Riceviamo e pubblichiamo
Franco Astengo
Norma Rangeri firma un editoriale (”Il Manifesto” 25 febbraio) dove affronta il tema della crisi della democrazia intesa quale fattore determinante per la ripresa e l’esplosione del confronto bellico.
L’articolo si conclude esprimendo l’opinione, in riferimento all’impotenza dell’Europa, : “..opinioni pubbliche se saranno in grado di suscitare un’onda pacifista contro una guerra capace di nutrire se stessa”.
Se la nostra interpretazione è corretta, il tema sollevato è quello dell’assenza di un movimento pacifista all’altezza della gravità della fase storica : aggiungeremmo anche dal nostro punto di vista la questione dell’assenza di rappresentatività politica, di incapacità di espressione dei soggetti di intermediazione sociale e di insufficiente analisi della difficoltà che emerge nel funzionamento dei meccanismi classici della democrazia liberale.
Qualche tempo fa in un’intervista rilasciata proprio da Putin al “Financial Times” l’ex-agente del KGB, dichiarava la fine della democrazia liberale ponendosi a favore delle cosiddette (semplifichiamo per economia del discorso) “democrazie illiberali” del tipo di quella praticata in Ungheria e ipotizzata in Italia, attraverso l’assunzione di un ruolo centrale all’interno del sistema politico da parte della Lega e di Fratelli d’Italia(al netto delle pruriginose dichiarazioni rilasciate in queste ore da esponenti dei due partiti).
Appare evidente davanti a noi come i richiami all’illiberalità facciano parte del meccanismo che ha portato direttamente al drammatico stato di cose in atto in un coacervo (è bene ricordarlo) di complicità a tutti i livelli.
Esporre le cose in questo modo però finirebbe con il rischiare un eccesso di semplificazione.
Allora si rende necessario andare meglio nel merito rispetto a ciò che è accaduto nel determinare questa vera e propria crisi della democrazia occidentale.
Siamo entrati, infatti, in una terza fase della democrazia: la prima fase era quella della democrazia dei partiti, capaci di ottenere un consenso di massa intorno alla propria ideologia; la seconda fase è stata quella della “democrazia del pubblico” con i leader prevalenti sui partiti e il rapporto di fiducia personale tra il Capo e il pubblico della TV generalista capace di scalzare le ideologie. La terza fase è quella “ibrida” realizzata attraverso l’ingresso sulla scena di Internet che ha finito con il miscelare democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
In base all’analisi di questi cambiamenti si è prefigurata una deformazione della democrazia, pur conservando intatte le forme della democrazia novecentesca configuratesi attraverso il rito elettorale.
Rito elettorale che si è sempre più identificato con espressioni di tipo plebiscitario.
Il risultato è quello di uno svuotamento di senso progressivo e di depotenziamento dell’opinione pubblica e del confronto tra le idee in un quadro di allargamento delle disuguaglianze economiche e culturali e di crescita del corporativismo e dell’aggressività sociale.
Si sono aperti varchi per avventure autoritarie e per lo strapotere delle lobbie in quadro di tecnocrazia dominante retta attraverso l’idea (fagocitante) dell’uomo solo al comando.
Si sono affermate, in sostanza tre negative condizioni: quella tecnocratica, quella populista, quella plebiscitaria, riducendo la cittadinanza ad audience passiva del capo carismatico.
Si così ottenuto il risultato di una sorta di riunificazione tra rappresentanza e governabilità in una sorta di “simbiosi” del potere con l’estinzione dei corpi intermedi tra la società e la politica e riducendo le opposizioni a pura marginalità.
Da dove partire, allora, per modificare questa realtà proprio nel momento in cui il ritorno della guerra in Europa ne dimostra tutta la pericolosità?
Prima di tutto sarà necessario stabilire i punti sui quali attestare una vera e propria “resistenza”partendo dalla diffusione del dibattito culturale sul tema della democrazia.
I soggetti politici residui devono attrezzarsi per riprendere quella funzione pedagogica abbandonata il tempo della trasformazione del partito di massa.
Agire in questo modo all’interno della società attuale potrebbe apparire uno sforzo inutile, circondati come siamo da un dominante “pensiero unico”.
Ma è questo il punto di resistenza e di esigenza di espressione di un pensiero alternativo: debbono risaltare gli elementi fondativi per un recupero di soggettività che esprimendo la complessità del rinnovamento di un pensiero democratico contenga già in sé la capacità di rappresentare un’alternativa misurata sulla complessità delle contraddizioni di cui – nello specifico – l’istanza pacifista rappresenti elemento di pensiero fondativo