L’invasione dell’Ucraina garantisce una situazione di guerra generalizzata e quindi la fine di ogni aspirazione di emancipazione o anche di difesa delle piccole conquiste sociali e civili in Europa, mentre lo spettro politico si sposta verso i limiti dell’estrema destra

Tre giorni fa Vladimir Putin ricordava nel suo discorso di giustificazione dell’invasione dell’Ucraina la storia dell’idillio post-sovietico con l’Occidente capitalista e la NATO. L’amico Putin ha fatto il lavoro sporco con lo sterminio dell’islamismo in Cecenia e in Russia, con metodi che le democrazie formali occidentali non potevano ancora permettersi. Putin ha stabilizzato un immenso Stato alla deriva con un enorme arsenale nucleare che era in mano a degli oligarchi che avrebbero fatto impallidire qualsiasi malvagio della saga 007. Intanto, ricordava Putin, le promesse di integrazione della Russia nel sistema NATO venivano rinviate con un “domani, dopodomani”, mentre avanzava il piano di estensione di fatto della NATO fino alle frontiere russe. L’idillio finì definitivamente con la sconfitta strategica del terrorismo salafita di Al Qaeda, e la dinamica di guerra cominciò con il disastroso intervento congiunto della UE e della NATO nella crisi politica ucraina che diede vita all’Euromaidan nel 2013.

La fine dell’egemonia statunitense ha finito per produrre, come previsto da Giovanni Arrighi, una dinamica di caos sistemico in un interregno tra egemoni che sta scatenando tutte le forze distruttive del pianeta, ridando vita alle narrazioni deliranti della guerra di razza, della conquista e dell’oppressione coloniale, della violenza contro le donne e le minoranze di genere, dell’introduzione del terrore della guerra nel cuore dell’Europa. Il massacro balcanico è stato archiviato come un triste episodio di feroce violenza regionale, alieno alla nuova civiltà europea dei Fischer e dei D’Alema. Poi arrivò l’11 settembre e il golpe statunitense che l’ha fatta finita con la costruzione di un impero come modo di dominazione capitalistica planetaria con la relativa eccezione della Cina.

Da allora il capitalismo sopravvive in movimenti circolari tra guerre imperialiste in base a diversi pretesti, appropriazione di risorse naturali, bolle finanziarie di tipo estrattivo: immobiliari, energetiche, di materie prime, minerali rari, shock economici che concentrano la ricchezza e liquidano la scarsa sostanza democratica che rimane nei regimi liberali occidentali, mentre assistiamo ogni volta di più a una capitalizzazione del malessere psichico e sociale da parte di nuovi dispositivi fascisti che convertono il malessere in volontà di morte.

Ogni guerra semina fascismo, lo rinforza e lo accelera. Dal ventesimo secolo, guerra moderna e fascismo sono dinamiche indissociabili. Fa parte della macabra commedia la formazione di fazioni a favore di uno o dell’altro contendente. La guerra è la continuazione della politica capitalista con altri mezzi.  E viceversa, ogni volta di più la politica capitalista è la continuazione della guerra con altri mezzi. Viene voglia di gridare: finitela di fare i pagliacci scegliendo una o l’altra fazione del massacro.

Piuttosto occupiamoci della questione essenziale che ci tocca: questa guerra cambia le regole del gioco nell’Unione Europea post-pandemica, eliminando qualsiasi processo democratico che colpisca le élite capitalistiche. Di nuovo lo zio Sam, Boris il Clown o l’Orso putiniano congiurano per farla finita con le ambiguità che i piani di ricostruzione dell’Unione Europea stavano determinando con il Green New Deal come terreno sicuramente fittizio, ma efficace in termini di rilegittimazione del potere di comando capitalista a fronte della catastrofe climatica e la devastazione prodotta dalla gestione capitalistica della pandemia. È finito il “patto” con le forze del lavoro nei termini di aumenti salariali, protezione sociale, della lotta contro l’avvelenamento delle risorse naturali nelle città e nell’agricoltura. Ed è finita allo stesso modo con il compromesso della de-carbonizzazione dell’economia durante la Cop26 dello scorso novembre.

Ci sono molti Sì e molti No alla guerra che pensano che si tratti di un episodio breve, che ottenuti i suoi obiettivi la Russia si ritirerà dall’Ucraina e si tornerà alle precarie vie diplomatiche con impegni dilatatori. Si sbagliano. In questa guerra si creano i quadri del fascismo e del militarismo europeo e russo che sostituiranno le ambivalenze delle estreme destre europee e russa con una “decisione” mortifera chiara all’interno di scenari che le favoriscono sempre di più.

Questa guerra distrugge le basi del Green New Deal europeo e lo trasforma in una economia di guerra capitalistica dove il ricatto dell’estrattivismo energetico tiene le redini della situazione, con la probabile fine dello Stream Nord 2 e l’aumento dei prezzi dell’energia, che beneficiano le oligarchie esportatrici russe e compensano l’effetto delle sanzioni, mentre eliminano di colpo l’effetto degli aumenti salariali che hanno accompagnato la riattivazione post pandemica in molte parti del mondo. Che assestano un colpo al ricco fratello maggiore tedesco nei suoi accordi di esportazione con Russia e Cina e tornano a subordinarli agli imperativi della NATO. L’Unione Europea vive in una montagna di debiti che oggi diventa debito di guerra, per la guerra, per il saccheggio estrattivistico. Qualsiasi tregua è un passo indietro nel processo di destabilizzazione del governo e dello Stato russo, ora che ha rotto i ponti e non si fanno prigionieri nel conflitto tra oligarchi globali.

Non facciamoci ingannare, sarebbe fatale: l’invasione dell’Ucraina garantisce una situazione di guerra generalizzata, più o meno discontinua, e quindi la fine di ogni aspirazione di emancipazione o anche di difesa delle piccole conquiste sociali e civili in Europa, mentre lo spettro politico si sposta verso i limiti dell’estrema destra, in un feedback di terrore.

La risposta di quelli che siamo carne di cannone in questa dinamica non può farsi attendere, ed è il sabotaggio multiforme e di massa di qualsiasi sforzo di guerra, tanto militare come informativo. È la disobbedienza civile contro la mobilitazione totale delle popolazioni e delle risorse pubbliche per la guerra. Una risposta che anche questa sarà prolungata e che, parlando della Spagna, deve essere il cuore dei progetti politici che emergano in questa fase post-Podemos, che però può essere solo un progetto europeo, che inoltre si sforzi di entrare in stretta connessione con i fratelli e le sorelle del mondo slavo.

Questa guerra deve essere il detonatore della fondazione di una nuova Transnazionale contro la guerra e il fascismo in tutto il pianeta e dunque contro un capitalismo planetario che accelera il suo processo di distruzione della vita su molteplici fronti, dalla diretta guerra imperialistica alla degradazione catastrofica della biosfera.

Occorre guardare l’orrore in faccia, prepararsi e fare in modo che nessuno soccomba mai più alla fascinazione per la guerra e la rivincita, e cospirare per una guerra prolungata contro la guerra e il fascismo capitalistico. Questa volta il realismo è rivoluzionario, perché il cervello capitalistico è ormai irrimediabilmente marcio di fascismo e guerra. È l’unica politica realista possibile che può impedire che il ventunesimo secolo ci faccia rimpiangere gli orrori e l’insopportabile sporcizia del secolo passato.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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