Uno dei primi sintomi della decadenza di una civiltà è la fine della produzione di nuove idee. La politica italiana dove non si produce nulla di nuovo è parente prossimo di questo degrado culturale e creativo.
La decadenza della civiltà
Uno dei primi sintomi della decadenza di una civiltà è la fine della produzione di nuove idee.
In Europa e, in Italia ancora di più, abbiamo visto negli ultimi decenni un ristagno della produzione intellettuale.
Il cinema italiano un tempo studiato e guardato con passione in tutto il mondo, oggi fa pena.
Le correnti artistiche del momento sono una ripetizione mescolato del passato.
La transavanguardia di Achille Bonito Oliva ci ha mostrato l’importanza della critica, l’arte ormai diventa arte in base alle parole dei critici e non per un valore proprio.
Tutto questo nel più grande mare del postmoderno che sembra un manierismo triste, nichilista, pessimista (altro sintomo di civiltà in crisi è quello di mescolare stili passati, per avere qualcosa di nuovo, che nuovo non è: è nuovo, ma riconoscibile, quindi tranquillizzante).
Ma poteva essere altrimenti dopo le avanguardie, il concettuale e l’espressionismo astratto? I più attenti diranno: certo.
L’astratto – che noi presentiamo come un’invenzione tutta occidentale – era già stato masticato più volte in altri contesti culturali e mai ha rappresentato la fine della rappresentazione.
Però gli altri popoli non hanno un’idea esclusivamente lineare della Storia: se tu pensi che il tempo sia una linea, che il mondo abbia sorti progressive e che tutto debba sempre cambiare per portarti oltre, arriverà un giorno in cui non avrai più nulla di nuovo da dire (fatto salvo grandi rivoluzioni sociali e tecnologiche, ma non è che possiamo vivere una rivoluzione dei costumi continua, altrimenti diventa banalità anche quello)
La letteratura italiana (quella di massa, che vince i premi, spinta dalle case editrici e dai giornali) è vacua. Gli stessi premi letterari sono penosi.
Molti di voi hanno fatto il gioco di stilare prima i vincitori futuri di varie competizioni (azzeccandoci) o di descrivere il romanzo medio spinto da La Repubblica e descrivendo (giustamente) una trama di una banalità allucinante.
La politica italiana dove non si produce nulla di nuovo è parente prossimo di questo degrado culturale e creativo.
Sono 30 anni che continuiamo a votare le stesse persone pur andando tutto a rotoli e pur essendo – in alcuni casi – oltre il limite biologico per poterlo svolgere quel compito.
Mondo aulico e mondo popolare
In realtà anche qui, come ai tempi dell’Impero Romano, emerge una distinzione tra mondo aulico e mondo popolare.
Il primo in mano a politici, giornalisti di professione, film distribuiti ovunque e finanziati dallo stato in mille modi; il secondo in mano ai writer che imbrattano le pareti dei palazzi, che trasformano le città in giungle e che inventano sempre codici nuovi per cominciare (e scandalizzare, disgustare) a creare qualcosa
Forse persino su Facebook quando articoliamo un pensiero nuovo, originale, quando facciamo partire un confronto che sfugge alla logica binaria o partitica (non troppo spesso a dire il vero), facciamo cultura popolare, al di fuori degli schemi.
L’impressione è che sia morto il motore ideologico che tiene unità la società: la produzione di idee delle élite. Tutto è ridotto a lotta tra gruppuscoli per il Potere.
A questo si risponde in due modi storicamente dati:
1- La Rivoluzione di Ottobre, ammazzi lo zar, prendi il potere e fai una cosa nuova con una nuova classe dirigente (la domanda è: “Che fare?”)
2- Un lento declino, mentre piano piano mescoli la tua società con altre etnie che a piccole gocce si traferiscono qui (cittadino italiano del 600 d.C.: “Eh questi Longobardi che ci vengono a rubare il lavoro! Stessero a casa loro in Ungheria da Orban! Al massimo a Cividale del Friuli!”).
Poi un bel giorno, due secoli dopo, tutti erano diventati romano-longobardi, cattolici e bravi orefici e cavallerizzi (Sic transit gloria mundi) – Questa è la linea che abbiamo scelto.
In questo Medio Evo 2 la Vendetta, gli americani possono fare i bizantini (scusate puristi, si dovrei chiamarli romani d’oriente, ma vorrei parlare a un pubblico più vasto), i cinesi possono fare gli arabi, i russi possono fare i vichinghi (quindi in finale i russi, banalizzando).
Noi se fossimo un minimo scaltri, probabilmente andremmo più veloci in questa transizione e faremmo accordi economici con chiunque: come i nostri antenati pisani, genovesi, amalfitani e veneziani delle Repubbliche Marinare.
Invece, abbiamo scelto la via del Regno di Soissons, stare qui a fare gli ultimi dei mohicani del Tardo Antico Postmoderno…
Insomma noi abbiamo scelto di non scegliere: Longobardi dove siete?!