“Credo che Merrick Garland sia stato estremamente debole…. e molti altri organizzatori del 6 gennaio dovrebbero essere stati già arrestati”. Così Ruben Gallego, parlamentare democratico dell’Arizona, in un’intervista alla Cnn mentre descriveva l’operato dell’attuale ministro di Giustizia americano. Gallego ha continuato spiegando che Garland è stato “inetto” e non è stato capace di “proteggere la democrazia”.
Nonostante le aspre parole di Gallego il ministero di Giustizia guidato da Garland ha già incriminato più di 700 dei riottosi che hanno assaltato il Campidoglio il 6 gennaio del 2021 mentre cercavano di impedire la certificazione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti. Nel suo recente discorso durante l’anniversario degli eventi del 6 gennaio Garland ha anche reiterato che gli attacchi al Campidoglio hanno interferito con un principio “fondamentale della democrazia americana”, ossia il trasferimento pacifico del potere da un’amministrazione a un’altra.
Gallego non è però l’unico a sostenere la debolezza di Garland per affrontare seriamente i responsabili degli eventi del 6 gennaio. Lawrence Tribe, che è stato professore di Garland alla Harvard University, ha echeggiato il punto di vista di Gallego in un editoriale nel New York Times alcune settimane fa. Il professor Tribe sostiene che non bisogna concentrarsi solo sui “pesci piccoli” ma le indagini devono includere i leader che hanno organizzato e incitato l’insurrezione. Questi includono non solo la cerchia attorno a Trump ma difatti anche lo stesso ex presidente. Escludere l’ex inquilino della Casa Bianca delle sue colpe per avere incitato i riottosi non farebbe altro che incoraggiare futuri possibili atti di impedire il trasferimento pacifico del potere nel sistema democratico americano.
La riluttanza di Garland nel concentrare le sue indagini sulla possibile incriminazione di Trump è comprensibile. In America, a differenza di non pochi altri Paesi, il cambio di potere avviene tradizionalmente in modo pacifico. Il perdente all’elezione accetta la sua sconfitta e si congratula col vincitore il quale viene insediato due mesi dopo l’elezione. Trump però non ha mai accettato la sua sconfitta e più di un anno dopo che Biden si sia stabilito alla Casa Bianca continua con la sua visione fasulla della realtà. L’ex presidente ha provato in tutti i modi di ribaltare l’esito dell’elezione usando metodi poco etici e con ogni probabilità illegali. Queste illegalità sono state soggetto di indagini che continuano tutt’ora. Hanno a che fare non solo con possibili reati commessi da presidente ma anche prima che lui entrasse in politica. Due investigazioni nello Stato di New York stanno esaminando possibili reati di frode fiscale dell’azienda dell’ex presidente. Un’altra indagine in Georgia sta esaminando la sua interferenza nell’elezione del 2020 nel Peach State. Le indagini vertono principalmente sulla notissima telefonata dell’ex inquilino della Casa Bianca in cui chiedeva all’allora segretario di Stato della Georgia di trovargli 11 mila voti per potere avere la meglio su Biden. Le indagini sono mature e un gran giurì è già stato formato e alcuni degli stretti collaboratori di Trump sono già stati interrogati.
L’ex presidente starà sentendo il tam tam di questi procuratori di New York e Georgia poiché nel suo ultimo discorso in Texas ha dichiarato che i “patrioti” del 6 gennaio vengono trattati malissimo dalla giustizia e se eletto presidente nel 2024 gli concederebbe la grazia. Inoltre, per costruire un muro attorno a se stesso ha annunciato che lui è soggetto di indagini promosse da “procuratori feroci e razzisti”. Se queste indagini continueranno Trump ha promesso di scatenare manifestazioni mai viste a “Washington, New York, Atlanta e altri luoghi” per farsi difendere dai suoi sostenitori. Una minaccia che non è passata inosservata in Georgia dove la procuratrice sulle indagini potenzialmente criminose di Trump ha chiesto alla Fbi di esaminare la sicurezza del gran giurì che inizierà a riunirsi fra breve per completare le indagini.
Si tratta di una precauzione saggia considerando che gli incitamenti di Trump il 6 gennaio dell’anno scorso hanno contribuito se non addirittura scatenato gli assalti al Campidoglio per bloccare la certificazione dell’esito elettorale del 2020. L’ex presidente continua la sua strategia di mantenere potere mediante le minacce con notevole successo come ci conferma il suo dominio del Partito Repubblicano. Va ricordato che subito dopo gli eventi del 6 gennaio scorso quasi tutti i leader del Gop condannarono gli assalti al Campidoglio e assegnarono la responsabilità a Trump. Un anno dopo però quasi tutti hanno messo la coda fra le gambe e adesso cercano di minimizzare gli assalti come hanno reiterato al più recente incontro del Partito Repubblicano a Salt Lake City, Utah. Alla riunione gli assalti del 6 gennaio scorso sono stati caratterizzati come “legittimo discorso politico” sorvolando ovviamente sui fatti che 5 persone sono morte, quasi 150 agenti sono rimasti feriti, e più di 700 riottosi sono stati arrestati dalla Fbi. Questa visione capovolta della realtà si collega a quella di Trump che la vittoria nell’elezione del 2020 gli sia stata rubata.
Pochissime voci del Partito Repubblicano si sono sollevate contro questa visione sottosopra dell’ex presidente. Spicca fra queste la recente dichiarazione di Mike Pence, vice presidente di Trump, il quale ha recentemente detto che il suo ex capo aveva “torto” quando gli chiese di ribaltare l’esito dell’elezione. Pence ha continuato spiegando che la presidenza degli Stati Uniti appartiene al popolo americano e non a un individuo specifico. Anche Chris Christie, ex governatore del New Jersey e grandissimo sostenitore di Trump, ha recentemente dichiarato che Biden ha vinto l’elezione e che bisogna accettarla. La stragrande maggioranza dei leader repubblicani però sia alla Camera che il Senato tacciono per non scatenare l’ira dell’ex presidente.
Tre anni fa Robert Mueller, il procuratore speciale sul Russiagate, scrisse nel suo rapporto che non poteva incriminare un presidente in carica a causa dell’immunità. Allo stesso tempo Mueller scrisse che esistevano una dozzina di situazioni in cui Trump sarebbe colpevole di intralcio alla giustizia. Non lo esonerò e scrisse che da semplice cittadino Trump potrebbe essere incriminato. Garland deve adesso accettare la patata bollente che Mueller decise di mettere da parte. Questa patata è ancora più bollente a causa degli incitamenti agli assalti al Campidoglio per i quali Trump ha subito il secondo impeachment alla Camera prima di uscire dalla Casa Bianca ma poi nel mese di febbraio è stato assolto dal Senato. Il ministro di Giustizia nel suo discorso dell’anniversario degli eventi del 6 gennaio ha promesso che il suo dipartimento inseguirà tutti i responsabili “in tutti i livelli”. Include anche Trump? Quando?
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.