“È l’economia, stupido”. Questo slogan divenuto famoso fu coniato da James Carville, stratega di Bill Clinton nell’elezione presidenziale del 1992, reiterando che gli americani votano con la pancia. Nel 2014, però, Carville scrisse un editoriale in cui lamentava l’incapacità dei strateghi democratici di non “capire perché i poveri votano contro i loro interessi” e perché gli Stati meno abbienti avevano votato per Mitt Romney, il candidato presidenziale repubblicano nel 2012.

Anche nelle vicinissime elezioni di midterm di quest’anno l’economia è di somma importanza, secondo un sondaggio del New York Times. Il 49 percento degli americani piazza la situazione finanziaria che include il lavoro, le tasse, e l’inflazione al primo posto. Le questioni sociali come l’aborto, il possesso armi, e la democrazia sono viste di primaria importanza dal 31%. Un’altra nube per i democratici emerge dal fatto che gli elettori sono in maggioranza d’accordo con la visione dei repubblicani sull’economia (52% vs. 38%).

Storicamente i democratici sono stati e continuano ad essere visti con occhi poco benevoli sulle questioni economiche credendo che i repubblicani siano più efficaci. I dati storici però ci dicono che con i democratici al potere l’economia va molto meglio. Anche misurando la forza dell’economia con i valori in borsa i repubblicani sono poco produttivi. I risultati di indici in borsa durante presidenti democratici rivelano aumenti del 133% comparati a una media del 33% per presidenti repubblicani.

Con Biden alla Casa Bianca si continua a confermare l’efficacia dei democratici con l’economia. La disoccupazione è al di sotto del 4% e milioni di posti di lavoro sono stati creati in due anni di mandato. Inoltre il numero di famiglie in povertà è stato dimezzato dalle leggi approvate dall’attuale inquilino alla Casa Bianca. L’inflazione che si aggira sull’8%, cifra alta per l’America ma bassissima in comparazione ad altri Paesi, preoccupa, anche se la Federal Reserve ha preso delle misure per ridurla aumentando i tassi di interesse.

Le elezioni non si vincono però con le cifre poiché altri fattori spingono i cittadini nelle loro scelte alle urne. Le questioni sociali ed emotive con frequenza si scontrano con i fatti obiettivi. Solo in questo modo si può spiegare che negli Stati più poveri con economie disastrose i repubblicani continuano ad avere successi elettorali. La gente non vota pensando al loro portafoglio, facendosi condizionare dai valori urlati dai candidati politici. Nel campo repubblicano questi includono la famiglia, l’ordine sociale, la responsabilità personale, la fede nel capitalismo e soprattutto i sospetti che i servizi del governo vanno sempre ridotti. Come diceva Ronald Reagan, il governo è il problema e non la soluzione. I democratici invece focalizzano i programmi governativi, una politica fiscale progressiva, servizi per tutti, e assistenza ai poveri e la classe media.

Questi valori tradizionali dei due partiti saranno importanti nelle elezioni di midterm di questo novembre ma la questione del diritto all’aborto li sta surclassando. La decisione della Corte Suprema di eliminare il diritto all’aborto al livello nazionale e conferire la decisione agli Stati, molti dei quali hanno già imposto severi limiti ed altri sono in corso di farlo, ha svegliato gli elettori. Per i democratici si tratta di una “vittoria” dal punto di vista elettorale perché hanno sempre detto che la meta dei loro avversari politici era di eliminare il diritto all’aborto. La Corte Suprema gli ha dato ragione.

Dopo il referendum nel Kansas, Stato conservatore, che con un referendum ha mantenuto il diritto costituzionale attraendo un forte flusso alle urne, i democratici si sono incoraggiati che potrebbe divenire una pedina politica importante in altri Stati. Non pochi candidati repubblicani alle prossime elezioni hanno infatti cominciato a moderare la loro posizione estremista sull’aborto. Il senatore Lindsey Graham, repubblicano del South Carolina, però ha annunciato che il suo partito vuole introdurre un disegno di legge che eliminerebbe il diritto all’aborto al livello nazionale. Un “regalo” per i democratici che continuano a reiterare la posizione estremista dei loro avversari sull’aborto.

In poco più di un mese sapremo chi avrà ragione. Si presenteranno le donne in massa a votare per i loro diritti e rifiutare l’agenda maschilista del Partito Repubblicano? I sondaggi continuano a suggerire che la vittoria repubblicana a novembre, scontata alcuni mesi fa, sta divenendo difficile specialmente al Senato, come ha dimostrato Mitch McConnell, senatore del Kentucky e leader della minoranza repubblicana alla Camera Alta. Nella Camera dei Rappresentanti però le previsioni sono favorevoli ai repubblicani nonostante il migliorato indice di gradimento di Biden, salito dal 39 al 46 percento. Da aggiungere anche i guai dell’ex presidente Donald Trump coinvolto in ben otto casi giudiziari, alcuni civili ma altri potenzialmente criminali. Questi problemi legali di Trump continuano a intimorire gli elettori indipendenti, spesso decisivi come ago della bilancia, a causa di un possibile ritorno repubblicano al potere.

Di Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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