Avere smesso di indagare il nesso tra depressione e capitalismo, il suo inconscio post industriale e finanziario equivale non solo a fare cattiva psicologia, ma cattiva politica.
Depressione e capitalismo
“No era depresión era capitalismo“. La scritta compare, tracciata con la vernice nera soffiata da una bomboletta, su alcune facciate a Santiago del Cile, durante le contestazioni del 2019.
Ci ripenso in occasione delle imminenti elezioni, in cui un argomento ripetuto dalla destra è che la cultura, da decenni, è ipotecata a sinistra. Non mi piace l’espressione ‘ipotecare’ – presuppone un calcolo notarile, che non vedo – ma è un fatto che registi, scrittori, artisti, attori, filosofi siano in buona parte di sinistra.
Evidentemente, lavorare con parole e immagini conduce verso una coscienza politica sbilanciata verso un lato, che è anche il mio. Ma mi chiedo: questa diversa coscienza a cosa conduce?
Sui giornali e nelle trasmissioni televisive, semplifico, di sinistra, da qualche tempo è d’obbligo la presenza di psicologi e psicanalisti. Qualche nome: Massimo Recalcati, Umberto Galimberti, Paolo Crepet, Maria Rita Parsi, Stefania e Vittorino Andreoli, Marta Zoboli, Raffaele Morelli ecc.
Di alcuni di loro ho stima, di altri molto meno. Nel complesso mi sembra però positivo contribuire a sollevare il lembo del tappeto sotto cui viene spazzata la polvere, come avviene in una celebre sequenza di Bergman.
Mi viene però ora un dubbio. Tutta questa attenzione psicologica al disagio non sarà un modo per distogliere l’attenzione dalle sue cause; la psicanalisi la chiama rimozione, per quanto si ostini a riferirla solamente a stimoli sessuali.
Ma ci sono anche gli stimoli economici, c’è la vita concreta delle persone entro specifici rapporti di scambio e di potere, che con Marx prende il nome di struttura, da cui la sovrastruttura ideale in cui gli intellettuali scoccano i loro pensieri.
Una visione nuovamente semplificata ma che aiuta a farsi un’immagine dei componenti del motore, che una volta ricomposto prende avvio la macchina capitalistica.
In sintesi: il capitale economico tende a gonfiare a dismisura sé stesso, in una forma ormai del tutto svincolata dagli agi che dal denaro si possono trarre. È diventato un simbolo, insomma. Nietzsche lo diceva in modo più suggestivo e forse acuto: “il mondo si è fatto fabula”.
Se la fabula del mondo è il capitale e la tecnica, attraverso cui accrescerlo, la sua leva, concentrarsi sugli effetti psichici è allora fare cattiva psicologia, già che si rinuncia a quella componente preliminare costituita dall’eziologia.
Tutto ciò porta alla riemersione del sintomo, mi sembra inevitabile. Che inascoltato anche a sinistra, soprattutto a sinistra e con maggiore responsabilità, come una psoriasi grida sulla pelle di Santiago del Cile.
A ricordarci che quella che chiamiamo genericamente depressione possiede un nome più preciso: si chiama capitalismo. E avere smesso di indagare il suo inconscio post industriale e finanziario equivale non solo a fare cattiva psicologia, ma cattiva politica.