Guido Hauser

La sinistra, quella reale e sognatrice, è troppo buona, troppo ingenuamente altruista per ammettere un autentico crimine psichico come l’egoismo. Occorre un nuovo manifesto realista.

Manifesto per una sinistra realistica

Si dice che la sinistra perderà – e perderà quasi certamente – le prossime elezioni per eccesso di frammentazione.

Una sua vecchia tara a cui possiamo dare anche il nome di egoismo: ogni partito, partitino, corrente e giù giù fino al singolo militante è incapace di mediare sulle proprie aspirazioni politiche, in un rapporto dialettico con forze diverse ma complementari. Come se ogni mediazione fosse sinonimo di impurità.

A me pare che questo atteggiamento, incontestabile, inquadri solo parte del problema, forse nemmeno ciò che più incide nella perdita di consenso.

Esiste infatti anche l’altra proverbiale faccia della medaglia, che simmetricamente possiamo far coincidere con l’altruismo. Intendo: e se la sinistra non fosse invece troppo altruista, e cioè ipotecata dal fantasma dell’altro a scapito della polpa di sé?

Mi riferisco alle politiche (spesso condivisibili e virtuose) a favore di minoranze neglette; gli extracomunitari, la diversità di genere, il movimento LGBTQIA+ ecc. Ma fatta salva la bontà delle intenzioni, quanti sono gli extracomunitari che votano (nessuno, se non contiamo quelli successivamente integrati e con cittadinanza italiana), oppure i transgender, gli indiani cicorioni per i cui diritti si batteva un giovanissimo Nanni Moretti, o ancora chi sia interessato a vedere il suffisso di genere convertito nell’indifferenziato della\o schwa?

Esattamente non so, ma immagino pochi, molto pochi. Ho letto nei giorni scorsi numerosi commenti ironici su Walter Siti. Riguardavano un suo articolo su Domani in cui lamentava la scarsa attenzione del PD nei confronti degli “operai e delle campagne”, ad essi sostituendo la prospettiva, compassionevole, della classe media acculturata, che assume da oltreoceano i sensi di colpa per il colonialismo dei secoli scorsi.

Una disposizione che quando vuole essere schernita prende la sigla (inflazionata) di radical chic, altre volte di Veltronismo o di Jovanottismo: “credo in una grande chiesa che va da Che Guevara a Maria Teresa”, ma senza un metalmeccanico che sia uno.

Come se operai e contadini, a giudicare dalla reazioni al testo di Siti, rappresentassero variabili politiche eccentriche, anacronistiche. Di certo sono comparti professionali fortemente ridimensionati negli ultimi decenni, quale effetto delle esternalizzazioni, della New Economy, il terziario avanzato e la precarizzazione del lavoro. Ma è un fatto che contadini e operai ancora esistono, e votano al pari dei transgender.

Vanno aggiunti al presepe postmoderno i disoccupati, gli esodati, i corrieri espressi, i lavoratori a cottimo e, più in generale, i mal pagati e i drop out. Se volessimo sintetizzare questa molteplicità poliforme potremmo anche chiamarla senza troppe forzature poveri, che ora si dice votino a destra. In ciò è contenuta una mezza verità, a coprire ciò che a sinistra ancora rappresenta un tabù: la specie a cui apparteniamo è intimamente egoista, e quando stai andando a fondo pensi come prima cosa ad afferrare un salvagente; poi, eventualmente, a salvare gli altri.

I partiti storici della Sinistra, a cominciare dal Partito Socialista e da quello Comunista che si rese indipendente nella scissione di Livorno del 1921, con strategie ed esisti diversi non hanno mai rimosso tale dato antropologico, perseguendo il proprio interesse particolare (la famigerata dittatura del proletariato) prima ancora di quello del Paese; concetto forse troppo astratto per smuovere voti e passioni.

Nel Paese reale ci stavano infatti anche nobili, proprietari terrieri, capitani di industria e banchieri. Il Paese erano insomma due paesi, e il mondo due mondi. Se una differenza possiamo riscontrare con il passato è che quei due mondi sono nel frattempo divenuti multimondi, ma sempre disposti sulla scala gerarchica del privilegio. Che rende più che mai attuale la nozione politico spaziale di Sinistra.

Così distinguere il grano dal loglio a proprio vantaggio – e utilizzo di nuovo un termine politicamente scabroso – appariva allora la scelta politica più spontanea, a scapito talvolta della giustizia. Un altro concetto astratto quando fatichi a mettere assieme il pranzo con la cena. Roba da filosofi, o da nuova sinistra dei diritti.

Se volessimo giocare al gioco delle sedie, è come se la Sinistra cercasse ora di occupare il posto lasciato semivacante dal liberalismo radicale; quello che diede vita al Partito Radicale Italiano, non a caso. Che non era di sinistra.

Eppure non è vero che la destra, anch’essa giocando lo stesso gioco e scivolando sulle faglie dischiuse dalla storia, abbia occupato la sedia della Sinistra sociocomunista, prendendo a cuore la moltitudine degli svantaggiati; meglio chiamarli così, già che anche le classi sociali sono diventate fluide e sfuggenti. Pensiamo alla flat tax, a chi giova?

Non certo agli operai e ai contadini di cui Siti ci ricorda l’esistenza. Ma perché allora la Sinistra non si congeda dal suo atteggiamento fintamente super partes e lo afferma senza falsi pudori: se sei ricco non votare per noi, la destra fa piuttosto al caso tuo.

I servizi pubblici saranno probabilmente migliori, ma ti costeranno qualche soldo in più, ebbene sì, un po’ dei risparmi che hai accantonato per le dodici future generazioni di rampolli biondi e bellissimi che frequentano scuole steineriane.

Ma se invece vieni messo a margine dalla ristrutturazione finanziaria, amico mio, noi siamo egoisti quanto te, non vogliamo annegare! Uniamo allora le forze e infiliamo un bell’ombrello nel sedere a chi cerca di infilarlo a noi, come avviene nelle vignette di Altan.

Purtroppo non è quanto avviene nella campagna elettorale in corso. La Sinistra, questa Sinistra è troppo buona, troppo ingenuamente altruista per ammettere un autentico crimine psichico come l’egoismo.

Lacan diceva che il vizio costitutivo della Sinistra è la bêtise, ossia la stupidità, e quello della destra è l’egoismo. Per vincere la Sinistra non ha bisogno di diventare intelligente, già che l’intelligenza, come il coraggio, uno non può darsela da sola. Ma egoista sì, egoista almeno quanto la Destra.

E alla fine i poveri sono sempre stati e sempre saranno in numero superiore ai ricchi, per loro la democrazia dovrebbe essere una cuccagna.

Eppure non è così. Come ogni altra cosa, nel presente anche la politica ha finito con l’essere attraversata da correnti finzionali, e al proprio immediato tornaconto si sovrappongono ombre cinematografiche, rappresentazioni a forte carica affettiva e desiderante.

Si tratta di una forma di perversione più sottile della demagogia del siamo tutti buoni volemose bene, che secondo le categorie psicanalitiche potremmo chiamare identificazione proiettiva.

Da qui il paradosso politico, non solo italiano, per cui un poveraccio (ed esistono ancora anche i poveracci, oltre a operai e contadini) smette di riconoscersi in quei partiti politici che ne favoriscono gli interessi concreti, e piuttosto si disincarna per ricostituirsi entro i confini di un’immagine virtuale di sé.

Lo schema para-logico è il seguente: provvisoriamente mi trovo in una situazione di merda, ok, ma se vinco al gratta e vinci – e prima o poi vincerò! – verrò ammesso al privè del Billionaire. Se quello è mio vero io, di conseguenza voterò per i partiti che fanno gli interessi del mio futuro ipotetico, non del mio presente reale (e marginale).

Il compito di una Sinistra che si proponga come rappresentativa prima ancora che vincente – o meglio: vincente perché rappresentativa dei molti sui pochi – diviene così particolarmente arduo, sdoppiandosi in un processo ugualmente necessario di svelamento: liberarsi dall’abito della finta bontà, in cui viene occultato il proprio interesse troppo umano per essere ammesso in un sequel di Bambi, oltre che dalla menzogna che perverte la realtà in sogno, per consegnare all’incubo il risveglio. Se fossi lo spin doctor il mio slogan sarebbe: stay awake, e stay nu poco strunzo pure.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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