La diretta Zoom dei vertici di Articolo Uno, creatura nata dalla scissione di sinistra dal Pd nel 2017 e mai realmente decollata, doveva essere l’occasione per scambiare gli auguri per le feste tra dirigenti e militanti, mentre si è rivelata occasione per nuove polemiche nel campo del centro-sinistra.
A far discutere in queste ore sono le affermazioni di Massimo D’Alema, che nel definire ormai necessaria una ricomposizione col Partito democratico ha poi aggiunto: “La principale ragione per andarcene era una malattia terribile che è guarita da sola, ma che c’era”. Il riferimento è ovviamente a Matteo Renzi, l’allora segretario Pd che spinse D’Alema e soci a lasciare il partito per fondare una formazione che voleva essere il nuovo riferimento per la sinistra riformista, ma non è mai andato oltre il 3% dei voti con il cartello elettorale “Liberi e Uguali”.
Per D’Alema insomma il problema era la malattia del renzismo, passato il quale non vi è ormai più alcun motivo per non tornare all’ovile, sfruttando ovviamente le Agorà democratiche indette dal segretario Enrico Letta per il prossimo maggio. Eppure c’è qualcosa che non quadra in questa narrazione: Renzi di chi è figlio?
Il Renzismo, questa è ovviamente solo una proposta di lettura, altro non è stato che l’accentuazione della tensione maggioritaria e post-ideologica che era nel dna del Partito democratico sin dal suo atto fondativo. Non è forse lo stesso Renzi il prodotto più maturo di quella “terza via” blairiana che pure lo stesso D’Alema aveva originariamente abbracciato per poi compiere una (molto tardiva) autocritica?
Se vogliamo dare per buona questa lettura, occorre allora forse domandarsi perché un soggetto come Articolo Uno, che pure si poneva l’obbiettivo di ricreare una casa per la sinistra riformista abbia così miseramente fallito il suo scopo. Non vi sarà forse un problema di credibilità di una classe dirigente che è stata percepita dall’elettorato di sinistra come corresponsabile di quella “malattia” e quindi non in grado di produrre un’alternativa credibile?
Il dramma vero dei vari D’Alema, Bersani e compagnia è stato anche quello di non essere stati mai realmente conseguenti alle loro affermazioni: alla convinzione che il Pd fosse un partito ormai perso (perché altrimenti molto meglio hanno fatto altri, come Cuperlo a rimanerci dentro seppur in polemica con l’allora segretario Renzi) non ha seguito alcuno sforzo concreto e definitivo volto alla costituzione di un nuovo partito, dal momento che lo stesso Articolo Uno si è sempre autorappresentato (più o meno consapevolmente) come un club di comandanti senza truppe (e senza alcuna ambizione ad arruolarne).
La sensazione che Articolo Uno fosse un soggetto transitorio, in attesa solo che il Pd tornasse ad essere un soggetto “potabile” dove rincasare, divenne evidente quando saltò il tavolo con Sinistra Italiana di Fratoianni per fare di Liberi e Uguali un vero e proprio partito della sinistra riformista.
Se questo era il vero obbiettivo ormai da tempo, sarebbe opportuno in primo luogo che questo gruppo dirigente ammettesse il fatto che la stessa uscita dal Partito democratico fu una scelta errata, se possibile gestita poi anche peggio: questa parte del gruppo dirigente degli ex Ds ha nei fatti dimostrato di non essere ad oggi espressione di alcun settore sociale, incapace di costruirsi una reale autosufficienza anche sul piano elettorale. Il rientro di Articolo Uno nel Pd, in queste condizioni, potrebbe avvenire solamente in una situazione di forte subalternità, anche alla luce della levata di scudi che la componente ex-renziana di “Base riformista” sta già attuando in risposta alla “frecciatina” non propriamente elegantissima lanciata da D’Alema al loro ex leader.
Se quindi la premessa per il rientro è, come detto da alcuni, una ridefinizione del Partito democratico come partito del progressismo italiano, i rapporti di forza per “imporre” questo scatto non sono oggi così favorevoli, e questo per limiti chiaramente soggettivi di Articolo Uno. Limiti probabilmente accentuati proprio dal suo peccato originale, cioè il non aver avuto l’ambizione di diventare un soggetto culturalmente, politicamente e organizzativamente autonomo dal Pd.