La gestione delle crisi umanitarie in corso presentano disparità che pare rispondano a contingenze politiche e geopolitiche piuttosto che garantire diritti

CRISI UCRAINA, MOVIMENTI GLOBALI E PROCEDURE SELETTIVE

La crisi in corso in Ucraina e il correlato movimento delle persone in fuga dal conflitto si intrecciano e si sovrappongono con altri flussi migratori. Negli ultimi sei mesi tre rilevanti e per molti versi storiche crisi dei rifugiati hanno interessato l’Europa: lo scontro al confine tra Bielorussia e Polonia, la fuga dall’Afghanistan e l’attuale dislocazione dall’Ucraina.

Peraltro, non sono le uniche crisi umanitarie attualmente in corso: viviamo un tempo in cui gli scenari di guerra si moltiplicano in Libia, Etiopia, Senegal, Siria, Yemen e in molti altri contesti, e il Mediterraneo Centrale è costantemente segnato da transiti, respingimenti e naufragi. In aggiunta, la crisi ecologica globale determina radicali cambiamenti climatici e danneggia la biosfera, creando le premesse per il movimento di molte persone su larga scala.

Nonostante differenze anche molto rilevanti, le crisi in corso hanno alcuni tratti comuni. In ciascuna di esse emerge, con tratti differenti, la gestione strutturalmente differenziale del movimento delle persone, del diritto d’asilo e delle forme dell’accoglienza.

In fin dei conti, la dimensione strutturalmente politica del diritto di asilo in Europa emerge fin dalla sua prima configurazione, dopo la Seconda guerra mondiale, soprattutto in chiave antisovietica. Nello scontro tra blocchi contrapposti, i paesi dell’occidente, e in particolare la Germania, accoglievano le persone in fuga dalle città oltre la cortina di ferro con generosi programmi di sostegno.

L’exit dai paesi sovietici fu anche uno dei motivi del loro crollo nei mesi successivi alla caduta del muro. Lo racconta bene Hirschman in un suo famoso saggio, quando la Germania dell’Est fu costretta a capitolare a causa della fuga verso ovest di impiegati, quadri, insegnanti, lavoratori che fecero letteralmente collassare lo stato della DDR.

Per quanto riguarda l’Italia, solo nel 1990 è stata approvata la legge 39/90 – cosiddetta legge Martelli – che ha abolito la “riserva geografica” che circoscriveva il riconoscimento della protezione alle persone provenienti da alcuni paesi specifici.

Anche nello scenario attuale, il diritto di asilo ha un ruolo compiutamente politico. Lontano dal garantire diritti e possibilità in maniera generalizzata, opera fianco a fianco ai dispositivi di confinamento e risponde a logiche in parte sovrapponibili.

Ad esempio, così com’è configurato attualmente la disciplina del diritto di asilo non garantisce mobilità e protezione alle persone in fuga dall’Afghanistan o che avrebbero voluto lasciare il paese. Riserva, al più, il riconoscimento dello status alla piccolissima percentuale di persone che sono riuscite ad attraversare i confini e arrivare in un paese nel quale tale diritto è effettivamente esercitabile.

Da questa prospettiva, tra le immagini arrivate negli scorsi mesi da Kabul – l’ingresso dei talebani in città, i tentativi di fuga scomposta, l’assedio agli aerei in partenza – e le garanzie previste dalla normativa europea in tema di protezione internazionale c’è uno scarto notevolissimo. Peraltro, molte delle persone salvate dalle autorità dei paesi dell’Europa occidentale sono state selezionate in ragione dei pregressi rapporti: collaboratori delle ambasciate, delle forze armate, dei servizi di sicurezza, e così via.

È significativo che il retorico richiamo alla necessità di garantire il diritto di asilo alle persone in fuga dall’Afghanistan e l’esigenza di contenere il movimento e confinarlo sono state, nel dibattito pubblico italiano ed europeo, dimensioni intrecciate e in buona parte sovrapposte.

Anche il trattamento riservato alle persone ai confini tra Bielorussia e Polonia, Lituania e Lettonia ci parla dell’inadeguatezza dell’asilo come strumento per tutelare efficacemente le persone in transito.

L’utilizzo, da parte del governo bielorusso, della mobilità delle persone provenienti da Afghanistan, Siria, Iraq come strumento di pressione nei confronti delle istituzioni europee, la conseguente violazione del diritto di asilo e il respingimento su larga scala, operato dai paesi membri dell’UE, mostrano come il diritto di asilo sia plasticamente inefficace e ampiamente piegabile a seconda della necessità dettate dalla contingenza politica e geopolitica.

Oltretutto, si trattava di un numero tutt’altro che elevato di persone, rimaste per settimane al gelo nei boschi, in condizioni ampiamente drammatiche. Anche in questa circostanza lo statuto formale del diritto di asilo è stato piegato dalle iniziative sviluppate dai governi.

A una prima lettura, la crisi ucraina e il conseguente movimento delle persone sembrano seguire una logica in netta controtendenza. Il Consiglio dell’Unione Europea ha infatti deciso di attivare la direttiva introdotta nel 2001 che consente di riconoscere protezione temporanea in seguito a un afflusso massiccio di sfollati. Si tratta di una decisione potenzialmente importante, applicata per la prima volta dall’approvazione della legge, che riconosce uno status di protezione alle persone in fuga dal conflitto.

Anche in questo caso, però, non si tratta di un riconoscimento generalizzato a tutte le persone che abbandonano l’Ucraina. Al contrario, chi, pur vivendo in Ucraina, è originario di un altro paese, è sottoposto a condizioni aggiuntive, inerenti ad esempio alle regolarità del soggiorno.

È un indicatore ulteriore di come il sistema di protezione configurato nell’ambito dell’Unione Europea possa assumere volti molteplici: accogliere gli uni, escludere gli altri.

In uno scenario di questo tipo, c’è un elemento potenzialmente in grado di rompere gli attuali equilibri: il movimento delle persone attraverso i confini e lo sviluppo di attività di sostegno al transito, trasversali ai gruppi nazionali e agli status giuridici.

In questi giorni in Italia e in tantissimi paesi europei si sviluppano potenti, caotiche e diffuse iniziative di solidarietà. L’attraversamento in massa delle frontiere e le azioni solidali rappresentano un’occasione per piegare – questa volta dalla parte della libertà di movimento – il diritto di asilo.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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