Gianandrea Piccioli

Difficile non ripetere e non ripetersi nella situazione drammatica in cui viviamo, con tutti i nodi degli ultimi cinquant’anni che si aggrovigliano tra loro. E il peggio, Ucraina a parte, deve ancora venire, se così si può dire. Inutile continuare a ricantarci le stesse geremiadi tra di noi: la deprecazione ormai vale solo come conforto reciproco, scambio tra “compagni” come si diceva una volta, ma in realtà è soltanto un flebile e ripetitivo pigolio soffocato da mass media di ogni genere, cartacei o elettronici.

sull'orlo del baratro

È questo fronte compatto che sgomenta: non si è mai visto, nemmeno nei lontani anni Cinquanta e Sessanta, al tempo della Guerra Fredda e delle sue drammatiche tensioni, un’omogeneità ferrea e nello stesso tempo servile come quella che domina nei nostri mass media, cartacei e televisivi. Un’informazione monotona e scoraggiante, persino ingenua nella sua evidente, clamorosa malafede. Naturalmente qua e là c’è qualche eccezione, qualche singola voce bianca, qualche acuto tollerato nell’illusione di salvare la faccia, ma i pochi blandamente non schierati vengono immediatamente indicati al pubblico ludibrio e fotografati come putiniani allo stesso modo in cui ai bei tempi del selvaggio West si segnalavano i ricercati dallo sceriffo: manca solo la scritta “Wanted”…

Se, come disse Henry Kissinger in un’intervista del 1974 a J. Reston sul New York Times, “storia non significa progresso dell’uomo, ma ricorrente quanto fallimentare tentativo di trarre ordine dal caos” per noi è ancora prematuro inquadrare la fase attuale in un’interpretazione coerente. È però certo che, in un passaggio epocale dall’Ovest all’Est del mondo, siamo comunque in balia di politici mediocri o paranoici, però potenti e in grado di scatenare la catastrofe globale. Anche perché la politica, non solo quella italiana, si è sfarinata in un pulviscolo di chiacchiere, favorito anche dalla dispersione ideologica: resta solo la forza.

Senza idee e senza analisi si vive alla giornata, facendo scongiuri e guardandoci allibiti tra noi, scambiandoci telefonate e discorsi apocalittici e ripetitivi. Ma l’impotenza non può farci tacere. Non solo per il riconoscimento e il conforto reciproci ma anche, e soprattutto, per testimoniare una residua consapevolezza: più per salvare l’anima che per effettiva, concreta utilità.

sull'orlo del baratro

Il primo punto focale sembra essere il drammatico, pericoloso passaggio di egemonia. Gli Stati Uniti d’America, e la loro ideologia globale, quella del dominio economico planetario e della “fine della 3 storia” (do you remember Fukuyama?), privi ormai da anni di una guida politica all’altezza della situazione, sono pronti a tutto usando come grimaldello la NATO, l’alleanza che, nata per fronteggiare le minacce sovietiche ai tempi della Guerra Fredda, doveva logicamente sciogliersi parallelamente alla fine del Patto di Varsavia (per tutta la vicenda si vedano l’esauriente articolo di Matteo Luigi Napolitano, La Nato non avanzerà verso est neppure di un centimetro, e l’articolo di David Teurtrie su Le Monde diplomatique, Ukraine, pourquoi la crise). Invece si è dilatata in tutto l’Occidente fino ai suoi estremi confini a Est, trasformando di fatto l’Europa in una colonia americana, con buona pace di De Gaulle e di chi sogna tuttora un’ Europa autonoma e indipendente. E offrendo l’Ucraina su un piatto d’argento alle ambiziose paranoie di Putin.

Colpa anche dell’Europa, che non è mai riuscita a essere una vera Unione solidale ma si è accontentata di un puzzle di nazioni diverse, gelose delle proprie storie diverse, storie spesso con reciproche sanguinose vicende alle spalle. Ed è proprio questa geopolitica suicida che sgomenta: l’Europa diventata, col consenso di tutti i mass-media, e il pubblico ludibrio dei pochi dissidenti, il terreno di scontro tra Stati Uniti e Russia. E mentre  per l’Ucraina si commuove l’intero apparato informatico, guai a chiedere che la stessa commozione si estenda ai palestinesi, ai curdi, agli yemeniti, ai siriani (tanto per fare solo alcuni esempi) o che ci si sdegni della mattanza di Gheddafi: nemmeno un plissé.

Non so come, e soprattutto se, ne usciremo. Sicuramente ci aspettano momenti difficili, anche in Italia. Un governo ormai traballante, il cui princeps si rivela per quello che è sempre stato: un bravo economista di destra (altroché l’allievo prediletto di Caffè…), filoamericano, civile: ha studiato dai gesuiti, non si mette le dita nel naso, non passa le notti con le sgualdrine, non ruba (e per l’Italia è già tanto). Ma non ci si può aspettare da lui nemmeno un guizzo di autonomia dai poteri forti. Il problema è che le alternative non sono poi tante né nuove elezioni chiarirebbero una situazione da cui solo Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia potrebbero trarre vantaggio. Forse dobbiamo accontentarci di mettere le note a piè di pagina: l’unica testimonianza possibile.

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/07/12/sullorlo-del-baratro/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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