“La Cina non sta circondando Taiwan. Taiwan fa parte della Cina! E questo è stato assolutamente accettato da tutta la comunità internazionale”

Roger Waters alla CNN

di Giambattista Cadoppi* 

Incominciamo con la citazione di una grande artista davvero anticonformista che si oppone come sempre al bombardamento a tappeto dell’opinione pubblica da parte del mainstream. 

La recente visita della speaker della camera americana Nancy Pelosi, una feroce China bahser, ha suscitato grandi proteste in Cina. A proposito di Taiwan i cinesi hanno le loro idee che sono abbastanza difficili da mettere in discussione, a cominciare dalla storia.

Fatti storici

I primi riferimenti a Taiwan si trovano, tra gli altri, nel Seaboard Geographic Gazetteer compilato nell’anno 230 da Shen Ying dello Stato di Wu durante il periodo dei Tre Regni. La corte reale della dinastia Sui aveva inviato in tre occasioni truppe a Taiwan, all’epoca chiamata Liuqiu. A partire dalle dinastie Song e Yuan, i governi centrali imperiali della Cina istituirono organi amministrativi per esercitare la giurisdizione su Taiwan e le limitrofe isole Penghu (Pescadores).

Nel 1624, i colonialisti olandesi invasero e occuparono la parte meridionale di Taiwan. Nel 1662, il generale Zheng Chenggong, una sorta di eroe nazionale, guidò una spedizione militare e li espulse dall’isola. Successivamente, la corte Qing ha gradualmente istituito vari organi amministrativi a Taiwan. Dal 1684 l’isola fa parte della prefettura di Taiwan sotto la giurisdizione della provincia del Fujian. 

Olandesi, spagnoli, portoghesi e francesi a più riprese cercarono di occupare l’isola, ma non vi riuscirono mai in maniera stabile e completa. Nel 1885, Taiwan diventa la ventesima provincia della Cina.

Nel luglio 1894, in seguito della guerra di aggressione del Giappone contro la Cina, il governo Qing viene sconfitto e nell’aprile 1895 è costretto a cedere Taiwan e le isole Penghu al Giappone. 

Il Trattato di Shimonoseki, che pose fine alla guerra tra la dinastia Qing della Cina e l’Impero del Giappone, diede Taiwan ai giapponesi, ma la maggior parte dei cinesi che vivevano sull’isola aveva mostrato il desiderio di far parte della Cina continentale. Quando i soldati giapponesi invasero Taiwan, ci furono intensi combattimenti di strada in tutta la capitale e nelle aree rurali di Taiwan. Le truppe giapponesi hanno avuto un rapido successo sulle forze militari locali che erano state organizzate frettolosamente. La maggior parte dei funzionari taiwanesi lasciò rapidamente l’isola per il continente. L’annessione giapponese di Taiwan fu solo uno dei tanti episodi del “secolo dell’umiliazione”, iniziato con la prima guerra dell’oppio nel 1842. 

Parlando con il giornalista americano Nym Wales il 15 maggio 1937, Mao Zedong disse che l’obiettivo della Cina era quello di recuperare i territori cinesi occupati e assicurare la liberazione di Taiwan.

Il 9 dicembre 1941, il governo cinese (allora dominato dai nazionalisti) dichiarò guerra al Giappone proclamando che tutti i trattati tra Cina e Giappone erano stati abrogati e che la Cina avrebbe recuperato Taiwan e le isole Penghu.

Una volta ottenuta la restituzione dell’isola con la fine della guerra nel 1945, l’amministrazione militare del Kuomintang suscitò tensioni tra la popolazione locale e il governo centrale che culminarono con il massacro del 28 febbraio 1947. La causa scatenante fu l’arresto di una venditrice di sigarette. La popolazione di Taiwan manifestò contro il governo accusato di essere oppressivo e corrotto. Nonostante il governatore di Taiwan, Chen-Yi, negoziasse con i leader della comunità taiwanese, Chiang Kai-shek inviò numerose truppe dalla Cina per reprimere il dissenso. Quando arrivarono cominciarono a uccidere i capi della protesta, tra cui molti studenti, avvocati e medici. Le vittime di questo massacro furono stimate tra i 18mila e le 28mila persone. Nel 1949, con la vittoria comunista nella guerra civile Chiang Kai-shek si rifugiò sull’isola. Il nome assunto, o meglio mantenuto, da Taiwan fu quello di Repubblica di Cina (ROC in inglese), che risale alla rivoluzione del 1911. La ROC come fondatore dell’ONU e potenza vincitrice della guerra mantenne il seggio nell’organizzazione e nel Consiglio di Sicurezza fino al 1971.

Connessioni economiche

I legami tra il continente e l’isola sono molto importanti. Il volume del commercio attraverso lo Stretto era di soli 46 milioni di dollari nel 1978. È salito a 328,34 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento di oltre 7.000 volte. La terraferma è anche la più grande destinazione per gli investimenti fuori dall’isola di Taiwan. Entro la fine del 2021 le imprese di Taiwan avevano investito in oltre 1,2 milioni di progetti sulla terraferma, per un valore totale di 71,34 miliardi di dollari.

La terraferma è stata il più grande mercato di esportazione di Taiwan negli ultimi 21 anni, generando un surplus annuale di 170 miliardi di dollari per l’isola.

Le statistiche del Fondo Monetario Internazionale mostrano che nel 1980 il PIL della terraferma era di circa 303 miliardi di dollari, poco più di 7 volte quello di Taiwan; nel 2021, il PIL della terraferma era di circa 17,46 trilioni di dollari, più di 22 volte quello di Taiwan. L’isola dipende per il suo 28% di export da Pechino e per il 24% per il suo import. La Cina continentale è di gran lunga il suo primo partner economico di Taiwan come per altro per la maggior parte dei paesi asiatici.

Dal 1980 al 2021, l’economia della terraferma è cresciuta tre volte più velocemente di quella di Taiwan. 

Quando Taiwan fu invasa dal Giappone più di cento anni fa, la Cina era un paese povero e debole. Più di 70 anni fa, la Cina sconfisse gli invasori e riprese Taiwan. Oggi, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e si appresta a superare gli Stati Uniti. 

La Cina è diventata una grande potenza non solo economicamente, ma anche dal punto di vista scientifico, tecnologico e militare oltre che politico e culturale; non c’è alcuna probabilità che la Cina permetta a Taiwan di proclamarsi indipendente.

Il governo cinese pensa che sempre più persone a Taiwan capiranno il posto della Cina nel mondo e saranno orgogliosi di far parte della Cina.

Man mano che sempre più cittadini di Taiwan, in particolare giovani, proseguendo gli studi, avviando attività commerciali, cercando lavoro o andando a vivere sulla terraferma, gli scambi, l’interazione e l’integrazione attraverso lo Stretto si intensificano in tutti i settori. I legami economici e i legami personali tra la gente di entrambe le parti si approfondiranno e le identità culturali e nazionali comuni si rafforzeranno, portando le relazioni attraverso lo Stretto più vicine alla possibile riunificazione. Su questo punta il Partito Comunista Cinese per il ricongiungimento dell’isola alla madrepatria. 

Gli indipendentisti capeggiati da Partito Democratico Progressista non riconoscono il principio della Cina unica negando di fatto il Consenso tra le due parti ottenuto nel 1992. Gli indipendentisti puntano sulla “desinizzazione” e promuovono “l’indipendenza incrementale”.

Diversa la posizione dell’altro partito “storico”. Una delegazione guidata dal vicepresidente del Kuomintang si è recata a Pechino proprio nel periodo delle manovre militari cinesi a Taiwan.

La Cina sostiene i principi di base della riunificazione pacifica dettati da Deng Xiaoping: un paese, due sistemi.

La riunificazione nazionale con mezzi pacifici è la prima scelta del PCC e del governo cinese per risolvere la questione di Taiwan, e funziona meglio a lungo termine per la stabilità e lo sviluppo della Cina. 

Il riconoscimento dell’unica Cina

Il primo comunicato congiunto tra USA e Cina fu concordato nel 1972 quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, andò in Cina in seguito alla diplomazia del ping pong. Il comunicato in cui si afferma che Taiwan fa parte della Cina è stato firmato sia da Washington che da Pechino ed è vincolante per entrambe le parti. Sono seguiti altri documenti congiunti nel 1979 in seguito all’allacciamento delle relazioni diplomatiche e nel 1982.

A differenza di questi accordi congiunti, il governo degli Stati Uniti presume con arroganza che qualsiasi legge emanata dal suo Congresso sia unilateralmente vincolante anche per la Cina. 

Infatti, il Congresso ha votato il Taiwan Policy Act del 2022, che dovrebbe promuove la sicurezza di Taiwan, garantendo la stabilità regionale minacciando la Cina con sanzioni economiche. Una delle tante “ambiguità strategiche” nel rapporto tra Cina e USA. Ma le conseguenze della visita di Pelosi a Taiwan hanno mostrato che con un atto del genere l’isola diventerà meno sicura e la regione meno stabile.

Al momento, 181 paesi, inclusi gli Stati Uniti, riconoscono la Repubblica Popolare Cinese (RPC) come governo legale della Cina e che Taiwan fa parte di un’unica Cina.

Ritorsioni economiche

Le ritorsioni economiche dei cinesi possono far male non solo a Taiwan ma anche agli Usa. La Cina, tanto per cominciare, ha interrotto le spedizioni di sabbia usata per i chip per computer e l’elettronica di consumo. La maggior parte dei wafer di silicio proviene dal Giappone. La sabbia è utilizzata da TSMC, gigante dei chip, soprattutto per la lucidatura, che comunque è un processo indispensabile.

Come osserva Pierluigi Fagan: «Se i taiwanesi non riescono a procurarsi questa sabbia altrove, o la marina cinese non permette alle navi di passare, il mondo si fermerà mentre la fornitura di chip per computer si esaurirà. Davvero un inverno freddo, buio e affamato». In caso di blocco navale sarebbe interrotta non solo l’acquisizione dei wafer ma anche l’export di chip in USA. Questo si unirebbe alle prospettive non troppo rosee della mancanza di gas e petrolio. Davvero l’era dell’abbondanza è finita in Occidente, attraverso il suicidio assistito… dagli americani.

Il 12% del Pil di Taiwan dipende dalla produzione di chip che a loro volta rappresentano una quota importante della produzione mondiale. Inoltre, gli Stati Uniti dipendono dall’industria delle macchine utensili di Taiwan

Nota, sempre Fagan, che: «La Cina fa quasi il 50% del suo import dall’Asia e poco meno, il 46% quanto ad export. Si può dire che la consistenza economica e commerciale cinese sia essenzialmente asiatica e verso l’Asia, dà (cioè importa) più di quanto prenda (esporta). La Cina risulta il primo paese per entrambi gli item per ognuno dei poco più 50 Stati asiatici e quando non è il primo è il secondo o in rari casi il terzo. Si può dire in via sistemica che per il sistema Asia, per il bene comune asiatico ovvero l’interesse comune di tutti gli Stati asiatici, la Cina funge da locomotore, cuore sistemico, pompa centrale della circolazione di ricchezza. Il che comporta che eventuali problemi di impeto nel locomotore cinese, verrebbero pagati da tutto il treno asiatico. Si deve anche ricordare i molteplici forum (fora) e accordi che legano tra loro i paesi asiatici con la Cina, RCEP, AIIB, SCO etc.».

Se gli americani volessero fare realmente i duri con i cinesi non troverebbero molti appoggi in Asia, a meno che questi paesi non vogliano suicidarsi come gli europei.

Dunque, formare alleanze stabili per colpire Pechino non sarebbe così agevole nonostante la vocazione al suicidio dei servi degli americani. Per esempio, il presidente sudcoreano ha finto di essere in vacanza, a casa sua pare, durante la visita della Pelosi. Sembra che gli stessi dirigenti di Taipei non fossero poi entusiasti della visita.

Il lato antropologico

In passato, prima del 1900, la migrazione cinese a Taiwan proveniva dal Fujian (più o meno di fronte a Taiwan attraverso lo stretto) e la maggior parte degli insediamenti cinesi si trovava sul lato occidentale dell’isola. Questi insediamenti, in seguito, divennero le principali città di Taiwan. Per qualche ragione, i cinesi preferivano rimanere vicino al mare, per facilità di comunicazione con il Fujian e perché forse il loro sostentamento dipendeva dal mare. Le aree interne di Taiwan erano montuose e difese dalle comunità indigene. I popoli di montagna tendono ad avere il vantaggio di avere un terreno più elevato.

Circa il 78-80% della popolazione taiwanese vive in aree urbane, quindi su una popolazione di 23 milioni, circa 18,4 milioni vivono lungo la costa occidentale di Taiwan. Anche i tassi di fertilità a Taiwan sono bassi, forse per ragioni simili a quelle che spiegano i bassi tassi di fertilità in Giappone e Corea del Sud. Quando così tante persone si concentrano in stretti insediamenti urbani per essere vicine al lavoro, alle scuole, ai trasporti e all’intrattenimento, la terra diventa costosa e soggetta a speculazioni, i prezzi degli immobili salgono alle stelle, il costo della vita supera gli aumenti salariali, le persone finiscono per vivere in piccoli appartamenti costosi, lavorare per lunghe ore e soffrire del cosiddetto “burn out” che è uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale. Tutto questo non è favorevole al matrimonio e alla vita familiare.

Taiwan non può essere confrontata con Hong Kong che era una concessione extraterritoriale al Regno Unito, fatta tramite la politica delle cannoniere, recuperata alla scadenza dalla madrepatria. Una buona parte della popolazione di Taiwan è emigrata dalla Cina continentale nel 1949 dopo la sconfitta del Kuomintang. La popolazione, dunque, è antropologicamente cinese e la geografia e come abbiamo visto la storia e l’economia tutto è a favore della Cina.

Sun Yat-sen ha dichiarato il ringiovanimento come obiettivo nazionale della Cina e della Rivoluzione del 1911, e Sun è venerato da tutte e due le sponde dello stretto di Taiwan. Proprio il ringiovanimento della nazione cinese è l’obbiettivo che si è posto il presidente Xi Jinping.

Militari cinesi nazionalisti e comunisti hanno una storia in comune che può essere fatta risalire all’istituzione dell’Accademia Militare di Whampoa a Canton da parte del leader rivoluzionario Sun Yat-sen nel 1911 dove fu costruito l’Esercito Rivoluzionario Nazionale, il braccio militare del Kuomintang. L’Accademia militare di Whampoa fu trasferita nel distretto di Fengshan, città di Kaohsiung, Taiwan dopo il 1949. Fu rifondata come Accademia militare della Repubblica di Cina. L’ironia di questa storia è che in effetti il ??grande premier della Repubblica popolare cinese, Zhou En-Lai, faceva parte dell’Accademia militare di Whampoa, così come altri ufficiali comunisti, insieme a ufficiali nazionalisti cinesi dell’epoca, che desideravano una Cina unita. Quindi anche le contraddizioni all’interno dell’esercito taiwanese potrebbero venire al pettine in un conflitto diretto.

Mao a Pechino e Chang Kai Shek a Taipei avrebbero, secondo Fabio Mini, un’altra cosa in comune. Per entrambi la democrazia sarebbe una mattana occidentale mentre i diritti umani sono soltanto quelli della comunità e non degli individui. Per fare un esempio, un neoconfuciano cinese potrebbe considerare la “democrazia” nient’altro che una stravagante superstizione di certe tribù occidentali, retaggio del loro barbarico passato, un sistema comunque fondato sul privilegio e sulla ricchezza e non sulla meritocrazia. Crediamo che la cosa sia vera solo in parte. In realtà tutti e due si ispirarono al concetto indubbiamente occidentale di democrazia che per altro era già stato introdotto da Sun Yat Sen. Il punto di vista dei comunisti cinesi è ovviamente diverso dato che la “Nuova democrazia” ha un peso nella elaborazione che ne ha fatto Mao Zedong. Si tratta ovviamente di democrazia con caratteristiche cinesi. In particolare, si deve a Mao l’idea che viene ritenuta alla base delle stesse democrazie popolari all’indomani della vittoria sovietica con l’estensione del Campo Socialista. Indubbiamente il concetto dei diritti umani che si ha in Cina, e che i cinesi, attraverso il loro rappresentate P. C. Chang, cercarono di far passare durante l’estensione della carta dell’ONU, si basa di più sui valori collettivi.

Ma proprio a proposito di valori universali, come ricorda l’ambasciatore Bradanini: «Mentre gli eterni valori dell’umanesimo presuppongono la pacifica convivenza tra tutte le nazioni del mondo, sulla base del principio di sovranità e pari dignità, la superpotenza americana mira invece a difendere i propri privilegi con le buone o con le cattive». Agli americani interessano ben poco gli altri dato che loro sono, secondo le parole di Clinton, l’unica nazione indispensabile. Del resto, continua Bradanini, la provocazione della Pelosi ha confermato ciò che Pechino pensa della democrazia americana: «un sistema che celebra ogni giorno l’uomo più potente del globo terracqueo, il vertice unico, il simbolo del potere nazionale e internazionale e il Comandante in Capo delle Forze Armate più forti e armate del mondo e, allo stesso tempo, un sistema che coltiva l’anarchia e il caos proprio in materia di sicurezza nazionale e mondiale».

Rivendicazioni territoriali della ROC

Il nome completo di quella che chiamiamo “Taiwan” è Repubblica di Cina, ossia lo Stato fondato con la Rivoluzione del 1911. Le leggi di Taiwan affermano che la stessa Repubblica di Cina è la vera Cina, quindi, l’intera Cina continentale è territorio di Taiwan. Ecco perché gli Stati Uniti stabilendo relazioni diplomatiche con la Cina continentale, avrebbero dovuto aderire alla politica della Cina unica, non due Cine.

Taipei è la capitale di Taiwan, ma il prefisso della città è 02. Questo perché secondo le leggi di Taiwan, Taipei non è la capitale della Repubblica di Cina. La capitale è Nanchino, una città della Cina continentale che ha lo 01.

Nell’attuale legge taiwanese, la terraferma fa ancora parte del territorio di Taiwan e gli 1,4 miliardi di persone sulla terraferma sono tutti cittadini legali di Taiwan. Un referendum a “suffragio universale” includerebbe legalmente gli 1,4 miliardi di residenti continentali della Repubblica di Cina, e un referendum di poche decine di milioni di persone a Taiwan sarebbe incostituzionale.

Una cosa interessante è dare uno sguardo alle mappe storiche. Si può vedere, infatti, dalle varie mappe dell‘Impero cinese pubblicate in Occidente, come non ci sia nessuna traccia dello Xinjiang, Tibet o Taiwan indipendenti. Altro esperimento interessante è vedere il francobollo commemorativo (luglio 1942) della resistenza cinese contro il Giappone fatto dagli USA con le effigi dei padri della patria Abraham Lincoln e Sun Yat-sen. La stessa cosa vale per i filmati di Why We Fight, in particolare per quello realizzato da Frank Capra (1944) proprio sulla Cina, dove si mostra una mappa che comprende la Repubblica Popolare Mongola, il Tibet, lo Xinjiang, la Manciuria e Taiwan come parte integrante della Cina, con la nota finale che attribuisce la preparazione delle mappe al Dipartimento della Guerra americano. Basterebbe, inoltre, vedere la mappa della Cina sull’attuale stemma della Marina taiwanese per rendersene conto. In tutte queste mappe viene inclusa addirittura la Mongolia indipendente all’interno del territorio cinese. Cosa rivendica o rivendicava (ai tempi del Kuomintang) Taiwan come “Repubblica di Cina” oltre, ovviamente, all’attuale Cina continentale? Certamente Hong Kong e Macao, mentre Tibet e Xinjiang non sono nemmeno in discussione; inoltre, il Tibet del Sud, lo Zangnan, oggi indiano. Già, perché esiste un Tibet indiano, che coincide in parte con l’Arunachal Pradesh, un’area all’incirca grande come Taiwan, che non ha mai avuto un Richard Gere come sponsor per chiederne l’indipendenza alla “democratica” India. Già che ci siamo, Taiwan rivendica come parte del Tibet cinese l’Ha Dongkhang e il Kula Kangri (territori rivendicati anche dalla RPC) che sono parte del Bhutan; l’Aksai Chin, ora cinese, che è rivendicato anche dall’India; parecchi punti di confine con l’India, rivendicati anche dalla RPC. Da notare che due territori dello Xinjiang, ovvero il Shaksgam Tract e l’Aksai Chin, sono rivendicati pure dalla democraticissima nonché pacifica India, mentre “l’intransigente” Cina è addivenuta a un pacifico accordo di frontiera con il Pakistan già nel 1963. Inoltre, la ROC rivendica il territorio russo di Tuva con altre terre russe e territori del Kazakistan, Tajikistan, Kirghizistan, Pakistan, Birmania, Thailandia, Laos, Vietnam e Corea del Nord, Giappone. Taiwan rivendica anche i territori a cui la RPC ha rinunciato con accordi bilaterali che la ROC considera non validi.

Dal Cairo a Potsdam

La Dichiarazione del Cairo da parte di Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 1° dicembre 1943 affermava che l’obiettivo dei tre alleati era la restituzione di tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Cina nord-orientale, Taiwan e le isole Penghu.

La dichiarazione di Potsdam fu firmata da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 26 luglio 1945 e successivamente riconosciuta dall’Unione Sovietica. Con questa dichiarazione si è ribadito il rispetto della Dichiarazione del Cairo. Nel settembre dello stesso anno il Giappone firmò la dichiarazione di resa, in cui prometteva di adempiere agli obblighi previsti dal Proclama di Potsdam. 

Il 25 ottobre del 1945 il governo cinese ha annunciato la ripresa della sovranità su Taiwan e si è tenuta a Taipei la cerimonia di accettazione della resa del Giappone dal teatro di guerra cinese delle potenze alleate. Da quel momento in poi, la Cina ha recuperato Taiwan de jure e de facto attraverso documenti con effetti legali internazionali.

Ciò che fornirebbe una valenza legale alla Dichiarazione del Cairo, non vincolante in se stessa, sarebbe l’atto di resa giapponese, che stabiliva la volontà di Tokyo di dare attuazione alla Dichiarazione di Potsdam, la quale richiamava direttamente il documento del 1943. Tutti i territori cinesi conquistati dal Giappone, ivi comprese la Manciuria, l’isola di Taiwan e le isole Penghu dovevano essere restituiti alla Repubblica di Cina.

A San Francisco, nel 1948, gli americani proposero non solo la restituzione alla Cina di Taiwan e di Senkaku-Diaoyu, strappategli dal Giappone nel 1895 ma anche di Okinawa. Chang Kai-sheck si pentì amaramente di non avere insistito con gli americani su questa rivendicazione. In ogni caso dagli anni Settanta la Repubblica di Cina (Taiwan) ha sempre rivendicato anche le Diaoyu come parte integrante del territorio cinese.

Il primo di ottobre 1949 fu fondata la Repubblica popolare cinese (RPC), che divenne il successore della Repubblica cinese (1912-1949). Il nuovo governo ha sostituito il precedente regime Kuomintang in quanto soggetto di diritto internazionale, ribadendo la sovranità sul territorio della Cina. 

Nella sua 26a sessione nell’ottobre 1971, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 2758, che si impegnava a ripristinare tutti i suoi diritti alla Repubblica popolare cinese e a riconoscere i rappresentanti del suo governo come gli unici legittimi rappresentanti della Cina presso le Nazioni Unite, e di espellere immediatamente i rappresentanti di Chiang Kai-shek dal posto che occupavano illegalmente presso l’ONU e in tutte le organizzazioni ad esse collegate. Questa risoluzione ha risolto una volta per tutte le questioni politiche, legali e procedurali della rappresentanza cinese alle Nazioni Unite e ha riguardato l’intero paese, incluso Taiwan. Ha anche precisato che la Cina ha un solo seggio all’ONU, quindi non esistono “due Cine”.

Una di queste risoluzioni è la 25.1 adottata alla 25a Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 1972. Nei pareri legali ufficiali dell’Ufficio degli Affari Legali del Segretariato delle Nazioni Unite era chiaramente affermato che si considera Taiwan una provincia della Cina senza uno status separato, e che le autorità di Taipei non godono di alcuna forma di status di governo. All’ONU l’isola è chiamata “Taiwan, Provincia della Cina”.

L’articolo 8 della Dichiarazione di Potsdam specifica che le condizioni della Dichiarazione del Cairo saranno attuate e la sovranità del Giappone sarà limitata a Honshu, Hokkaido, Kyushu, Shikoku e altre piccole isole. L’articolo 3 della Dichiarazione congiunta Cina-Giappone firmata tra la Repubblica popolare cinese e il Giappone è «aderire alla posizione di cui all’articolo 8 della dichiarazione di Potsdam». Il comunicato congiunto del governo del Giappone e del governo della Repubblica popolare cinese è stato firmato il 29 settembre 1972 a Pechino. Il comunicato ha stabilito e normalizzato le relazioni diplomatiche tra il Giappone e Cina. La Repubblica di Cina (RPC) ha ottenuto la rottura delle relazioni ufficiali tra il Giappone e la Repubblica di Cina (ROC) di Taiwan. Il documento ha prodotto una dichiarazione congiunta, mostrando compromessi su principi precedentemente enunciati da entrambe le parti. Il Giappone comprende e rispetta la posizione della Cina secondo cui Taiwan fa parte della RPC. Alla fine, il documento poneva fine alle «relazioni anormali tra Giappone e Cina», riconosceva la Repubblica popolare cinese come «unico governo cinese».

Il comunicato congiunto Cina-USA sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche, pubblicato nel dicembre 1978, afferma: «Il governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina».

La legge anti-secessione, adottata alla terza sessione del X Congresso nazionale del Popolo nel marzo 2005, stabilisce che c’è «una sola Cina». 

Dopo il XVIII Congresso Nazionale del PCC nel 2012, i comunisti cinesi, hanno adottato un approccio olistico alle relazioni attraverso lo Stretto.

Sostenendo il principio della Cina unica confermata dal consenso del 1992 tra RPC e ROC, il PCC e il governo cinese hanno facilitato gli scambi tra i partiti politici attraverso lo Stretto e condotto consultazioni sulle relazioni reciproche e sul futuro della nazione cinese con partiti politici, organizzazioni e personaggi di Taiwan. Questi sforzi hanno portato a un consenso su molteplici questioni e promosso una serie d’iniziative congiunte.

La stragrande maggioranza della comunità internazionale ha mostrato il proprio atteggiamento favorevole, manifestando comprensione alle legittime contromisure della Cina nei confronti degli Stati Uniti e delle autorità secessioniste di Taiwan, con oltre 160 paesi che si sono espressi a favore.

Ma gli Stati Uniti e i loro alleati stanno ancora cercando di sfruttare il vantaggio egemonico degli Stati Uniti nel campo del controllo dell’opinione pubblica internazionale, attraverso la dittatura sull’informazione, per distorcere e indebolire il principio della Cina unica.

In questo senso si punta sulla nozione di “status quo” descritta come “indipendenza de facto” e si dovrebbe presumere che questa sarà la nuova linea occidentale e la politica di “una sola Cina” sarà liquidata come propaganda del PCC.

I cinesi non intendono tanto far cambiare idea all’Occidente: al di fuori dell’Occidente Globale ci sono più di due terzi dell’umanità, e tanto basta.

Provocazioni continue USA

La politica estera provocatoria mirante a ottenere una reazione per poi incolpare l’avversario è stata il modus operandi degli Stati Uniti da quando George Washington era presidente. Hanno fatto questo per provocare la guerra con le nazioni indiane, ottenere l’esercito permanente che volevano e lanciare una guerra imperiale contro quelle stesse nazioni indiane per distruggerle.

La politica estera “reattiva” è una strategia sviluppata dagli Stati Uniti soprattutto negli anni del dopoguerra. L’idea è quella di colpire ripetutamente l’avversario per produrre una risposta, e quindi dipingere la risposta come un’escalation che richiede una reazione di compensazione. La superpotenza raffigura se stessa come obbligata a reagire a una “aggressione” improvvisa. Dichiarazioni pubbliche degli alleati americani hanno chiesto che la Cina “riduca l’escalation” e riduca le tensioni. Alla Cina… avete capito?

Il ministro della Difesa canadese, ad esempio, denuncia “l’escalation non necessaria” e le “azioni minacciose” e avverte che la Cina non deve “cambiare unilateralmente lo status quo con la forza”, anche se le navi militari canadesi sono dirette nella regione.

Gli USA non vogliono certo una guerra diretta con la Cina (o la Russia). Vogliono provocare all’infinito la Cina, quindi inviare i loro tirapiedi nella regione dietro alla Cina con armi e supporto. “Taiwan”, Giappone, Australia forse l’India. Quando è stata l’ultima volta che gli Stati Uniti si sono effettivamente impegnati militarmente con una grande potenza? È ovvio che vogliono evitarlo a tutti i costi, perché quando accadrà saranno umiliati. Tutto quello che vogliono fare è fare i prepotenti con i deboli, bombardare matrimoni e uccidere i bambini musulmani che vanno a scuola. 

Ma come ha detto una volta Mike Tyson: «Ognuno ha una propria strategia finché non viene preso a pugni in faccia». Ma alla fine le hanno prese anche da quattro cammellieri in ciabatte e scooterino.

Scrive ancora Bradanini a proposito del viaggio della Pelosi: «Si è trattato di un gesto fabbricato a tavolino dallo Stato profondo e parallelo americano – dove le differenze tra democratici e repubblicani somigliano a quelle tra Coca Cola e Pepsi Cola – allo scopo di trascinare la Cina in un conflitto che possa fermarne l’ascesa, essendo la Repubblica Popolare la sola nazione che, ancor più della Russia, possiede le caratteristiche per sfidare il mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti».

Secondo Gabriele Battaglia, un giornalista a lungo residente in Cina, le provocazioni americane hanno «le stesse caratteristiche di quelle esercitate a lungo nei confronti della Russia, tutto lo schema appare simile, pur in circostanze diverse, il che fa pensare sia a una strategia disegnata a tavolino, sia (e forse è ancora più inquietante) a un “dover essere” statunitense, a una convinzione religiosa, del tutto cieca e sorda di fronte alla complessità del mondo. Non c’è solo supponenza razzista (l’eccezionalismo)». 

Risposta della Cina

La Pelosi ha scavalcato quella che i cinesi ritengono la linea rossa cinese non oltrepassabile. Il ministero degli Esteri cinese ha annunciato una serie di contromisure in risposta al viaggio della Pelosi.

Sono stati annullati i colloqui tra i comandanti di teatro tra Cina e Stati Uniti; colloqui di coordinamento della politica di difesa tra Cina e Stati Uniti (DPCT); le riunioni dell’accordo consultivo marittimo militare Cina-USA (MMCA); la cooperazione Cina-USA sul rimpatrio degli immigrati clandestini; cooperazione Cina-USA sull’assistenza legale in materia penale; la cooperazione Cina-USA contro i crimini transnazionali; la cooperazione Cina-USA contro il narcotraffico.

Inoltre, sono stati sospesi i colloqui Cina-USA sul cambiamento climatico. Per quest’ultimo punto, per quale ragione Pechino, che ha ottenuto notevolissimi risultati in questo campo, si dovrebbe impegnare a essere presa per i fondelli con questioni moraleggianti da chi si appresta a ritornare al carbone, come i leader occidentali? Questo mentre gli americani puntano a vendere gas da rigasificare che pone numerosi problemi ambientali. 

La Cina ha risposto organizzando anche esercitazioni a fuoco vivo in tutta l’isola per la prima volta nella storia delle relazioni attraverso lo Stretto.

Durante la precedente crisi Taiwan-Pechino del 1996, Taiwan, in periodo pre-elettorale, scrive Fabio Mini: «fece esercitazioni a fuoco sull’isoletta di Qinmen, allora sua roccaforte militarizzata, sparando sulla terraferma cinese distante una decina di chilometri. Colpi di contraerea ammazzarono un paio di cinesi alla periferia di Xiamen. Pechino rispose con delle esercitazioni nelle proprie acque territoriali che, per la prima volta, non prevedevano l’assalto alle coste di Taiwan con le truppe da sbarco e le artiglierie, ma si affidavano ai missili. La Cina ne aveva qualche decina e disponeva di 4, di numero, missili intercontinentali schierati al confine con la Russia. Due portaerei statunitensi si spostarono nello stretto per segnalare a Taipei il supporto concreto degli Stati Uniti, fu una provocazione per la Cina, ma non fu una rassicurazione sufficiente per Taiwan».

Con la sua risposta militare, continua Mini: «la Cina ha colto l’occasione per far capire qual è il costo: per Taiwan e l’America stessa. È una minaccia o un avvertimento? Per la Cina è una questione pedagogica: Taiwan e l’America vanno aggiornate sullo stato della Cina, sulla sua determinazione e sulle sue capacità civili e militari in campo internazionale». 

Quindi Pechino ha mostrato, didatticamente, come è cambiata dai tempi di Mao: assaggi di misure economiche ai danni di Taipei (e potenzialmente anche al resto del mondo) e saggi militari diretti agli americani.

La Cina non è cambiata solo sotto l’aspetto militare, ma il tenore di vita è assai migliorato, la lotta contro la povertà vinta; la consapevolezza della propria forza e delle prospettive del futuro danno forza a un patriottismo non mai sopito.

Il patriottismo cinese rinverdito dopo la rivoluzione del 1911 si unisce alla consapevolezza di essere una civiltà, forse l’unica davvero diversa da quella occidentale. Il patriottismo cinese non è gretto nazionalismo, né suprematismo come quello americano e in generale occidentale. Scrive Battaglia: «La propaganda può fare grandi cose: inserire nel discorso patriottico anche la sostanziale moderazione nella risposta alla provocazione, dicendo che rivela una superiorità politica, intellettuale, di civilizzazione, rispetto ai barbari (in Cina, il calcolo e l’autolimitazione sono un valore mentre “spontaneità” e “impulsività” sono un disvalore, a differenza che da noi)». 

Miglioramento nella flotta e nelle armi

L’esercito cinese non è più la forza armata alla leggera non professionale che alcuni pensano ancora che sia. Per avere un’idea dei progressi cinesi basta guardare a quante navi la Cina costruisce e commissiona annualmente rispetto agli americani, insieme agli aerei e ai missili anti nave e di difesa aerea. 

Durante le recenti esercitazioni a fuoco vivo svolte dall’Esercito popolare di liberazione (EPL), sono stati schierati diversi tipi di armamento all’avanguardia, come il missile balistico ipersonico DF-17 e l’aereo di rifornimento in volo YY-20.

Queste nuove armi hanno ampiamente migliorato l’abilità di combattimento dell’EPL e lo hanno reso uno degli eserciti meglio equipaggiati al mondo.

Il rapporto al XIX Congresso Nazionale del PCC alla fine del 2017 ha fissato l’obiettivo di realizzare la modernizzazione della difesa nazionale e delle forze armate sostanzialmente entro il 2035 e di trasformare completamente le forze armate in forze di livello mondiale entro la metà del secolo.

Il primo aereo da combattimento invisibile della Cina, il J-20 è stato progettato e prodotto da Aviation Industry Corp of China ed è generalmente considerato come uno dei migliori jet da combattimento costruiti attualmente.

Oltre al J-20, l’aviazione militare cinese vanta anche una capacità di trasporto strategico di livello mondiale con l’Y-20.

Al suo completamento, la gigantesca nave CNS Fujian, ora in costruzione, sposterà più di 80.000 tonnellate d’acqua. Utilizzerà un sistema di lancio elettromagnetico, o catapulta elettromagnetica, per lanciare velivoli ad ala fissa.

Gli osservatori dell’industria della difesa hanno affermato che la Fujian è la nave da guerra più grande e potente che una nazione asiatica abbia mai costruito ed è anche una delle più grandi navi da guerra del mondo di tutti i tempi.

Attualmente, la marina militare cinese gestisce due vettori: il CNS Liaoning e il CNS Shandong. Entrambi hanno una cilindrata standard di circa 50.000 tonnellate e un sistema di propulsione convenzionale e utilizzano una modalità particolare per il lancio di velivoli ad ala fissa.

Inoltre, la Marina dell’EPL ha commissionato almeno sei cacciatorpediniere con missili guidati di classe 055.

La Type 055 è la generazione di cacciatorpediniere più recente e più capace del paese.

Shao Dan, ricercatore presso l’Accademia di scienze militari dell’EPL, ha affermato che sebbene la Cina si attenga sempre a una politica di natura difensiva, è necessario che l’esercito cinese disponga di armi e attrezzature di livello mondiale poiché deve essere in grado di scoraggiare gli avversari della Cina e garantire che la nazione non sarà mai più vittima di bullismo. Dal lato della quantità di navi di qualità i cinesi sono ancora indietro rispetto agli americani, ma la qualità ormai è simile.

Oggi, le portaerei comunque sono macchine da guerra obsolete da contrapporre alle principali forze armate come Russia, Cina, India. Andavano bene in passato per spaventare i piccoli caudillos sudamericani. La politica delle cannoniere non è più riproponibile.

Attesa o impulsività

La Cina è molto più saggia e paziente di quanto Washington si aspettasse a causa della fiducia della Cina nella sua forza. Gli Stati Uniti sanno solo usare le tattiche da Far West, mentre la pazienza, la strategia di lungo respiro e forme sofisticate di diplomazia non sono nelle loro corde. Coloro che immaginavano l’abbattimento dell’aereo della Pelosi sono rimasti alquanto delusi. Hanno visto troppi film hollywoodiani tipo Top Gun. I cinesi non faranno mai una scelta simile e sanno fare buon uso del tempo. Come scrive Bradanini: «È sperabile che la dirigenza cinese non si lasci trascinare in una trappola che – al netto di morti e distruzioni solo in parte immaginabili – farebbe gli interessi delle oligarchie corporative della City di Londra e di Wall Street, del complesso militare-industriale e dello Stato profondo americano, non certo della Cina». La leadership degli Stati Uniti invece è guerrafondaia con l’acutezza mentale dei bulli del cortile della scuola.

Quando verrà il momento a Taipei sarà instaurato un governo amico che eviterà quello che è stato il costante risultato di tutte le campagne militari americane ossia il kaos come è stato in Afghanistan, Libia, Siria e Ucraina e come si è visto in questi giorni in Iraq.

Manovre cinesi

L’EPL ha intrapreso esercitazioni militari senza precedenti per acquisire maggiore esperienza. Secondo l’agenzia di stampa Xinhua, l’esercito cinese ha inviato più di 100 aerei militari e più di 10 fregate e cacciatorpediniere nell’esercitazione, tra cui il caccia stealth J-20 e il cacciatorpediniere Type 055, che sono armi all’avanguardia dell’aeronautica cinese e della marina, rispettivamente. Alcuni mezzi militari hanno attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, una zona cuscinetto non ufficiale normalmente evitata sia dagli aerei e navi militari taiwanesi che dai mezzi militari cinesi.

Il Ministero della Difesa cinese ha aggiunto che l’esercito cinese stava «simulando un attacco all’isola di Taiwan».

La linea mediana dello Stretto di Taiwan è stata tracciata nel 1955 dal generale dell’aviazione statunitense Benjamin Davis. Non ha più alcun significato.

Le navi civili hanno evitano le zone che la Cina aveva designato come aree bersaglio.

Secondo l’agenzia di stampa taiwanese CNA ora si capisce come sarebbe un vero conflitto con la Cina:

Gli esperti hanno sottolineato che le esercitazioni militari su larga scala, senza precedenti, della Cina intorno a Taiwan ora danno un’idea di come l’esercito cinese bloccherà l’isola di Taiwan, se ci sarà una guerra in futuro.

Dopo che la Pelosi ha lasciato Taiwan, l’EPL ha emesso un altro avviso sulla navigazione informando che munizioni vere saranno usate nel Mar Giallo per dieci giorni consecutivi.

Le esercitazioni tutto intorno a Taiwan costituiranno un precedente. Quindi i cinesi le faranno in seguito quando gli pare, magari tutti gli anni, per ribadire chi comanda. La TV di Stato cinese ha informato che l’EPL ora condurrà esercitazioni regolari a est della linea mediana nello Stretto di Taiwan. Più aumenterà il peso della Cina più saranno importanti, ciascuno più grande del precedente. Basta confrontare 1995/96 con 2022. I media cinesi spiegano i motivi per cui la RPC ha scelto aree specifiche intorno a Taiwan per esercitazioni militari:

  • nord-ovest: sfondare la cosiddetta “linea di confine” nello Stretto di Taiwan;
  • lato est: prendere di mira le basi militari di Hualien e Taitung e formare una posizione di attacco frontale;
  • parte meridionale: garantire un controllo efficace dell’ingresso e dell’uscita dallo stretto di Bashi;
  • sud-ovest: circondare e controllare le basi militari a Kaohsiung e consentire a sei zone di esercitazione di bloccare l’isola di Taiwan. 
  • Due zone nella parte nordorientale non lontano dalle isole giapponesi rivendicate dalla Cina.

Un’altra cosa senza precedenti è che la posizione dell’esercitazione dell’esercito cinese include il mare e lo spazio aereo a est di Taiwan. Questa è un’area di importanza strategica per le truppe taiwanesi per ricevere rifornimenti e per eventuali rinforzi statunitensi.

Questa azione di accerchiamento ha lo scopo d’impedire a qualsiasi nave e aereo commerciale e militare di entrare o uscire da Taiwan, nonché d’impedire l’avanzata su Taiwan da parte delle truppe statunitensi di stanza nella regione. La Cina ha la capacità di bloccare completamente Taiwan. Poiché l’intera area è anche coperta dai missili balistici terrestri cinesi e alla portata della sua forza aerea, è facile stabilire un blocco che sarebbe difficile da violare.

Oltre al tremore muscolare, le esercitazioni hanno causato problemi al traffico aereo e marittimo a Taiwan. Se saranno sistemici dipenderà da quanto tempo la Cina manterrà un alto grado di attività militare intorno all’isola, che, a causa delle difficoltà create per i collegamenti di trasporto, causa danni economici a Taiwan. 

Come nel 1996, i lanci di missili balistici, così come le manovre navali e le azioni per esercitarsi in un’operazione di atterraggio, sono finora l’argomento principale. I NOTAM (Notice to airmen) ovvero le condizioni di pericolo per la navigazione aerea delle aree di esercitazioni sono stati notificati. La RPC ha dimostrato di poter circondare l’isola da tutti i lati, prefigurano la preparazione di un blocco se non peggio. Le infografiche che sono circolate sui social media cinesi che mostrano lo spiegamento dell’aviazione e della marina proprio al largo delle coste dell’isola sono chiaramente volte a creare proprio un tale effetto.

In effetti, le piazze più vicine a sud-ovest e nord-est di Taiwan sono zone di arrivo dei missili, mentre è probabile che aerei e navi di superficie mantengano una certa distanza. Quest’ultimo è chiaramente visibile nell’esempio della precedente crisi del 1995-1996, quando l’angolo di una delle “piazze degli arrivi” toccava nettamente il confine della zona delle 12 miglia. Oggi, la piazza corrispondente si è spostata con aria di sfida nelle acque territoriali, toccando il confine delle acque interne di Taiwan. Per Stati veramente indipendenti la sovranità sulle acque interne equivale alla sovranità sulla terra. Per la maggior parte della comunità internazionale, non ci sono acque sovrane vicino all’isola di Taiwan, perché la Cina è una e indivisibile. Tuttavia, la leadership politico-militare della Repubblica popolare cinese ha compiuto un gesto corrispondente, con la massima cautela.

In un solo giorno si sono visti almeno 11 lanci di missili balistici a corto e medio raggio con complessi DF-11 e DF-15. Dopo la produzione in serie negli anni 1990-2000, l’arsenale di questi missili può avvicinarsi a 1,5 mila unità. Per fare un confronto, durante i due anni della precedente crisi, la Cina ha lanciato solo 6 missili della stessa classe.

Nel prossimo futuro, ci si può aspettare anche il lancio di missili balistici più avanzati: il famigerato “killer di portaerei” DF-21D e la sua sorella più anziana a raggio intermedio DF-26. Circolano anche voci sulla dimostrazione del DF-17 con un nuovo aliante ipersonico.

John Blaxland, professore di sicurezza internazionale presso l’Australian National University, ha detto ai giornalisti che ciò che la Cina aveva mostrato finora era un “grande esercito”. L’esercito cinese: «Non può essere liquidato come una sorta di esercito meno esperto e poco potente, è chiaramente in grado di coordinare le operazioni terrestri e marittime e di utilizzare sistemi missilistici molto efficaci», ha affermato.

Braxland ha affermato che le esercitazioni dell’esercito cinese hanno mostrato a Taiwan, agli Stati Uniti e al Giappone che la Cina «ha le condizioni per portare a termine le azioni che hanno minacciato d’intraprendere».

Si può tranquillamente affermare che Pechino sta attuando un piano operativo per impadronirsi di Taiwan. Inoltre, il governo cinese rileva che le cosiddette “acque territoriali di Taiwan” non esistono.

Attraverso l’esercitazione, l’EPL può testare e rafforzare le capacità di combattimento coordinate delle truppe partecipanti di vari servizi e armi, comprese le truppe di terra, mare, aria e missili, nonché le capacità del supporto strategico responsabili della guerra informatica.

La Cina sta facendo buon uso dell’occasione offerta dalla Pelosi per aumentare la sua attività militare intorno all’isola e ripensare molti degli approcci a questa attività che sono esistiti negli anni e nei decenni precedenti.

Il ministero della Difesa giapponese afferma che la Cina ha lanciato vari missili balistici su Taiwan, che hanno sorvolato l’isola e sono caduti nell’oceano. In precedenza, il Giappone ha riferito che durante il lancio di razzi, cinque razzi cinesi sono caduti nella zona economica del Giappone. La zona economica è una estensione delle acque territoriali. Ad esempio, gli USA non permettono il passaggio di navi militari avversarie nella zona economica di competenza, mentre le violano in continuazione quando si tratta degli avversari. 

La Cina farà pressioni su Taiwan con maggiore intensità, ma eviterà la guerra con l’America se possibile. La guerra è obsoleta, costa molto di più di quanto vale. L’ascesa della Cina dipende dalla pace, dal commercio, dagli affari. Washington sii aggrappa disperatamente alle soluzioni militari perché è l’unico strumento che hanno sempre usato contro avversari che è sicuro di poter sconfiggere. 

Accerchiamento o attacco

Il problema più grande con un’ipotetica invasione cinese di Taiwan è il prezzo che Pechino dovrebbe pagare per un simile assalto. Un’operazione di sbarco in stile Normandia non funzionerebbe a Taiwan, per una serie di motivi. In primo luogo, le potenziali zone di sbarco sulle coste sudoccidentali e settentrionali/nordorientali di Taiwan sono state identificate da entrambe le parti decenni fa; al di fuori di queste aree, mettere le truppe a terra è possibile solo utilizzando gli elicotteri: è difficile, se non addirittura impossibile, per le truppe navali avanzare dalle spiagge di quelle aree. La Cina ha solo due navi d’assalto anfibie e un assalto in elicottero attraverso lo Stretto di Taiwan sarebbe troppo anche per la Cina.

Taiwan è molto difendibile: invadere sarebbe piuttosto dura. I giapponesi la fortificarono pesantemente durante la Seconda guerra mondiale e da allora questo sistema difensivo è stato esteso. L’esercito americano, al culmine della sua guerra anfibia, aveva pianificato l’invasione nel 1945 e l’ha annullato perché si stimava che le vittime fossero altissime.

Ci sono solo circa 14 spiagge sul lato ovest adatte allo sbarco: sono pesantemente fortificate. Una volta a terra, la forza d’invasione sarebbe stata coinvolta nel peggior tipo di combattimento urbano, su terreno ostile. Attacchi con artiglieria e missili potrebbero essere lanciati dai bunker di montagna contro gli attaccanti.

Se la Cina è pronta a scommettere per diventare un nuovo polo del mondo multipolare, non sarà una battaglia principalmente militare. La Cina non vuole che gli Stati Uniti trasformino Taiwan in un coltello alla gola, usandola essenzialmente come una “portaerei contro la terraferma”. In passato, il generale Douglas Mac Arthur aveva definito proprio Taiwan “portaerei inaffondabile”.

La fazione pro-indipendenza al governo di Taiwan non sarebbe così sciocca da dichiarare l’indipendenza senza il sostegno degli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti mostreranno supporto, molto probabilmente la Cina colpirà prima le navi militari statunitensi e le metterà fuori combattimento. 

Senza la presenza militare americana, la fazione pro-indipendenza diventerà irrilevante e potranno iniziare i negoziati tra Taiwan e la terraferma per una riunificazione pacifica. Non c’è bisogno che la Cina invada. Un blocco aereo e marittimo sarà più che sufficiente.

Secondo Pierluigi Fagan. «…la reazione cinese, al di là dei fuochi artificiali antica tradizione bellico-spettacolare dell’area, ha mostrato come facilmente Taipei potrebbe esser oggetto di blocco navale. Un blocco navale porrebbe un bel problema agli Stati Uniti. Taiwan non è uno stato riconosciuto all’ONU e dalla comunità internazionale, se la Cina facesse un domani un blocco navale serio, qualora gli americani andassero a forzarlo, si macchierebbero formalmente di aggressione. Blocco navale più blocco economico soffocherebbe Taiwan in tempi ragionevoli. Ma già dai blocchi di esportazioni fatti dai cinesi (ad esempio la sabbia che giornalisti della nostra grande stampa segnalavano essenziale per le costruzioni non sapendo che è anche silicio, anche se non molto puro) in punizione all’incontro delittuoso, si mostra come il fine cinese sia mettere il potere economico taiwanese (che è quello che domina l’isola) contro il potere politico che è tutt’altro che monolitico».

Circa il 40% della sua elettricità di Taiwan è generata da gas naturale che deve importare. Un’altra grande parte è prodotta con carbone importato. Lo stesso vale per i prodotti petroliferi. Prima che Pelosi sbarcasse a Taipei, le riserve di gas dell’isola erano sufficienti per soli 11 giorni. Il carbone e il petrolio sono più facili da immagazzinare, ma si esaurirebbero comunque prima che un blocco possa essere revocato.

Poi c’è il cibo: nel 2018, il tasso di autosufficienza alimentare di Taiwan era solo del 35%. In quanto nazione insulare, l’approvvigionamento alimentare dipende dal commercio internazionale ed è in pericolo in caso di blocco.

Un blocco totale di Taiwan probabilmente la metterebbe in ginocchio nel giro di poche settimane o mesi. Tempo che potrebbe essere utilizzato per sconfiggere la sua forza aerea, le sue difese aeree e i suoi missili e prevenire gli attacchi di Taiwan alle risorse continentali della Cina. La Cina non deve invadere l’isola. Deve solo aspettare fino a quando non viene invitata a entrare.

Gli americani potrebbero reagire impedendo alle navi cinesi di passare attraverso lo Stretto di Malacca e altri colli di bottiglia marittimi. Il secondo grande gasdotto che la Russia sta attualmente costruendo verso la Cina è una delle contromosse a questa minaccia.

In caso di blocco e controblocco la domanda diventa chi potrebbe resistere più a lungo. Qui la Cina ha il vantaggio di maggiori riserve. Gli Stati Uniti avrebbero solo pochi alleati in un simile conflitto.

La flotta sottomarina statunitense tecnologicamente superiore potrebbe sconfiggere la marina cinese nel Mar Cinese Meridionale. Ma è improbabile che sia ancora così e comunque la cosa è del tutto irrilevante. I sottomarini non possono impedire i blocchi imposti dai missili terrestri e da un’aviazione che vola sotto la copertura protettiva della difesa aerea della Cina continentale.

Allo stesso tempo, la Cina aumenterà enormemente il discorso sulla riunificazione necessaria per il ringiovanimento cinese, sul fatto che agli anglofoni non interessano i veri interessi dei cinesi o di Taiwan e si preoccupano solo il proprio interesse egoistico, che è il dominio globale. 

Comunque, non è necessario pensare che gli Stati Uniti vogliano “aiutare” Taiwan. Aiutare gli altri non è in linea con il modo in cui gli Stati Uniti hanno agito nell’ultimo secolo e mezzo. Gli Stati Uniti potrebbero incoraggiare Taipei a provocare una guerra con la terraferma, ma Taiwan potrebbe anche trovarsi combattere l’EPL da sola.

* Saggista, esperto di questioni internazionali e geopolitiche, studioso di questioni cinesi, collaboratore di “Cumpanis”

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-taiwan_non__pi_la_portaerei_inaffondabile_degli_americani/47041_47225/

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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