Il 4 novembre 2021 il Consiglio dei ministri ha approvato il Ddl concorrenza. Un provvedimento che di fatto regolamenta la privatizzazione del pubblico e ha suscitato malcontento e proteste da parte della popolazione, non da ultimi i movimenti per “acqua bene comune”
«La contabilizzazione economica tradizionale, spesso alla base delle decisioni politiche, tende a limitare il valore dell’acqua calcolandolo in base alle stesse modalità utilizzate per la maggior parte degli altri prodotti, ovvero il relativo prezzo o costo al momento della transazione economica. Tuttavia, nel caso dell’acqua non esiste un rapporto chiaro tra il suo prezzo e il suo valore», riporta il Report delle Nazioni Unite sull’acqua 2021.
Il 4 novembre 2021 il Consiglio dei ministri ha approvato il Ddl concorrenza: «Il testo interviene sulla rimozione delle barriere all’entrata dei mercati, sui servizi pubblici locali, su energia e sostenibilità ambientale, sulla tutela della salute, sullo sviluppo delle infrastrutture digitali e sulla rimozione degli oneri e la parità di trattamento tra gli operatori» si legge sul comunicato stampa del consiglio dei ministri.
Un provvedimento che di fatto regolamenta la privatizzazione del pubblico e ha suscitato malcontento e proteste da parte della popolazione, non da ultimi i movimenti per “acqua bene comune”.
Nonostante il Referendum del 2011 avesse dato un chiaro segnale della volontà di cittadine e cittadini, il governo Draghi sembrerebbe aver trovato una via per metterla in discussione attraverso il Pnrr: nella seconda missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” al paragrafo dedicato “alla tutela del territorio e della risorsa idrica”, il testo riporta la volontà della riforma di «rafforzare il processo di industrializzazione del settore».
Un Processo che non si è arrestato neanche a seguito del Referendum, gli enti non sono stati resi pubblici, non è stato modificato o introdotto un iter legislativo per cambiare la rotta dei finanziamenti idrici, l’acqua non è un bene comune e le multi-utility hanno continuato ad acquistarne le gestioni precedentemente pubbliche.
D’altronde non dovrebbe stupire la strategia politica di Draghi, coerente con le raccomandazioni che fece il 5 agosto 2011 quando insieme al presidente della Bce Jean Claude Trichet firmò la lettera indirizzata al governo italiano «È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala».
Prova concreta è la candidatura italiana per la decima edizione del forum dell’acqua 2024 avvenuta il trenta dicembre 2021 presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Un evento che nasce dal Consiglio mondiale dell’acqua, un’organizzazione internazionale che riunisce i governi per discutere dei temi inerenti a questa risorsa, ma al quale sono presenti anche le grandi multinazionali del settore e dove manca invece la voce dei comitati nazionali come il Forum italiano dei movimenti per l’acqua che si dichiarano contrari al meeting.
Nei primi anni dell’incontro diverse sono state le figure che hanno provato a portare le preoccupazioni e le rivendicazioni dei comitati, non ultimo Riccardo Petrella, voci rimaste inascoltate dall’organizzazione internazionale che hanno dato vita ai “Forum Alternativi Mondiali per l’Acqua” (FAMA).
Le problematiche relative all’Italia meridionale sulla gestione delle risorse idriche sono effettivamente preoccupanti, dettate come sono «dalla carenza di depuratori, inefficienza dei sistemi fognari, difficoltà nello smaltimento dei fanghi e inadeguatezza delle dighe» – cfr. un articolo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). I disagi della rete idrica di queste zone italiane sono il campo su cui si focalizzeranno prevalentemente gli interventi di privatizzazione.
La risposta statale all’inefficienza della gestione dell’acqua si traduce nella deresponsabilizzazione degli enti pubblici a favore del profitto dei privati che, è bene ricordarlo, non garantiscono in ogni caso un servizio soddisfacente.
Acea ne è la dimostrazione, pur essendo su carta per il 51% proprietà del comune di Roma, in pratica risponde ai dettami dei soci il cui interesse non pare essere orientato nei confronti degli utenti quanto del pagamento delle utenze: durante il lock down aumentò le bollette senza un incremento della qualità del servizio. È imputabile ad Acea la dispersione degli acquedotti nel Lazio, data la gestione a maggioranza nella regione. I dati del 2021 riportano il 38% di dispersione.
Wwf Abruzzo denuncia il rincaro delle bollette dell’acqua nella regione. Dal 2011 al 2020 la spesa media annuale è raddoppiata, passando dai 215 euro ai 409. La gestione del servizio idrico integrato dai comuni è passata quasi integralmente alle sei SpA di proprietà pubblica, ma di diritto privato provocando un aumento dei costi che non coincide con un miglioramento del servizio. WWF e Legambiente intendono presentare una proposta di legge regionale sul servizio idrico integrato, per mettere in pratica le richieste che i cittadini hanno approvato con il referendum del 2011.
La generalizzazione del problema, proficuo per un piano di industrializzazione diffusa, non si occupa di comprendere le difficoltà e le possibili soluzioni per ogni particolare territorio ed è cieca anche di fronte alle gestioni funzionanti come l’azienda speciale ABC Napoli (Acqua Bene Comune).
ABC nasce nel 2013, è totalmente pubblica e dispone di «un comitato di sorveglianza con funzioni consultive, di controllo, di informazione, d’ascolto, di concertazione e di dibattito, anche propositivo, sul servizio pubblico idrico e in particolare rispetto alle decisioni inerenti agli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione, composto da rappresentanti degli utenti, del mondo ambientalista e dei dipendenti dell’Azienda stessa» si legge sul sito dell’azienda. Un ente che rischia di venire travolto e non finanziato dalle nuove normative previste dal governo.
Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua rilancia l’intervento sulla risorsa idrica con una petizione che chiede di eliminare l’art 6 dal Ddl Concorrenza e propone un progetto attuabile nei prossimi cinque anni al fine di costruire investimenti pubblici tramite il Pnrr che prevede:
«2 mld di € per la ripubblicizzazione del servizio idrico, da utilizzare nel primo anno di intervento; 7,5 mld. di € (cui aggiungere risorse provenienti dai soggetti gestori per circa ulteriori 2,5 mld) per la ristrutturazione delle reti idriche e 26 mld. di € (di cui 50% provenienti dal Recovery Plan e il restante 50% da ulteriori fonti di entrata) per il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio».
L’acqua è una risorsa che fa gola al sistema capitalistico, è un elemento essenziale per l’industria siderurgica, per l’industria tessile, per l’industria agroalimentare senza dimenticarsi che è essenziale per la sopravvivenza dell’essere umano.
Come raccontava un anno fa Savini a Dinamopress: «La finanza ha capito bene che l’acqua sarà un bene sempre più scarso a causa dei cambiamenti climatici e ha deciso per questo di investirci, perché aumenterà il suo valore e per questo può stare al centro di un prodotto finanziario speculativo».