Prosegue inesorabile lo stallo della politica irachena, che di fatto non ha ancora trovato stabilità dopo la guerra imperialista scatenata dagli Stati Uniti contro il Paese mediorientale. Se alcuni speravano che le elezioni legislative dello scorso autunno avrebbero potuto portare maggiore chiarezza negli equilibri tra le forze politiche, la realtà risulta essere assai diversa, ed al momento l’Iraq non si è ancora dotato di un nuovo esecutivo.
A queste difficoltà si aggiunge poi la necessità, secondo la Costituzione, di eleggere il nuovo presidente entro un mese dall’instaurazione del nuovo parlamento, fatto che tuttavia non è avvenuto. Lo scorso 6 febbraio, infatti, la Corte Suprema Federale dell’Iraq ha sospeso Hoshyar Zebari (in foto), ex ministro degli Esteri e delle Finanze, che era considerato come il candidato maggiormente plausibile per occupare la massima carica. Zebari si ritrova infatti ad essere accusato di corruzione finanziaria e amministrativa proprio nel corso della sua permanenza al ministero delle Finanze. Secondo la Corte, dunque, Zebari non risponde ai requisiti necessari per essere eletto alla presidenza: “La Corte Suprema Federale ha deciso di sospendere temporaneamente le procedure per il voto di Hoshyar Mahmud Mohamed Zebari per la carica di Presidente della Repubblica fino alla risoluzione del caso“, ha precisato l’ente.
La denuncia, presentata da alcuni esponenti dell’Unione Patriottica del Kurdistan (Yeketî Niştîmanî Kurdistan), cita almeno altri due casi giudiziari in cui è implicato l’ex ministro 68enne, compreso l’uso di ingenti somme di fondi pubblici utilizzati per la costruzione di un edificio non statale. Zebari, a sua volta di etnia curda, proviene invece da una formazione rivale, il Partito Democratico del Kurdistan (Partiya Demokrat a Kurdistanê). In effetti, la prassi che si è affermata dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, prevede che la presidenza della Repubblica sia sempre occupata da un curdo, mentre la carica di primo ministro spetta alla comunità sciita e quella di presidente del parlamento alla comunità sunnita.
In seguito a questo verdetto, il parlamento iracheno non ha avuto altra scelta se non quella di rinviare l’elezione del presidente, inizialmente prevista per il 7 febbraio. Alla seduta, infatti, erano presenti solo 58 deputati su un totale di 329, un numero nettamente inferiore ai due terzi previsti per eleggere il capo dello Stato. A questo “boicottaggio” hanno aderito compattamente tutte le principali forze politiche: il Movimento Sadrista (al-Tayyār al-Sadri), principale forza sciita e partito con il maggior numero di deputati in parlamento, il Partito del Progresso (Ḥizb Taqadum), formazione sunnita guidata dal presidente del parlamento Mohamed al-Halbousi, e il già citato Partito Democratico del Kurdistan.
Questa situazione ha portato al prolungamento del mandato del presidente in carica, Barham Ṣāliḥ, in carica dall’ottobre 2018. Il parlamento ha esteso i poteri di Ṣāliḥ dopo che la Corte Suprema ha deciso di invalidare in maniera definitiva la candidatura di Zebari. L’Unione Patriottica del Kurdistan, formazione dalla quale proviene il presidente in carica, spera di sfruttare questa situazione per ottenere un nuovo mandato in favore di Barham Ṣāliḥ, come accaduto con Jalal Talabani, presidente del Paese dal 2005 al 2014. In effetti, l’Unione Patriottica del Kurdistan ha sempre occupato la presidenza dal 2004, e cedere la carica all’altro grande partito curdo rappresenterebbe una grave perdita.
Allo stesso tempo, proseguono le diatribe riguardanti la formazione del nuovo governo di Baghdad. Muqtada al-Sadr, leader sciita del Movimento Saadrista, ha affermato di voler escludere dall’esecutivo le altre formazioni sciite, in quanto considerate come eccessivamente influenzate dall’Iran. Queste formazioni hanno a loro volta formato un cartello con il dichiarato intento di dimostrare di possedere un numero superiore di seggi rispetto ai saadristi, fatto che potrebbe consentirgli di formare un governo.
Al momento, la soluzione più plausibile sembra quella della nascita di un governo di coalizione formato dai tre partiti principali (Movimento Saadrista, Partito del Progresso e Partito Democratico del Kurdistan), ma i ritardi nell’elezione presidenziale e la frammentazione del parlamento di Baghdad tra un grande numero di forze politiche hanno ritardato la nascita del nuovo esecutivo.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog