Il referendum costituzionale voluto dal presidente ha fatto registrare una bassissima affluenza alle urne, ma è ritenuto valido in quanto non era previsto un quorum.

Il 25 luglio, giornata in cui si celebra la nascita della Repubblica, i cittadini della Tunisia sono stati chiamati alle urne per approvare la riforma della Costituzione fortemente voluta dal presidente Kaïs Saïed. Secondo i suoi oppositori, Saïed sta cercando di dare una svolta autoritaria al Paese nordafricano, accentrando tutti i poteri su di sé, mentre i suoi sostenitori rispondono che il presidente sta solamente prendendo le misure necessarie per arginare le frange del fondamentalismo islamico e la corruzione. A livello numerico, la riforma è stata approvata dal 94,60% dei votanti, ma l’affluenza alle urne è stata pari solamente al 30,50% degli aventi diritto, cifra che ha aperto un dibattito sulla legittimità del risultato, sebbene non fosse previsto un quorum per la sua validità.

L’opposizione, infatti, afferma che la bassa affluenza è figlia della campagna di boicottaggio lanciata da coloro che si oppongono al nuovo testo costituzionale definito come “iperpresidenziale”. I sostenitori della riforma, al contrario, rispondono che, se fossero stati sicuri di disporre di una maggioranza così schiacciante, gli oppositori si sarebbero potuti recare alle urne e votare contro la riforma. 

La realtà sta probabilmente nel mezzo, nel senso che l’affluenza alle urne in Tunisia è endemicamente bassa, come dimostra il dato delle legislative del 2019 (41,70%). Persino alle presidenziali, che sono l’evento politico più importante per il Paese nordafricano, meno del 50% degli aventi diritto aveva deciso di esprimere il proprio voto al primo turno del 2019, mentre al secondo turno la partecipazione aveva superato di poco il 55%. Questo dato evidenzia come la maggioranza dei cittadini non sia contraria a Saïed in sé, ma abbia perso qualsiasi fiducia nei confronti del sistema politico tout court.

I sondaggi hanno ripetutamente dimostrato che, nonostante un forte calo dell’indice di gradimento di Saïed, sarebbe ancora il candidato presidenziale più popolare se si dovessero indire le elezioni”, si legge in un articolo pubblicato dalla corrispondente di Al Jazeera a Tunisi, Elizia Volkmann. Gli elettori hanno infatti scelto Saïed per contrastare le continue crisi economiche che il Paese ha vissuto dalla “primavera araba” del 2011 e la cacciata del presidente Zine El-Abidine Ben Ali, che governava ininterrottamente dal 1987. Nonostante la nuova Costituzione “democratica”, la Tunisia è però ripiombata in continue crisi che hanno infranto l’entusiasmo del 2011.

L’elezione del candidato indipendente Kaïs Saïed nel 2019 avrebbe dovuto dunque porre fine a questo periodo di crisi, ma il presidente si è trovato subito in contrasto con il parlamento, il cui partito politico più importante è l’islamista Ennahda (in arabo: حركة النهضة‎, Ḥarakat al-Nahḍa, lett. Movimento della Rinascita), in passato legato al movimento dei Fratelli Musulmani. Saïed ha così optato per la riforma costituzionale, che dovrebbe permettere al presidente di guidare il governo senza subire l’ostruzionismo del parlamento, ed ha anche sciolto l’organo legislativo, le cui nuove elezioni si svolgeranno a dicembre, basandosi questa volta sul nuovo testo costituzionale.

I timori, da parte degli osservatori, riguardano soprattutto le possibili proteste da parte dell’opposizione. Già nelle scorse giornate, la capitale Tunisi ha visto lo svolgimento di diverse manifestazioni antipresidenziali, che vanno ad aggiungersi a quelle che si sono svolte nell’ultimo anno per protestare contro i decreti che imponevano restrizioni a causa della pandemia di Covid-19. 

Il referendum costituzionale ha creato una spaccatura anche all’interno della sinistra tunisina. Mentre alcune forze politiche si sono schierate con l’opposizione, altre hanno infatti sostenuto la riforma proposta dal presidente Kaïs Saïed. Tra queste, figura il Movimento del Popolo, che dispone di quindici seggi in parlamento. Zuhair Al-Magzawi, segretario generale del partito, si è fatto fotografare mentre partecipava al referendum, mentre Osama Oyedat, altro dirigente del Movimento del Popolo, ha dichiarato a Sky News: “La nuova Costituzione mette fine allo Stato corrotto che abbiamo conosciuto negli ultimi dieci anni. Il primo punto da modificare era la legge elettorale. Il nostro partito ha proposto molte volte una modifica del sistema elettorale, una modifica del sistema nel suo complesso. Il processo elettorale deve essere purificato dalla corruzione politica, dai fondi che arrivano da associazioni che finanziano partiti politici e la loro propaganda. Dobbiamo inoltre assicurare una stabilità sociale ed economica, e di conseguenza verrà anche la stabilità politica”.  

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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