Dal 5 gennaio, il Kazakistan si trova in stato di emergenza, secondo quanto annunciato dallo stesso presidente Qasym-Jomart Toqaev: “In una minaccia seria e immediata per l’incolumità dei cittadini, al fine di garantire la sicurezza pubblica, ripristinare la legge e l’ordine, proteggere i diritti e le libertà delle persone, dal 5 al 19 gennaio nella regione di Almaty viene introdotto lo stato di emergenza“, si legge nel decreto presidenziale, approvato dopo che la principale città dell’ex repubblica sovietica è stata teatro di proteste violente.
Le restrizioni imposte dal decreto prevedono un coprifuoco dalle 23:00 alle 07:00 locali, limitazioni alla libertà di movimento, il divieto di organizzare raduni anche a fini pacifici e di intrattenimento ed il divieto della vendita di armi, esplosivi e altri materiali pericolosi. Queste misure dovrebbero permettere di controllare le proteste iniziate il 2 gennaio nelle città di Jañaözen e Aktau, nella regione di Mangghystau, per via dell’eccessivo aumento del prezzo del carburante, e che successivamente si sono verificate in numerose altre città, comprese Almaty e la capitale Nur-Sultan (ex Astana), al punto che lo stato d’emergenza è stato poi esteso all’intero Paese a partire dalla notte del 5 gennaio stesso.
Sempre nella giornata di mercoledì, il governo guidato dal primo ministro Alihan Smaiylov ha rassegnato le proprie dimissioni, immediatamente accettate dal presidente Toqaev. Smaiylov, nominato primo ministro nel febbraio del 2019 e confermato nella sua posizione nel gennaio del 2020, resterà comunque in carica come primo ministro ad interim fino alla nomina del nuovo esecutivo.
Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa russa TASS, i manifestanti avrebbero addirittura preso possesso della residenza presidenziale di Almaty, dopo che diverse migliaia di persone hanno fatto irruzione nel palazzo, così come avvenuto con numerosi altri edifici che rappresentano il potere statale. Poche ore dopo, il palazzo presidenziale e l’ufficio del sindaco di Almaty sono stati dati alle fiamme. Nella notte di ieri, sono state segnalate ulteriori esplosioni e colpi d’arma da fuoco, con le fiamme che hanno inglobato altri edifici circostanti la residenza presidenziale.
“Non importa cosa succeda, rimarrò nella capitale. Questo è il mio dovere secondo la Costituzione per stare insieme al popolo. Supereremo questo periodo buio della storia del Kazakistan. Ne usciremo forti“, ha reagito il presidente Toqaev nel discorso televisivo alla nazione tenuto ieri sera. Il presidente si è impegnato a mettere in atto riforme per la trasformazione politica del Paese: “Presto presenterò nuove proposte per la trasformazione politica del Kazakistan. Mantengo la stessa posizione di riforme coerenti“, ha affermato.
Se nella prima parte del suo discorso ha utilizzato parole pacata, successivamente Toqaev ha detto di aver assunto la carica di presidente del Consiglio di sicurezza, precedentemente occupata dall’ex presidente Nursultan Nazarbaev, e che è pronto a dare vita ad azioni dure se necessario: “Si tratta di una questione di sicurezza dei nostri cittadini, che mi fanno numerose richieste per proteggere le loro vite e la vita delle loro famiglie. Questa è una questione di sicurezza del nostro Stato. Sono sicuro che il popolo mi sosterrà“, ha affermato.
Secondo gli osservatori, la mossa di Toqaev gli consente di concentrare nelle mani di una sola persona tutte le leve di controllo degli organi di sicurezza, difesa e forze dell’ordine a causa della situazione straordinaria. Tuttavia la situazione resta di difficile gestione, ed è impossibile prevedere cosa accadrà nelle prossime ore.
La situazione di forte tensione in Kazakistan ha naturalmente provocato la reazione dei Paesi limitrofi e soprattutto di Mosca, che si trova a dover fronteggiare situazioni di grande instabilità lungo i suoi confini con le ex repubbliche sovietiche. Dopo le crisi in Ucraina, Bielorussia, Kirghizistan e il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, l’attuale situazione in Kazakistan non può che preoccupare le autorità della Federazione Russa.
Restano forti i dubbi che le proteste in Kazakistan siano fomentate da fattori esterni al Paese, possibilmente proprio in funzione antirussa. Lo stesso presidente Toqaev, del resto, ha accusato “cospiratori motivati finanziariamente” di influenzare le rivolte. Leonid Kalašnikov, capo del comitato della Duma di Stato per gli affari della CSI, ha a comunque affermato che ritiene quasi impossibile l’ascesa al potere delle forze anti-russe in Kazakistan. L’aumento del prezzo del carburante ha innescato le proteste in Kazakistan e “alcune forze interessate a destabilizzare rapidamente la situazione nella repubblica hanno subito approfittato di tale situazione“, ha sottolineato. “Ciò può essere dimostrato dalla rapidità con cui, rispetto al 2011 e al 2008, quando tali proteste economiche avevano già avuto luogo in Kazakistan, questi sviluppi si sono diffusi dall’ovest [del Paese] ad altre regioni che non avevano mai partecipato a tali eventi“.
Kalašnikov ha sottolineato la rapidità con cui i “canali Internet filo-occidentali” hanno interferito nelle proteste e “hanno iniziato a portare le persone in strada e a coordinarle“. “Dobbiamo capire chiaramente: questo è un affare interno del Kazakistan, certo, ma è senza dubbio importante per noi“, ha concluso.
Non c’è dubbio, infatti, che le proteste in Kazakistan siano scoppiate improvvisamente in un momento di alta tensione tra Russia e NATO. Oltretutto, questi stessi scenari si sono verificati già in passato in altre ex repubbliche sovietiche. Secondo alcuni analisti, la situazione in Kazakistan sarebbe ideale per attirare l’attenzione della Russia e distrarla dal Donbass e dal conflitto ucraino, costringendola a volgere il proprio sguardo a Oriente.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog