Riceviamo e pubblichiamo

di Franco Astengo

Si discute molto della crisi della democrazia rappresentativa ma si tiene marginale l’analisi di alcuni dei fenomeni che stanno contraddistinguendo questa difficoltà:

1) in quella che viene comunemente definita la “più grande democrazia del mondo” si sta cercando di limitare il diritto di voto, che pure non è mai stato esteso in forma universalistica verso tutti i ceti e le etnie che compongono la popolazione USA. Negli stati governati dai repubblicani ad esempio sono in corso manovre, attraverso vari accorgimenti legislativi, di limitare ancora di più la possibilità di voto per gli afroamericani;

2) la caduta del Muro non ha coinciso con la “fine della storia” e neppure con l’allargamento delle frontiere della democrazia rappresentativa. Sono emerse, invece forme plebiscitarie di rappresentanza gestite da una governabilità in generale radicalmente autocratica;

3) in Occidente è calata drasticamente la partecipazione politica, si sono modificati profondamente i termini organizzativi dell’aggregazione sociale e la stessa espressione di voto è cambiata sia nell’espressione, sia nella finalità.

Nel sistema politico italiano quest’ultimo fattore poi è risultato rafforzato dai punti di partenza sui quali si basava il sistema stesso: punti di partenza recepiti dalla configurazione stessa dell’ordinamento dei partiti, dalla prevalenza del concetto di rappresentanza su quello di governabilità.

La prevalenza della rappresentanza sulla governabilità ha rappresentato il punto fondamentale su cui si è basata la concezione parlamentare della Repubblica e ha funzionato per un lungo periodo legittimata da una elevatissima partecipazione al voto.

Partecipazione al voto che vedeva coinvolti oltre il 90% degli aventi diritto e che pure si realizzava in un contesto nel quale vigeva la “conventio ad excludendum” nei confronti del maggior partito di opposizione.

In quel momento però il sistema politico italiano era retto, fin dal lavoro svolto nell’Assemblea Costituente, da un confronto tra grandi pedagogie politiche di massa che, pur nelle contraddizioni dell’epoca, aveva fatto maturare il processo democratico nel profondo di una società italiana pur sempre percorsa da tensioni da “sciovinismo della classe dirigente” e dal corporativismo di una borghesia potenzialmente eversiva.

Il “caso italiano” al riguardo del calo nella partecipazione al voto deve essere analizzato con grande attenzione perché coincidente, prima di tutto, con la trasformazione nella natura dei partiti politici. Al cambiamento “di pelle” dei partiti politici si è pensato di porre rimedio semplicemente modificando il sistema elettorale nel proposito di costruire surrettiziamente un “bipolarismo temperato” e un’alternanza di governo.

L’alternanza di governo di cui si sono poi fatti interpreti proprio i corifei di quella borghesia corporativa cui si faceva cenno portandola ad assumere tutt’altre caratteristiche da quelle auspicate (ed ingenuamente sostenute anche dalle forze democratiche) introducendo quale proprio fattore fondamentale la “democrazia recitativa” intesa quale elemento costitutivo della governabilità.

E’ stato commesso il grave errore di considerare il calo nella partecipazione al voto come fattore fisiologico di allineamento della democrazia italiana a quelle occidentali giudicate “mature”.

Il dato è impressionante ma, salvo che nell’immediatezza del voto, tutta la classe politica ha sempre ignorato il problema.

Guardiamo ai dati: nell’ultima tornata amministrativa, ottobre 2021, al primo turno è andato a votare il 52,67% degli aventi diritto. Al secondo turno, nei 63 comuni interessati dal ballottaggio, di cui 60 con una popolazione superiore ai 15mila abitanti, la partecipazione si è fermata al 43,93%.

Se poi guardiamo la progressione dell’astensionismo a partire dalle elezioni del 1992, in pratica da 30 anni a questa parte, vediamo che il non voto è andato aumentando anno dopo anno, dal 12,7% di allora a quasi il 50% di oggi.

Questa progressiva diminuzione dei votanti ha poi un riflesso non di poco conto sulla reale rappresentatività dei vari partiti, oltre a contribuire a mutarne la natura.

Le percentuali delle varie forze politiche non vengono infatti calcolate sugli aventi diritto ma solo sui voti validi, tolte anche le schede bianche e quelle nulle. Dire che un partito ha il 20% non vuole dire che ha il 20% dell’elettorato ma che ha il 20% di quelli che sono andare a votare e che hanno espresso un voto valido. Il caso del fittizio 40% (in realtà il 22% sull’intero corpo elettorale) ottenuto dal PD alle elezioni europee del 2014 rimane in questo senso emblematico. In pratica all’attuale livello di partecipazione la rappresentatività dei partiti, di tutti, è fortemente minoritaria, anche se coperta da una eccessiva esposizione mediatica frutto anche dal modificarsi della natura stessa dei partiti passati dalla dimensione del “catch all party”, al “partito azienda”, fino alla formula (oggi in via di esaurimento con vista sul nulla) del “partito personale”.

Il “partito personale” oggi diventato, infatti, strumento dell’affermarsi egemonico della tecnica sulla politica, come ben è dimostrato dall’attuale situazione di governo.

In conclusione si può affermare che qualsiasi rivendicazione rivolta al recupero di un dato di rappresentatività non passa più da una capacità dell’organizzazione sociale di accedere alla contesa ma principalmente da una ristrutturazione dell’offerta che contempli la necessità di far crescere la partecipazione, considerando l’espressione di voto ancora come fondamentale.

E’ questo il senso di una proposta di formula elettorale proporzionale che assumerebbe, come era stato dopo il fallimento della legge maggioritaria del 1953, una vera e propria dimensione sistemica di conferma costituzionale.

Proposta che dovrebbe essere accompagnata da una idea di formula di assegnazione dei seggi capace di restituire al corpo elettorale la facoltà di scegliere direttamente i propri rappresentanti: questione tanto più pregnante e urgente considerato che, con la riduzione del numero dei parlamentari, si verificherà un fenomeno di vera e propria “dilatazione” della territorialità della rappresentanza

Di AFV

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