“Due anni fa ho vinto questa elezione primaria con il 73% dei voti. Avrei potuto ripetermi, ma ciò mi avrebbe obbligata a seguire le menzogne di Donald Trump sull’elezione. Non ho voluto prendere quella strada”. Così Liz Cheney, la battagliera parlamentare del Wyoming, mentre accettava la sua recente sconfitta alle primarie del suo Stato. La sconfitta le bloccherà il ritorno alla Camera a gennaio per rappresentare l’Equality State, cosiddetto per essere stato il primo a concedere il voto alle donne nel 1869.
Una vittoria per l’ex presidente dunque poiché la sua surrogata Harriet Hageman ha ottenuto il 66% dei consensi comparati al 28% per Cheney. Una vittoria “dolce” per il 45esimo poiché la Cheney era divenuta il simbolo anti-Trump con i suoi toni battaglieri emersi specialmente nelle sue vesti di vicecapo della Commissione alla Camera che sta indagando gli assalti al Campidoglio il sei gennaio dell’anno corso.
La Cheney, va ricordato, è una dei dieci parlamentari repubblicani alla Camera ad avere votato per l’impeachment di Trump per i suoi incitamenti all’insurrezione del 6 gennaio. Dopo il voto della Camera però il Senato assolse il 45esimo presidente poiché solo 57 dei 60 senatori necessari votarono per condannarlo.
La Cheney non è l’unica dei dieci parlamentari che hanno avuto il coraggio di remare contro Trump. Gli altri nove hanno avuto strada difficile alle primarie a causa degli sforzi di Trump di punirli. Solo due fra di loro, Dan Newhouse (Washington, 4° distretto) e David Valadao (California 22° distretto) sono usciti incolumi dalle primarie e dovranno vedersela con i loro avversari democratici per la loro rielezione. Quattro di loro hanno deciso di non ricandidarsi avendo capito che la strada gli sarebbe ostacolata da Trump. Questi includono Fred Upton (Michigan 6° distretto), John Katko (New York 4°), Anthony Gonzalez (Ohio 16° distretto), e Adam Kinzinger (Illinois 16° distretto). Gonzalez ha giustificato il suo ritiro citando la valanga di minacce alla sua famiglia da sostenitori di Trump. Questo aspetto di scatenare violenza contro i suoi nemici politici è divenuto il modus operandi di Trump. Sfortunatamente i media non hanno trattato abbastanza questo tema e la stragrande maggioranza dei leader repubblicani lo accettano in silenzio invece di condannarlo a voce alta. Kinzinger ha citato ragioni personali per gettare la spugna anche se non lo ha fatto completamente. Come la Cheney, anche lui è membro della Commissione alla Camera che indaga l’insurrezione del 6 gennaio scorso. Anche lui ha attaccato frontalmente Trump e ha pagato il prezzo con serie minacce alla sua famiglia da parte di sostenitori dell’ex presidente.
Gli altri quattro repubblicani che votarono per l’impeachment di Trump si sono ricandidati e sono stati sconfitti da individui scelti dall’ex presidente. Oltre a Cheney, Jaime Herrera Beutler (Washington 3° distretto), Tom Rice (South Carolina, 7° distretto), e Peter Meijer (Michigan, 3° distretto) hanno anche sofferto l’ira dell’ex presidente che ha contribuito notevolmente a mandarli a casa.
Dei dieci che hanno votato per l’impeachment di Trump solo due sono dunque sopravvissuti. Gli altri hanno gettato la spugna volontariamente o sono stati sconfitti alle urne. Il cambiamento di fiducia espresso dagli elettori del Wyoming riguardo la Cheney è sconcertante poiché lei è andata da una vittoria col 73% nel 2020 a una sconfitta ricevendo solo il 28%. La Cheney ha rischiato grosso e lo sapeva poiché aveva attaccato frontalmente Trump. Altri candidati attaccati da Trump hanno seguito un’altra strategia e hanno ottenuto successi. Il candidato repubblicano alle primarie per governatore Brian Kemp e quello a segretario di Stato Brad Raffensperger in Georgia hanno sconfitto i surrogati di Trump usando diplomazia, senza attaccare direttamente l’ex presidente. Sono riusciti dunque a non alienare i fedelissimi di Trump, evitando di creare uno scontro frontale con l’ex presidente come ha fatto Cheney.
La Cheney però nel suo discorso in cui ha riconosciuto la vittoria di Hageman ha anche sottolineato i principi che la guidano alla difesa della costituzione e della verità. I quattro surrogati vincitori di Trump hanno prevalso alle primarie ripetendo i “principi” del loro capo, ossia le menzogne che con l’ex presidente dominano il Partito Repubblicano divenuto in grande misura strumento totale dell’ex presidente.