Il modo in cui i principali quotidiani italiani trattano la crisi climatica è fuorviante, secondo uno studio di Greenpeace e dell’Osservatorio di Pavia © minoandriani/iStockPhoto
Uno studio di Greenpeace e dell’Osservatorio di Pavia punta il dito su come i cinque grandi quotidiani italiani trattano la crisi climatica
Sui principali quotidiani italiani la crisi climatica trova poco spazio. Al contrario di quanto avviene per le pubblicità delle aziende inquinanti. Che dimostrano di avere una grande influenza sulla stampa italiana. È quanto emerge da uno studio pubblicato oggi, mercoledì 13 luglio, da Greenpeace Italia e realizzato dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. L’analisi ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa.CLIMAX
Pochi articoli sulla crisi climatica e tante pubblicità di fonti fossili, auto, aerei e crociere
I risultati mostrano che i principali quotidiani italiani pubblicano in media due articoli al giorno che fanno almeno un accenno alla crisi climatica. Ma gli articoli che trattano esplicitamente il problema sono appena la metà. Al contrario, viene dato ampio spazio alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche. Tra i maggiori responsabili del riscaldamento del Pianeta.
Sul Sole 24 Ore si contano più di cinque pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana. Negli articoli esaminati, inoltre, le aziende sono il soggetto che ha più voce (18,3%). Superando esperti (14,5%) e associazioni ambientaliste (11,3%). La crisi climatica è infine raccontata principalmente come un tema economico (45,3% degli articoli), quindi come una questione politica (25,2%) e solo in misura minore come un problema ambientale (13,4%) e sociale (11,4%).
«Dalle aziende inquinanti una pericolosa influenza sui quotidiani italiani»
«Questo studio dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana. Basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.
«Nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte»
Giancarlo Sturloni, Greenpeace Italia
«Grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevole greenwashing – aggiunge l’attivista – le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione. Impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo. Se vogliamo che il giornalismo svolga il suo ruolo cruciale di watchdog nella lotta alla crisi climatica, anziché di megafono delle aziende inquinanti, dobbiamo liberare i media dal ricatto del gas e del petrolio».
I quotidiani italiani valutati sulla base di cinque parametri. Inclusi i finanziamenti
In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha elaborato una classifica dei principali quotidiani italiani, valutati mediante cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se tra le cause citano i combustibili fossili; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti e 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti.
Quest’ultimo parametro è stato valutato con un questionario che Greenpeace ha inviato ai direttori delle cinque testate. A cui ha risposto parzialmente solo Avvenire. Considerando la media dei cinque parametri, Avvenire raggiunge una risicata sufficienza (3 punti su 5), scarsi invece i punteggi di Corriere e Repubblica (2,2 su 5), mentre in fondo alla classifica si trovano La Stampa e Il Sole 24 Ore (2 su 5).
Solo Avvenire appena sufficiente
«Abbiamo deciso di chiamarla la “Classifica degli intrappolati” per denunciare la pericolosa dipendenza del giornalismo italiano dai finanziamenti delle aziende inquinanti. Se vogliamo preservare la libertà di stampa e consentire a cittadine e cittadini di conoscere la verità sulla crisi climatica, dobbiamo rompere il patto di potere che incatena i mass media all’industria dei combustibili fossili», spiega Chiara Campione, responsabile dell’unità Corporate di Greenpeace Italia.
«Per questo – aggiunge – abbiamo lanciato la nuova campagna “Stranger Green”. Contro il greenwashing e le false soluzioni che ritardano gli interventi di cui abbiamo urgente bisogno per salvarci dagli impatti della crisi climatica. Come la terribile siccità e le prolungate ondate di calore di questi mesi. Perché, come recita il sottotitolo della nostra campagna, che si richiama all’immaginario della serie di culto Stranger Things, “Sotto il greenwashing c’è l’inferno climatico”».
Per vietare le pubblicità e le sponsorizzazioni delle aziende legate ai combustibili fossili, Greenpeace sostiene, insieme a più di trenta organizzazioni internazionali, una Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Se entro ottobre la petizione “Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti” raggiungerà il traguardo di un milione di firme, la Commissione europea sarà obbligata a discutere una proposta di legge. Obiettivo: mettere fine alla propaganda ingannevole delle aziende inquinanti che alimentano la crisi climatica.