Il disegno di Legge di bilancio (DLB) è stato presentato venerdì in Parlamento. Nei giorni passati sono uscite diverse bozze non ufficiali e, in base a quelle, è stato possibile farsi un’idea, di certo non piacevole, degli orientamenti del Governo. Adesso, però, il testo è quello definitivo. Di particolare importanza è la riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC), che si trova all’articolo 21 del DLB. Sappiamo, infatti, che negli ultimi tempi si sono susseguiti diversi attacchi a questa misura, pur minima, di sostegno al reddito. Renzi ha sottolineato senza vergogna che la gente deve soffrire, ha denominato con sprezzo il RdC reddito di criminalità ed ha annunciato un referendum abrogativo della misura che si è rivelato fallimentare. A chiedere lo scalpo del RdC è anche la Lega, che pure votò a favore del RdC quando era al governo nel Conte-I e nelle aule parlamentari. Ma erano altri tempi. Il Salvini del Governo Conte-I non è il Salvini del governo Draghi. Quest’ultimo è così contrario al RdC che ha addirittura annunciato un emendamento alla Legge di bilancio per abrogarlo e adesso propone un’estensione verso l’alto del regime forfettario per le partite IVA volto ad abbassare le tasse ai più ricchi andando a pescare le risorse, guarda caso, proprio dalla dotazione del fondo per il RdC.
La legge di bilancio è dunque un importante banco di prova per capire le intenzioni del Governo Draghi, nel quale convivono partiti favorevoli e partiti contrari al RdC. Vediamo dunque in cosa consiste la riforma del RdC contenuta nel DLB, con la precisazione che da oggi al 31 dicembre, giorno ultimo per l’approvazione definitiva della legge di bilancio in Parlamento, molte cose potranno cambiare. Vedremo che la maggior parte delle modifiche va in un’unica direzione, quella di rendere più difficoltoso per i beneficiari usufruire del più benefico effetto del pur modesto RdC: quello di potersi permettere, per un tempo limitato ed entro stringenti limiti, di rifiutare offerte di lavoro al limite della sussistenza.
La riforma del RdC: l’indebolimento della posizione del lavoratore
Le modifiche alla disciplina del RdC sono tante, ma ci occuperemo soltanto di quelle che influiscono sulla forza contrattuale del lavoratore indebolendone la capacità di contrattare salari e condizioni di lavoro dignitose. La partita più grande è quella che riguarda le offerte di lavoro. Attualmente è previsto che i beneficiari debbano accettare almeno una di tre offerte di lavoro ‘congrue’, pena la perdita del beneficio; in caso di rinnovo del beneficio (che avviene dopo 18 mesi dal riconoscimento) deve essere accettata la prima offerta congrua. Il DLB porta da tre a due il numero massimo di offerte congrue che possono essere rifiutate senza perdere il beneficio e modifica, in senso peggiorativo, anche la definizione di offerta congrua.
Attualmente, infatti, la congruità dell’offerta di lavoro è definita anche con riferimento alla durata di fruizione e al numero di offerte rifiutate (inoltre è prevista una retribuzione minima, come vedremo più avanti). In particolare, nei primi dodici mesi di fruizione del RdC, è congrua un’offerta entro cento chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile in cento minuti con i mezzi pubblici, per quanto riguarda la prima offerta. La seconda offerta è congrua se rientra nei duecentocinquanta chilometri di distanza. Per la terza offerta, invece, non c’è limite di distanza, ma è sufficiente che il posto di lavoro si trovi sul territorio italiano (fatti salvi i casi in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità, elemento che riduce la distanza massima a 100 km). Dopo i primi dodici mesi, è congrua un’offerta entro duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario nel caso di prima e seconda offerta, fermo restando quanto previsto per la terza offerta.
Con il DLB viene meno il riferimento alla durata di fruizione del RdC per definire un’offerta congrua. Non ci saranno più differenze, dunque, tra soggetti che prendono il RdC da meno o da più di dodici mesi. Con la riforma è definita congrua un’offerta entro ottanta chilometri o cento minuti con i mezzi pubblici, se si tratta di prima offerta, ovvero ovunque nel territorio italiano se si tratta di seconda offerta, fermo restando il caso di componenti con disabilità. In caso di rapporto di lavoro a tempo determinato o a tempo parziale, si applica il limite di ottanta chilometri o cento minuti sia alla prima che alla seconda offerta.
Sempre in riferimento alle offerte di lavoro congrue, attualmente è necessario, affinché un’offerta di lavoro possa dirsi tale, che la retribuzione sia superiore di almeno il 10 per cento rispetto al RdC massimo per un solo individuo, ovvero rispetto a 780 euro. Con questa definizione, dunque, un’offerta è congrua se prevede una retribuzione mensile pari almeno a 858 euro (780 euro più il dieci per cento). Con la riforma contenuta nel DLB, si specifica che tale retribuzione deve essere riproporzionata in base all’orario di lavoro previsto nel contratto individuale di lavoro. Ciò vuol dire che, nel caso più semplice di orario di lavoro dimezzato rispetto a quello pieno, un’offerta di lavoro part-time sarà congrua se maggiore di 429 euro.
È inoltre confermato – rispetto alle bozze circolate nei giorni precedenti – che dal 1° gennaio 2022 la parte di RdC a integrazione del reddito familiare si riduce di 5 euro (una sorta di décalage punitivo) per ciascun mese a partire dal mese successivo a quello in cui si è eventualmente rifiutata un’offerta congrua, entro determinati limiti e ferma restando la decadenza dopo il rifiuto di due offerte congrue.
Incentivi più facili per i datori di lavoro e una fetta per le agenzie per il lavoro
Cambia anche il regime degli incentivi ai datori di lavoro che assumono percettori di RdC. Attualmente, il datore di lavoro privato che comunica alla piattaforma digitale dedicata al RdC presso l’ANPAL le disponibilità dei posti vacanti, e che su tali posti assuma a tempo pieno e indeterminato, anche mediante contratto di apprendistato, soggetti beneficiari di RdC, ottiene un esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Con la modifica apportata dal DLB, l’esonero spetta al datore di lavoro privato che assuma a tempo indeterminato, pieno o parziale, o determinato o anche mediante contratto di apprendistato, i soggetti beneficiari di RdC. Vengono dunque meno la necessità di comunicare la disponibilità dei posti vacanti alla piattaforma e quella che l’assunzione sia a tempo pieno e indeterminato. Un enorme regalo alle imprese che potranno usufruire di uno sconto sostanzioso sul costo del lavoro senza nemmeno garantire contratti stabili.
Ma ce n’è anche per le agenzie per il lavoro. È infatti previsto che esse possano svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro per i beneficiari di RdC e ottenere, per ogni soggetto assunto, il 20 per cento dell’incentivo al datore di lavoro, decurtato dal medesimo. Il RdC, insomma, farà anche schifo ai padroni se i soldi vanno ai lavoratori, ma diventa una cosa tutto sommato accettabile quando entra nelle tasche di imprenditori e mediatori. Questa modifica, inoltre, rischia di amplificare la tendenza delle imprese a sostituire lavoratori stabili con lavoratori precari, facendo sì che il RdC si trasformi progressivamente in un moltiplicatore di precarietà.
Il Brunettismo fase suprema del Draghismo: il feticcio della presenza
C’è poi un aspetto che potrebbe far sorridere, ma che in realtà mostra in maniera ancora più evidente quanto questo Governo abbia una mentalità punitiva nei confronti dei soggetti che percepiscono il RdC. Ulteriori modifiche al RdC riguardano gli obblighi e gli impegni previsti per quanto riguarda la ricerca di un posto di lavoro da parte dei beneficiari. Attualmente è previsto, tra l’altro, che i beneficiari tenuti agli obblighi connessi alla fruizione del RdC accettino di svolgere ricerca attiva del lavoro, verificando la presenza di nuove offerte di lavoro. Con le modifiche contenute nell’articolo 21 del DLB è previsto che la ricerca attiva del lavoro è verificata presso il Centro per l’impiego in presenza con frequenza almeno mensile e che in caso di mancata presentazione senza comprovato giustificato motivo si applica la decadenza dal beneficio. Anche per quel che riguarda il Patto per l’inclusione sociale, che riguarda i percettori non immediatamente avviabili al mercato del lavoro, il DLB prevede la frequenza almeno mensile in presenza presso i servizi di contrasto alla povertà per verificare i risultati raggiunti e del rispetto degli impegni assunti; anche in questo caso, la mancata presentazione senza motivo comporta la decadenza dal beneficio.
In generale, si dispone, per i beneficiari tenuti a determinati obblighi è prevista la partecipazione periodica dei beneficiari ad attività e colloqui da svolgersi in presenza. È impossibile non sentire in queste disposizioni l’eco degli strali di Brunetta nei confronti dello smart working per i lavoratori pubblici e la soddisfazione per i mirabolanti effetti sul PIL del ritorno in presenza. Che si tratti di un caso o di una traccia psicoanalitica lasciata dal passaggio del Ministro per la pubblica amministrazione, queste nuove regole, con un accento così forte sulla partecipazione in presenza, segnalano una volontà ben precisa: rendere più difficile la vita ai presunti pelandroni da divano, palla al piede per la ripresa dell’economia come i lavoratori della pubblica amministrazione. Per l’abulia di entrambe le categorie è prevista una cura a base di “presenza”.
Conclusione
Abbiamo cercato di esporre le principali modifiche alle regole sul RdC contenute in quella che è la base di partenza della prossima legge di bilancio.
Il RdC, vale la pena ricordarlo, pur non essendo uno strumento perfetto e pur essendo nato dagli interessi dei partiti che, all’epoca del governo gialloverde, si spartivano le poltrone ministeriali, rappresenta un limite alle pretese dei datori di lavoro, perché mette i lavoratori in una posizione leggermente più forte in fase di contrattazione.
È caratterizzato da aspetti odiosi e punitivi, quali gli obblighi di ricerca del lavoro e di accettazione di determinate offerte di lavoro, il requisito di dieci anni di residenza in Italia (che, per compiacere la Lega e risparmiare qualcosa, taglia fuori una buona parte degli immigrati), la necessità di spendere per intero gli importi pena la ‘scadenza’, ma ha rappresentato, seppure in misura forse impercettibile e senz’altro insufficiente, un’inversione di tendenza nelle politiche sociali e del lavoro degli ultimi decenni. Non a caso, si è attirato le antipatie di gran parte dei partiti dell’attuale Governo e di buona parte dei padroni, che ne hanno chiesto a più riprese l’abolizione o il depotenziamento.
Ebbene, a leggere le norme contenute nel disegno di legge di bilancio, sembra che il Governo abbia trovato una quadra su questo depotenziamento, iniziato con il testo presentato al Senato e che probabilmente potrebbe essere accentuato dagli emendamenti che saranno discussi e approvati. Si tratta di una riforma ripugnante, ma che rischia di essere soltanto la punta dell’iceberg delle riforme che verranno nei prossimi anni, dagli ammortizzatori sociali al mercato del lavoro. Un campanello d’allarme che non va sottovalutato.