di Franco Astengo
In questo momento è davvero angosciante cercare di riflettere sul senso profondo della guerra come chiamata alle armi senza rispondere fino in fondo alle domande sulla logica della morale e sulla profondità della politica.
Tanto più si sente l’angoscia quando ci si trova ristretti dentro l’ondata di una informazione a senso unico che cerca di condizionare in maniera totalitaria una espressione di opinione e una possibilità di scelta che non sia semplicemente quella di un “campo”.
E’ assente dalla riflessione la costruzione di una identità collettiva da considerarsi tanto dal punto di vista del Potere, quando dal punto di vista del Conflitto.
In questo suo duplice aspetto di Potere e di Conflitto la politica è pensabile come un’Essenza, rintracciabile attraverso la risoluzione di alcune questioni:
1) Qual è l’origine della collettività e quali i suoi fondamenti di legittimità?
2) Quale rapporto c’è tra l’energia originaria delle forme politiche e le loro realtà istituzionali?
3) Quali sono i soggetti dell’azione del potere politico, cioè chi agisce, chi comanda che cosa a chi?
4) E questo comando come avviene, con quali limiti, a quali fini?
5) Quali sono i confini dell’ordine politico, come e da chi sono individuati, chi includono e chi escludono?
Le concrete risposte a queste domande possono arrivare soltanto attraverso una riflessione sulle forme storiche della politica e sono determinate soltanto dalle modalità con cui le categorie che abbiamo fin qui indicato, conflitto, ordine, potere, forma, legittimità, sono di volta, in volta organizzate praticamente e pensate teoricamente.
Non si può sfuggire a questo livello di analisi semplificando tutto all’interno di una sola categoria: quella del potere, da cui discende la scelta estrema della guerra.
Della politica, infatti, fa parte anche il modo con cui essa viene discorsivamente mediata e criticata dai suoi soggetti e dai suoi attori: la politica è una pratica che deve essere sempre un’elaborazione intellettuale e valutativa.
Le “armi della critica” rimangono fondamentali, non alienabili.
E’ il caso di ripetere la nostra domanda: ciò che sta accadendo può essere considerato “politica” che prosegue con le armi della guerra,oppure semplicemente lotta per un potere indefinito, al di fuori da qualsiasi riferimento sistemico a valori, progetti, programmi, visione del mondo?
Dal nostro punto di vista la domanda è retorica e la risposta scontata: adesso, in questa folle rincorsa non ravvediamo tracce di politica .
Tanto più che va aggiunta una considerazione: nonostante che si tenti, come sta accadendo o forse è già accaduto, di ridurre così la politica a “simulacro del comando” non sarà possibile cancellare l’idea del conflitto.
Così ridotto l’esercizio del potere inteso come autoreferenzialità permanente sarà sempre arbitrario ed eccederà sempre la norma: in questo modo la “questione morale” sarà sempre direttamente connessa con l’arbitrarietà e l’eccesso.
Il punto di fondo dell’interrogativo che si intende porre in questa occasione rimane allora quello del come, attraverso i meccanismi della democrazia, si possa riuscire a limitare l’eccesso del potere rispetto alla norma e portare finalmente la politica dentro il conflitto che dovrebbe rappresentare l’obiettivo di queste ore.
Un tema che nel ‘900 si affrontò nello scontro tra totalitarismi e organizzazione democratica e che oggi, toccato con mano che “la storia non è finita”, dovrà essere ripreso in termini nuovi sui quali però non pare essere ancora partita una adeguata riflessione.
Respingendo qualsiasi valutazione di neutralismo da anime belle e costretti quindi a lottare dentro un improprio conflitto tra morale e politica la sola via possibile è quella di proclamare la pace come valore assoluto, sola sintesi possibile tra morale e politica.