Ricadute sociali della follia atlantista, la fine del suprematismo occidentale e il rilancio di una vera politica internazionalista.

 di Francesco Cori  

Un moto irrazionale di follia atlantista e russofobica si è scatenato in Italia dopo l’invasione da parte della Federazione Russa dell’Ucraina. Tutti i media, la stragrande maggioranza delle forze politiche – con eccezione di un numero poco consistente di deputati – dimenticando colpevolmente il sostegno dato al colpo di Stato di Maidan del 2014, di otto anni di bombardamenti dell’esercito ucraino e delle milizie naziste sul Donbass, dell’allargamento a est della Nato, hanno gridato allo scandalo, sperticandosi in dichiarazioni di guerra più o meno aperte e attuando un rigidissimo sistema di sanzioni e l’invio di forniture militari all’esercito ucraino e alla popolazione civile. 

In questo articolo non entrerò nel merito delle ragioni internazionali di questo conflitto né tantomeno nelle gravi responsabilità degli Usa e dell’Ue nell’alimentare il più possibile lo scontro militare con una possibilità di escalation davvero pericolosa. Mi limito solo a dire che la neutralità dell’Italia sarebbe estremamente vantaggiosa per le classi popolari mentre riscontro la gravissima responsabilità del governo e dell’intero sistema della disinformazione nel trascinare l’Italia in una guerra – di cui gli armamenti all’esercito ucraino e le sanzioni sono una prova manifesta – i cui sviluppi porterebbero conseguenze sociali gravissime per gli strati popolari. Oltre alle consistenti ragioni di politica internazionale rispetto alla pericolosità della Nato per la pace nel mondo e alla sua spinta bellicista nel contesto russo-ucraino voglio soffermarmi principalmente sul ruolo dell’Italia all’interno di quest’alleanza e sulle ragioni per cui una classe dirigente assetata di potere sulle classi subalterne ma meschina rispetto ai rapporti di forza internazionali sta mettendo in seria discussione la riproduzione della vita sociale di milioni di uomini per garantirsi un micropotere sempre più irrazionale e inconsistente nel corso dello sviluppo storico. Il medesimo discorso potrebbe essere riportato – anche se in misura e proporzioni diverse – per la Germania e, più in generale, per l’intera Unione Europea.

Partiamo dai fatti, e in particolare da quelli che più interessano la vita delle persone: l’economia mondiale. Dopo il lockdown e la fase più acuta del Covid il prezzo delle materie prime, e in particolare del gas, è cresciuto esponenzialmente in virtù della ripresa economica e della fame di energia, in particolare dai paesi asiatici e dalla Cina. A incidere sulla crescita dei prezzi c’è anche un fattore strutturale: la progressiva finanziarizzazione del mercato del gas con l’utilizzo dei cosiddetti future, prodotti derivati di natura finanziaria che fanno lievitare i prezzi per rivendere i titoli degli stessi future a prezzo più alto. Il numero dei future sul gas ha raggiunto nel 2020, in una fase di crisi del mercato mondiale, il livello record di 46 miliardi di dollari, il 35% in più rispetto all’anno precedente. In questo periodo L’Unione Europea, puntando sulla cosiddetta diversificazione, ha preferito acquistare il Gas dal mercato libero piuttosto che stipulare contratti con la Federazione Russa da cui la Germania e l’Italia, comunque dipendono per il 40% delle forniture. La creazione del gasdotto North Stream 2 duplicherebbe le forniture di gas in Europa ma le regole dell’Unione Europea di unbundling prevedono una netta separazione tra la proprietà e la distribuzione, mentre Gazprom possiede entrambe le filiere. È questa la motivazione tecnica che, formalmente, ha spinto l’agenzia tedesca per la distribuzione del gas a sospendere l’iter di approvazione del nuovo gasdotto.

Tutto questo avveniva prima della dichiarazione di guerra della Federazione Russa all’Ucraina e del conseguente uso di massicce sanzioni da parte dei governi europei alla Federazione Russa. Ad ora, com’era prevedibile, gli Stati europei hanno escluso dalle sanzioni la banca che fa riferimento a Gazprom e non è avvenuta alcuna riduzione nelle forniture di gas da parte della Federazione Russa, il prezzo del gas è quindi schizzato a causa delle folli scelte dell’Ue di acquistare il gas sul mercato libero – con tutte le ripercussioni sui prezzi determinate dalla speculazione finanziaria e dalla scelta europea di favorire le oscillazioni dei prezzi di mercato piuttosto che gli accordi con gli Stati. I problemi sociali di questa schizzofrenica fobia antirussa debbono ancora manifestarsi in tutta la loro potenza e non solo rispetto alle forniture di gas ma anche in riferimento all’acquisto di fertilizzanti in agricoltura, all’azoto che viene utilizzato come materia prima in questo settore, all’aumento del prezzo del grano, nonché alla distruzione di capitale bancario che si è determinata con il blocco degli investimenti dei principali gruppi bancari italiani (Unicredit, Intesa san paolo) sovraesposti nella Federazione Russa.

Non possiamo prevedere nei dettagli l’esito immediato di un conflitto di portata mondiale che si è appena aperto tra l’imperialismo occidentale e la Federazione Russa, quello che possiamo intuire come tendenza di breve e lungo periodo è la scelta strategica delle élite europee – e in particolar modo italiane – di sacrificare fette consistenti di mercato, di profitti e d’investimenti, di ridurre drasticamente il potere d’acquisto dei salari, in nome di una fedeltà atlantista, di uno schieramento politico-ideologico a cui bisogna essere fedeli, costi quel che costi. Il discorso di collocazione politico-ideologica si traduce nell’affermazione – ripetuta alla nausea dai politici italiani ed europei – che non si può perdere il valore sacro della “libertà” per il gas o di effetti collaterali derivanti dalle sanzioni

Ci si potrebbe chiedere: la libertà di chi? Certamente non quella della classe lavoratrice, già ridotta alla fame dalle politiche di austerity, dai tagli alla spesa pubblica e dall’erosione continua dei salari, dall’inflazione o da una disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 40%. Non certo la libertà di tutte quelle aziende e dei loro lavoratori che commerciavano con la Federazione Russa e che si sono visti d’un botto la chiusura delle loro aziende e il licenziamento dei lavoratori o la lievitazione dei costi di produzione. Se l’Unione Europea e l’Italia proseguono in una politica di blocchi è evidente che i meccanismi economici di stampo protezionistico aumenteranno e con questi la lievitazione dei prezzi, la riduzione drastica del potere d’acquisto dei salari e la sussunzione del capitale più debole al capitale più forte.

La classe dirigente europea e italiana, essendo espressione di un imperialismo che si è sviluppato negli ultimi 70 anni sotto l’ombrello della Nato e la copertura degli Stati Uniti d’America, non può che dipendere, da un punto di vista militare e politico, da chi gli ha garantito il controllo sui salari, la pace sociale e l’assetto complessivo di dominio – anche da un punto di vista della coscienza, dell’egemonia culturale – in tutti questi anni. È quindi disposta a perdere controvoglia quote di mercato e di profitto pur di conservare un ferreo controllo sui subordinati – la classe lavoratrice, il ceto impiegatizio e la piccola borghesia – e sulle loro coscienze. L’abbiamo visto in tutti i conflitti degli ultimi 30 anni il mantra ripetuto sino all’ossessione: l’occidente è superiore, rappresenta il migliore dei mondi possibili, l’unico luogo in cui i cittadini possono considerarsi liberi. Si tratta di un fortino da difendere a tutti i costi contro la barbarie asiatica, i corrotti latinoamericani e l’Africa. Non bisogna mai sottovalutare questo quadro di riferimento ideologico intrinsecamente razzista che anima lo spirito delle élite europee e che traendo origine dal colonialismo ottocentesco non avrà mai fine finchè l’imperialismo non verrà debellato.

Se fino a ora, dopo la caduta del socialismo reale, questo modello suprematista poteva essere egemonico in quanto si scaricavano le contraddizioni in aree periferiche del mondo – Jugoslavia, Iraq, Afganistan, Siria, Libia – ora che lo scontro investe la Federazione Russa e, potenzialmente, la Cina, le contraddizioni si approfondiscono, toccano la vita reale di milioni di persone anche in Europa, la distruzione di capitali diventa sempre più drammatica e gli effetti dei conflitti mondiali lambiscono sempre più da vicino i settori popolari. La scelta dell’unipolarismo e dell’intervento bellico – palese o mascherato – porta con sé conseguenze dirette sulla vita delle persone. È nostro compito smascherare tutta quest’ipocrisia che nasconde solo il tentativo di tenersi in vita di una classe dirigente che per 70 anni è stata parassitaria e rilanciare, oltre che il neutralismo in politica estera, una prospettiva internazionale di multipolarismo che, dati gli attuali rapporti di forza in Italia ed in Europa, può essere sostenuta solo dalla classe lavoratrice e dai settori popolari.

https://www.lacittafutura.it/editoriali/la-follia-atlantista

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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