Copertina del libro di Bernard D’Mello
Francesco Cecchini
Commento del Traduttore.
“Naxalbari non è morta e non morirà mai.” Charu Majumdar, autunno 1967.
Naxalbari (o Naksalbari, Nakalbari) è un villaggio del Darjeeling, Bengala Occidentale, di poche migliaia di abitanti; è lungo il fiume Mechi che lo separa dal Nepal. A Naxalbari il 3 marzo del 1967 militanti del Communist Party of India (Marxist) e assieme ad un gruppo di braccianti della tribù dei Santhal, occupò con le bandiere rosse un latifondo. Fu la scintilla di una rivolta che fu sconfitta solo anni dopo, con un bilancio di 10.000 morti, massacri, incarcerazioni, torture e stupri, armi tuttora usate nella repressione dei movimenti rurali. Ma come affermò Charu Majumdar, uno dei leaders, fu la sconfitta di una battaglia, ma la guerra continuò e continua.
Charu Majumdar
Articolo pubblicato su Monthly Revew del 15 luglio 2022 e tradotto da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento. Il link con l’articolo originale è il seguente:
https://mronline.org/2022/07/14/india-after-naxalbari-unfinished-history/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=india-after-naxalbari-unfinished-history&mc_cid=cfa577bfbd&mc_eid=ee4419189a
L’India dopo Naxalbari: Storia infinita, di Bernard D’Mello. New York: Monthly Review Press, 2018. Carta, $ 27,00. pp. 384.
L’India After Naxalbari: Unfinished History di Bernard D’Mello è allo stesso tempo una storia dello sviluppo politico, economico e sociale dell’India dal Raj britannico ad oggi; una ricostruzione storica dei diversi tentativi di costruire un movimento rivoluzionario in India; e un intervento politico nei dibattiti contemporanei all’interno della sinistra indiana. Riassumendo la sua metodologia, D’Mello scrive: «Per capire l’India, è essenziale andare alle radici della povertà, della miseria, del degrado e dell’ingiustizia che subisce la maggior parte della sua gente». Il libro di D’Mello è quindi una critica feroce della storia e del presente politico-economico dell’India e un’esortazione all’azione politica.
Invece di passare dall’economia politica alla lotta rivoluzionaria, D’Mello inizia con due capitoli che raccontano le storie del movimento comunista, dei movimenti per le libertà civili e per i diritti democratici, il movimento ecologista, il movimento Dalit (“intoccabili”) e il movimento delle donne e movimenti dei lavoratori, mentre allo stesso tempo trasferisce l’India nel momento globale del 1968. D’Mello riconosce che questa è una prospettiva volontaristica e osserva che deve essere integrata con una prospettiva “determinista” che deve “essere sintetizzata in modo intelligente per acquisire una comprensione più completa del “presente come storia”.
D’Mello si sposta quindi nel capitolo 3 alla prospettiva “determinista” esaminando le “caratteristiche principali del capitalismo sottosviluppato indiano e il processo di sviluppo dipendente e ineguale, guidato, negli ultimi sei-sette decenni, da un grande business indiano —blocco governativo capitalista multinazionale. Nonostante le sue affinità con il movimento maoista, D’Mello non ne utilizza l’analisi e la nomenclatura, e la sua analisi è un concorrente ideologico della loro. Utilizzando il quadro che ha delineato in What is Maoism and Other Essays, ed ereditato da Monthly Review, D’Mello utilizza l’approccio dei sistemi mondiali di Immanuel Wallerstein per sostenere che l’integrazione dell’India come periferia da parte del Raj britannico ha contribuito a far passare l’India da un “piccolo declino in declino”. merce, formazione sociale ‘tributaria’ nella prima metà del 18° secolo al ‘capitalismo sottosviluppato’ entro la metà del 19° secolo. Due importanti sviluppi hanno avuto luogo nella struttura economica. Il primo è l’insediamento dei proprietari terrieri nei centri urbani, dove i loro figli sono stati educati e impiegati in carriere piccolo borghesi. Questi proprietari terrieri urbanizzati assumevano così intermediari per rappresentare i loro interessi finanziari nei villaggi, determinando una distinzione formale tra il loro potere politico ed economico, sebbene in pratica molti proprietari continuassero ad esercitare poteri giudiziari e di polizia e presiedessero i consigli di villaggio (panchayat). La seconda era che la borghesia compradora indiana accumulava ricchezza sufficiente come agenti commerciali per la Compagnia delle Indie Orientali e successivamente come intermediari bancari indigeni delle banche per azioni britanniche. Questa accumulazione ha permesso loro di assumere il controllo delle attività industriali e di diventare una forma di grande business indiano, con un rapporto ambivalente con le multinazionali. Nel capitolo 4, D’Mello torna sul movimento maoista durante la sua seconda fase, in particolare sulla sua enfasi sulla costruzione di organizzazioni e movimenti di massa e sulla costruzione parallela di un esercito di guerriglia (1978-2003). Il capitolo 5 torna al resoconto deterministico esaminando i significativi cambiamenti economici introdotti nel 1989, in particolare la consegna da parte dello stato di risorse naturali scarse e altri beni pubblici a buon mercato alle grandi imprese indiane e alle multinazionali, beni che vengono poi mercificati e diventano la fonte di plusvalenza. D’Mello sostiene in modo convincente che ciò permise all’India di diventare, utilizzando il concetto di Ray Mauro Marini, un paese subimperialista, e di porre le basi per il conflitto tra i movimenti Adivasi (tribali) e maoisti, e le grandi imprese indiane e multinazionali. D’Mello, nel capitolo 6, sostiene che capitalismo e democrazia, quest’ultima intesa come volontà popolare, sono incompatibili; critica la democrazia liberale indiana come una competizione tra due o tre partiti per il potere oligopolistico. Inoltre, questo oligopolio si basa sulla violenza politica per reprimere i movimenti popolari. D’Mello sviluppa quest’ultimo punto nel capitolo 7 esaminando la terza fase (2004-2013) del movimento naxalita, caratterizzata dall’esistenza di un importante esercito di guerriglia, e dal tentativo del governo indiano di reprimerlo mediante l'”Operazione Green Hunt”. D’Mello torna indietro nel capitolo 8 per analizzare le pratiche dello stato nei confronti delle libertà personali, in particolare la libertà di religione, esaminando tre pogrom scatenati contro le minoranze religiose, a Delhi (1984), Bombay (1993) e Gujarat (2003). D’Mello conclude che entrambi i partiti principali, il Congresso e il BJP, si sono impegnati in comportamenti pregiudizievoli e hanno attaccato le comunità religiose minoritarie. Ciò culmina, nel capitolo 9, con l’ascesa del BJP sotto Narendra Modi nel 2014. D’Mello descrive il governo Modi come un regime “semifascista”, “autoritario-democratico” che fa affidamento sul subimperialismo. D’Mello conclude nel capitolo 10 esplorando quale nuovo tipo di stato è necessario e quale sarebbe una “base comunitaria del socialismo”, offrendo così una soluzione alla questione contadina e fornendo un “programma provvisorio per vincere prima la battaglia politica contro l’Hindutva -nazionalismo e semifascismo. Data l’importanza della casta nell’economia politica indiana, D’Mello include anche un’appendice sul rapporto tra casta e classe. Se l’analisi politico-economica di D’Mello è preferibile a quella offerta dagli ideologi maoisti, la sua analisi dello Stato resta troppo inscritta nelle concezioni leninistiche. Il testo di D’Mello è pieno di commenti sullo “stato” o “lo stato indiano”. Piuttosto che concettualizzare lo stato come condensazione dei rapporti tra classi, etnie, gruppi linguistici, ecc., lacerato da contraddizioni e tensioni, l’analisi dello stato di D’Mello rimane monolitica; lo stato opera al di sopra o in opposizione al popolo. La sua convinzione che la democrazia indiana è marcia; il processo elettorale è già stato dirottato con successo con il potere del denaro e della ricchezza sembra troppo inequivocabile e sopravvalutato. D’Mello esclude di fatto ogni possibilità di avere qualsiasi rapporto con lo Stato indiano se non quello di pura alterità. Ciò è parallelo alla sua mancanza di attenzione per il Fronte di sinistra. In effetti, considerando che il movimento Hindutva è stato in grado, per un periodo di decenni, di costruire un blocco egemonico all’interno della società indiana, incluso un braccio elettorale, perché i comunisti indiani non potrebbero fare lo stesso? In effetti, la mancanza di successo da parte dei comunisti parlamentari e non nel raggiungere i loro obiettivi suggerisce che c’è una crisi del marxismo in India più profonda di quella che D’Mello desidera ammettere.
L’India After Naxalbari di D’Mello offre un esame vivido e ad ampio raggio della storia e del panorama politico dell’India ed è un prezioso contributo ai dibattiti contemporanei sulla situazione politico-economica dell’India e sulla strategia e tattica di sinistra. Il contributo più significativo di D’Mello è il suo energico argomento per un’alternativa al racconto del movimento maoista indiano, pur rimanendo in sintonia con i loro obiettivi e intenzioni.
La ribellione armata dei contadini poveri iniziata cinquant’anni fa a Naxalbari, in India, continua ancora oggi. Bernard D’Mello racconta la storia delle sue origini e del suo disuguale sviluppo, in un contesto storico. La lotta armata sopravvive perché le condizioni che l’hanno generata non solo persistono, ma sono ancora più gravi. Per capire il presente e il futuro dell’India, questa storia è essenziale. E il brillante resoconto di Bernard D’Mello non ha eguali.” “John Mage, avvocato internazionale Sebbene la rivolta rivoluzionaria dei contadini armati del 1967 a Naxalbari, ai piedi dell’Himalaya indiano, sia stata brutalmente repressa, l’insurrezione ha guadagnato nuova vita altrove in India. In effetti, questa rivolta si è rivelata la “guerra popolare” più lunga al mondo e Naxalbari è arrivata a rappresentare la strada della rivoluzione in India. Che cosa è servito nella realizzazione di questa lunga resistenza maoista? L’affascinante narrazione di Bernard D’Mello risponde a questa domanda tracciando le circostanze che hanno dato origine al decennio dell’umanesimo rivoluzionario indiano del “1968” e quelle che hanno portato al trionfo dell’era del “1989” di crescita spaventosamente ineguale condonata dal nazionalismo Hindutva, variante del nazismo. Ciò che resta del continuo “1968” dell’India porterà la “Nuova Democrazia” del ventunesimo secolo nell’agenda collettiva? O la regressione in corso del “1989” aprirà la strada al semifascismo e al subimperialismo in piena regola? L’India dopo Naxalbari è molto più di una semplice storia della continua resistenza naxalita/maoista; è un’opera profondamente appassionata e informata che non solo cattura l’essenza della storia indiana moderna, ma cerca anche di comprendere il presente nel contesto di quella storia, in modo che gli oppressi possano esercitare il loro ruolo.
Significatrive le parole di Arundhati Roy, una naxalita urbana. nella copertina del libro di Bernard DMello : “Un pezzo della storia indiana che gli storici tradizionali hanno avuto la tendenza a ignorare o a travisare”.
Arundhati Roy assieme a naxaliti.
Bernard D’Mello è un giornalista senior dell’Economic & Political Weekly e un attivista per le libertà civili del Committee for the Protection of Democratic Rights, Mumbai. I suoi lavori includono What is Maoism and Other Essays (Pubblicazioni Cornerstone, 2010) e India after Naxalbari (Monthly Review Press).