattie, inseguendole nella loro capacità di adattamento ai mutamenti fisici, biologici e naturali tanto dei nostri corpi quanto dell’insieme ecosistemico globale.
La fiducia è, al contrario del fideismo, libero sostegno alla scienza medica, alla scienza in generale, alla capacità umana di elaborazione del complesso, per sviscerarlo, disarticolarlo e renderlo così semplice da poterlo capire e far capire anche alle persone più semplici, quelle – come il sottoscritto – che poco o niente sanno in merito. Affidarsi in questo modo alla comunità degli studiosi che lavorano per evitare più grandi sciagure all’umanità, dovrebbe essere un comportamento normale, comune, consueto. Un comportamento dettato dal buon senso, oltre che da un doveroso senso critico.
Perché la critica non deve mai mancare: il dubbio va coltivato ma non deve diventare ossessione, altrimenti muta nella variante delta della voglia di conoscenza. La variante della demenza, del depensamento che proviene dalla disinformazione, da distinguo di lana caprina, dalla messa in discussione dell’oggettività e crea una spirale perversa di creduloneria e di pressapochismo che è davvero frustrante oltre che disarmante.
Parlare con un no-vax nel migliore dei casi vuol dire scontrarsi con la sua anche giustificata paura di farsi iniettare il vaccino perché “chissà cosa contiene“, perché “è ancora una sperimentazione e io non voglio essere una cavia“, e così via. Nel peggiore dei casi, ti ritrovi davanti gli imbecilli vestiti da deportati che sfilano con un finto filo spinato tra le mani e cartelli con scritto “Basta dittatura“.
Mi ripeto, ma devo farlo: continuando ad invocare eventi, cose, persone che non esistono, come dittature sanitarie, vaccini fatti con feti di babbuini, conigli, con dentro microchip per controllarci a distanza, per alterare il calore corporeo o surriscaldarci il sangue e farci morire; oppure autoritarismi inesistenti, si finisce con lo smarrire il senso delle parole, di ciò che rappresentano. Significanti e significati valgono così alla stregua di mere espressioni prive di una aderenza con la tangibilità dell’esistente e si sprofonda in un revisionismo storico compreso in un relativismo antiscientifico, antietico e a-morale che permette di dire tutto e il contrario di tutto.
Il problema è prima di tutto culturale, sociale e civile. Quindi è anche morale e politico. Perché chi pensa di paragonare al cancellierato hitleriano il governo liberista, tecnocrate e tutt’altro che amico della povera gente, sorretto dal carisma finanziarizzatore di Mario Draghi, benvoluto da tutti gli organismi di controllo internazionale della stabilità dei mercati e della circolazione del capitale stesso, non vede proprio quello che il governo è: una sentinella a guardia dei privilegi di classe e non un esecutivo totalitario.
Non è nemmeno paragonabile ai governi di Polonia e Ungheria, che sono apertamente clerico-fascisti, sovranisti all’ennesima potenza: nessuna parvenza di liberalismo in quei paesi dell’Est dove un tempo trovavi il migliore stato sociale europeo e dove oggi trovi antiabortisti, antisemiti, xenofobi di ogni risma e ottusità dogmatiche clericali.
Non bisogna, però, nemmeno sopravvalutare il problema di cui si sta scrivendo: se una rondine non fa primavera, forse nemmeno un gruppo di depensanti è paragonabile a tanti cittadini (che restano pur sempre una rispettosa minoranza rispettabile) che legittimamente protestano contro una misura varata dal governo e pure contro le vaccinazioni.
Solo chi vuole enfatizzare lo scontro mette in piazza sceneggiate patetiche come quella cui è toccato assistere a Novara. Ma non meno gravi sono le magliette che ho visto in giro anche nella mia città con sopra scritto: «Grenn pass arbeit frei» o cartelli con le SS runiche al posto delle ultime due lettere di “pass“. Non meno gravi, inoltre, sono le tante stelle di Davide che molti manifestanti si sono messi a mo’ di coccarda sui vestiti, per paragonarsi anche in questo caso a tutti gli ebrei d’Europa perseguitati dai nazisti.
Una minoranza di follia in una minoranza che dovrebbe espellere dai cortei questi individui che prendono a prestito pagine insanguinate della Storia per sfruttarla a proprio uso e consumo, per fomentare odio, per irridere quelle sofferenze patite da milioni e milioni di esseri umani che non avevano la scelta se fare o no un vaccino, se fare il tampone per avere il Green passa ed entrare in pizzeria, a teatro, per andare al cinema oppure per poter garantire sul luogo di lavoro la salute propria e quella dei propri compagni…
Quei milioni di persone non avevano nessuna scelta. Non c’era nessuna dittatura sanitaria allora. C’era la dittatura vera, quella che non le permette le manifestazioni di dissenso; quella dove il dissenso non è contemplato: nel Terzo Reich ci si poteva, al massimo, definire “apolitici” se proprio non si voleva prendere parte alla vita della nuova Germania sotto le bandiere con la svastica. Ma non esistevano tedeschi dissenzienti. Non esisteva nessuna forma di protesta e nemmeno di proposta. Nulla di nulla.
Questa gente che si prende gioco della Storia, di una tragedia immane, lo fa abusando del diritto di libertà di espressione e di manifestazione. Lo può fare perché vive in una democrazia. Una democrazia ricca di contraddizioni, ma pur sempre una democrazia che, almeno formalmente, rispetta le opinioni di tutti e spinge a farlo. Non si tratta qui di discutere i diritti sostanziali che sono costantemente violati dalle politiche governative, dall’accanimento contro il mondo del lavoro, contro i diritti fondamentali di ogni cittadino di poter vivere dignitosamente. Il discorso ci porterebbe molto lontano: dalla sovrastruttura statale alla struttura economica che la uniforma alle necessità di riproduzione del capitale e di accumulazione di profitti sempre più grandi.
La capacità critica di analizzare il contesto socio-economico e, allo stesso tempo, di avere ben presenti le emergenze del nostro tempo, anche sul terreno dei diritti civili e delle libertà fondanti le comunità nazionali, può essere una unità consapevole della difficoltà che vive l’umanità oggi: tra la morsa della crisi economico-pandemica e quell’emergenza ambientale globale che i grandi del pianeta affrontano dal punto di vista liberista, non tenendo conto nemmeno delle richieste di un riformismo liberale che vorrebbe correggere gli eccessi della declinazione moderna del capitalismo su scala mondiale.
Paragonata ai grandi problemi dell’umanità, l’esibizione indecente di alcuni novaresi vestiti da deportati di Auschwitz, risulta trascurabile, come ogni particolare che viene messo in relazione all’universale. Bisogna evitare questa tentazione di monadizzare gli eventi: fanno tutti parte di un unico “ambiente“, di quel villaggio globale dove le proteste si sentono in ogni angolo del mondo, tanto diverse fra loro quanto unite dall’insopportabilità del sistema economico che non soddisfa nemmeno lontanamente i bisogni di miliardi di individui sfruttati e lasciati morire nell’indigenza.
Bisogna dare il giusto peso ad ogni situazione e, per questo, quanto è accaduto a Novara merita la dovuta stigmatizzazione e ha bisogno di una vigilanza democratica, repubblicana, laicamente tale. Una vigilanza cultural-sociale, che abbia a cuore la preservazione della memoria nel ristabilimento opportuno dei fatti e, così, nel dichiarare che certi paragoni sono più che inopportuni, sono la dimostrazione di un analfabetismo di ritorno che non ci possiamo permettere, perché vuol dire incapacità di difendere, prima di tutto, i diritti sociali, i diritti fondamentali di ogni essere umano, di ogni essere vivente.
MARCO SFERINI
foto: screenshot dai social e da You Tube