La vittoria dei vietnamiti a Dien Bien Phu, lo spirito di Bandung, la rivoluzione cubana, la liberazione dell’Africa dal giogo coloniale: dalla metà dei ’50 all’inizio dei ’60 sul XX secolo sembrava aleggiare l’idea del cambiamento e dell’uscita dal clima soffocante provocato dalla ferrea logica dei blocchi contrapposti.
L’unità europea non faceva parte di questa prospettiva di cambiamento: gli stessi “Trattati di Roma” (1957) erano apparsi come un suffragare di un’entità vista come avamposto degli USA, soggetto capitalista conservatore, messo lì a presidiare la cortina di ferro addirittura pensando al riarmo della Germania. Infatti fu l’ipotesi di riarmo della Germania a muovere l’opposizione alla CED svolta attraverso un grande movimento popolare poi raccolto dal parlamento francese pur in un’ottica di riflesso nazionalista.
Poi ci pensarono il discorso di Kennedy a Berlino e la crisi dei missili di Cuba a ridimensionare quel quadro di ricerca di nuovi equilibri ma la liberazione dell’Africa, quasi completata dall’indipendenza algerina nel 1962, rimase come riferimento di speranza per una stagione che non fu semplicemente “terzomondista”.
“Internazionale storia” ha dedicato il numero di Luglio 2022 alla fine dei grandi imperi coloniali ricordando anche i grandi pensatori (Gandhi, N’Krumah, Fanon, Lumumba, Cabral) che riflettevano sui modelli di stato e di società da adottare per creare un’alternativa a quello imperialista, basato sullo sfruttamento e sulle gerarchie razziali.
Una scelta editoriale opportuna quella effettuata da “Internazionale” e quanto mai stimolante per costruire una memoria che serva nell’oggi in un momento nel quale – proprio nel senso dell’arretramento storico – reciproci imperialismi vanno di nuovo fronteggiandosi minacciosamente in un quadro di guerra soltanto al momento condotta “per procura”.