La transizione one ecologica rischia di ridursi alla disputa tra i fautori dell’energie rinnovabili e quanti invece vogliono perseverare nello sfruttamento di quelle tradizionali. Una riduzione così drastica dei problemi alla fine mette gli inquinatori di ieri e di oggi nella comoda posizione dei salvatori del pianeta. Dietro alla transizione ecologica, come a Industria 4.0, si celano interessi capitalistici che incompresi o peggio ancora non analizzati rischiano di costruire una narrazione tossica. Prendiamo solo alcuni dati: quasi il 28 % delle emissioni mondiali di anidride carbonica arrivano dalla Cina che ha commissionato i 3/4 delle nuove centrali elettriche a carbone. Il quarto paese nel mondo per emissioni è la Russia che resta tra i principali produttori di gas e petrolio. La produzione manifatturiera della Cina è da anni superiore a quella Usa, quasi il 29 per cento della produzione mondiale che poi corrisponde al 30 per cento del Pil cinese. Tutto ciò comporta una quantità di energia almeno pari al doppio di quella Usa e così la Cina presenta emissioni quasi pari a quelle di Usa, India e Russia insieme. Ma pochi ammettono che le emissioni cinesi sono anche risultato della delocalizzazione produttiva occidentale nei distretti industriali del Sud est asiatico (e non solo in Cina), quindi una buona parte del problema energetico riguarda i paesi occidentali che a loro volta l’hanno delocalizzato in nome del minor costo della forza lavoro. Giusto a ricordare che la devastazione ambientale nei paesi poveri è risultato non tanto delle politiche energetiche degli stati nazionali ma dal trasferimento operato dalle multinazionali occidentali delle produzioni più nocive Una svolta cosiddetta ecologica con il crescente ricorso ad alcune energie rinnovabili è funzionale ai giochi europei e Usa e in funzione anti russa e anticinese si trovano in difficoltà nella transizione verde e digitale e hanno bisogno di maggiore tempo per riconvertire il loro apparato industriale. La esasperazione della crisi climatica è frutto anche delle continue pressioni di centri di potere economico e finanziario occidentali che controllano anche i media, con questo non bisogna sottovalutare i problemi legati all’inquinamento che hanno ripercussioni negative sulla salute di milioni di uomini e donne e ovviamente sul pianeta. Cina e Russia da anni ricorrono ormai agli stessi consulenti occidentali in materia di riconversione industriale, Jeremy Rifkin ha lavorato tanto per gli Usa quanto per Pechino ed è tra i fautori della fusione tra la transizione ambientale e quella digitale, stanno già costruendo i progetti delle città del futuro con tutti i servizi interconnessi, forse una utopia ma realizzabile in alcune aree regionali. Tra gli obiettivi del G20 c’era la riduzione della anidride carbonica del 55% rispetto al 1990, in alcuni paesi occidentali ricerche e tecnologie investimenti nelle rinnovabili necessitano di investimenti statali, la transizione avrà bisogno di tempi medio lunghi e sui tempi e sulle tecniche da utilizzare si materializza lo scontro inter-imperialista. Ma dietro alla transizione si muove anche la lobby del cosiddetto nucleare pulito che in alcuni paesi europei è particolarmente agguerrita. L’amministrazione Biden, e a ruota il fedele alleato italiano, spinge verso piani di investimenti per le rinnovabili, un fiume di soldi destinato a mandare in pensione fabbriche e produzione legate alle vecchie energie non rinnovabili e alla tecnologia ad esse collegate. Nel nome della difesa dell’ecosistema si sta consumando uno scontro feroce che con la tutela della salute e dell’ambiente ha poco da spartire mentre assai più forti sono le ragioni economiche e finanziarie dietro alla riconversione ecologica, o presunta tale, della produzione. Non sottovalutiamo allora il problema legato all’inquinamento ma non cadiamo nella trappola del capitalismo ecologico che di ecologico ha assai poco e allo stesso tempo iniziamo a costruire competenze per una lettura aggiornata dello scontro in atto tra blocchi di potere, scontro che si occulta dietro ad interessate campagne presunte ecologiste. Giusto per non ritrovarsi fondazioni e banche a sostegno dell’ambiente ma in prima fila nel finanziamento degli stati e delle multinazionali attive nella deforestazione. Un po’ come accade con l’estrattivismo nei paesi poveri che, per non soccombere davanti agli stati più forti finiscono con il sostenere, non senza qualche riflessione e autocritica nel continente latino-americano, politiche non certo ambientaliste. La critica all’estrattivismo può essere giusta se arriva dalle popolazioni locali in lotta contro le devastazioni ambientali, da rigettare invece se proviene da fondazioni e ong finanziate dall’Occidente e dai paesi capitalistici. Non è dato sapere se l’obiettivo dei paesi più grandi di abbattere, nel 2050, le emissioni di anidride carbonica sarà raggiunto e con quali costi economici e sociali, conosciamo invece le richieste dell’agenzia Onu che da oltre un anno chiedere ai paesi di investire nelle rinnovabili parte del loro bilancio visto che due terzi dei soldi promessi non sono arrivati.
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