di Fulvio Bellini*
Premessa. Cosa significa essere uno Stato “quasi sovrano”
In questo articolo analizzeremo la Gran Bretagna e il suo ruolo nello scacchiere internazionale. Parleremo dell’avvenimento principale del mese di settembre: la morte della Regina Elisabetta II e la successione al trono da parte del figlio Carlo III. Insieme all’incoronazione di Carlo, anche l’inquilino di Downing Street è cambiato: Boris Johnson ha lasciato il Numero 10 a favore di Liz Truss, la quale parrebbe dare l’idea di non cambiare la linea politica del predecessore, e invece potrebbe essere di sì. Un mutamento così significativo al vertice dello Stato britannico e del Commonwealth delle Nazioni cade in un momento storico particolarmente delicato, che vede da un lato la continuazione dell’Operazione militare speciale dell’esercito russo in Ucraina, e dall’altro il violento attacco che gli Stati Uniti, con la scusa della crisi tra Kiev e Mosca, stanno conducendo contro l’Unione Europea e l’Euro; vedremo anche di spiegare quest’affermazione. Va, inoltre, ricordato che la Gran Bretagna, il 31 gennaio 2020 e con singolare tempismo, è uscita dall’Unione Europea, riacquistando una maggiore agibilità politica, fino ad oggi usata per allinearsi, e spesso anche per scavalcare, la politica degli Stati Uniti e della Nato di sostegno del regime del Presidente-attore-burattino Volodymyr Zelensky e di contrasto alla politica di Vladimir Putin
Prima di iniziare la nostra analisi, quanto mai ricca di temi, gettiamo un’occhiata fugace alle recenti elezioni in Italia del 25 settembre al solo scopo di evidenziare la differenza tra un Paese parzialmente sovrano come la Gran Bretagna e uno totalmente privo di qualsiasi forma di sovranità come l’Italia. Il tema dell’indipendenza nazionale è stato posto dall’aristocrazia inglese attraverso la strana pompa che ha caratterizzato il lutto, i funerali e la successione dei due monarchi allo scopo evidente di ricordare agli inglesi i fasti del loro recente passato imperiale. L’Italia si trova al lato opposto di questo ragionamento, è il Paese totalmente privo di ogni tipo di sovranità, alla mercé degli Stati Uniti e della Nato, un Paese trattato come una Repubblica delle banane. Forse si esagera? Facciamo un esempio veloce e concreto.
Il 31 gennaio 2021 il Presidente del Consiglio era Giuseppe Conte a capo del suo secondo gabinetto, sostenuto da una coalizione formata da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali. Seppur di breve storia politica, Giuseppe Conte aveva guidato il suo primo gabinetto tra il 2018 ed il 2020 affrontando la fase iniziale e acuta della pandemia da Covid-19. Alla guida del PD vi era Nicola Zingaretti, ben presente sulla scena istituzionale dal 2013 in qualità di Presidente della Regione Lazio. Il 15 marzo 2021, una quarantina di giorni dopo, due personaggi che il 31 gennaio non avevano nessun ruolo politico in questo Paese, il primo risiedeva a Roma quando non era negli Stati Uniti oppure a Francoforte o in altre capitali europee, il secondo abitava a Parigi, erano diventati rispettivamente Capo del Governo e Segretario nazionale del Partito Democratico.
Per essere più chiari: Mario Draghi era passato direttamente dal salotto di casa a Palazzo Chigi il 13 febbraio 2021; Enrico Letta era diventato segretario DEM il 14 marzo 2021, dopo non essere stato iscritto al PD per 4 anni, aver vissuto e lavorato in Francia presso l’Istituto di Studi politici di Parigi, ed essere stato nominato da un’assemblea ristretta di circa 900 notabili del partito. Draghi e Letta sono stati braccio e mente del peggiore governo della storia della Repubblica, mentre i mass media di regime inneggiavano al governo dei migliori. Questi signori sono stati talmente “migliori” da aver generato i seguenti risultati politici alle elezioni del 25 settembre: fatto stravincere Fratelli d’Italia, unico partito formalmente all’opposizione, con 7.300.628 suffragi pari al 26% alla Camera; aver permesso a Giuseppe Conte di salvare il Movimento 5 Stelle semplicemente per aver innescato la crisi del governo Draghi, ottenendo 4.333.748 voti pari 15,4%; aver determinato la sconfitta di tutti i partiti che hanno sostenuto il gabinetto dei migliori, Partito Democratico e Lega in testa. Dopo aver condotto l’Italia nel baratro, Draghi e Letta se ne vanno come se nulla fosse: il primo, facendo sapere di non essere disponibile a tornare a Palazzo Chigi a gestire il disastro da lui prodotto; il secondo, facendo sapere di essere dimissionario e di condurre i DEM al Congresso anticipato “per puro spirito di servizio”, come si sarebbe detto nella vecchia DC. Visto il fanatico atlantismo della loro politica estera e il varo della folle Economia di guerra per difendere il dollaro “whatever it takes”, qualche domanda andrebbe posta: questi signori chi hanno incontrato prima di essere paracadutati a Roma? In quali ambasciate hanno pranzato? A quali strategie erano funzionali? E soprattutto, come è possibile che in soli 40 giorni due assoluti alieni della politica italiana sono arrivati direttamente ai vertici governativi senza nessun tipo di passaggio democratico vero? Ecco cosa significa essere un Paese privo di ogni indipendenza
I funerali di Elisabetta II pongono il tema della sovranità nazionale
Morendo l’8 settembre 2022, la Regina Elisabetta ha reso un ultimo straordinario servizio al suo Paese. Nel precedente articolo del 30 luglio “l’Occidente cerca la clemenza del vincitore russo” si era parlato del significato politico del dimissionamento di Boris Johnson, che aveva innescato il confronto acceso, non solo nel Regno Unito, tra due distinte linee politiche e di conseguenza tra due partiti, confronto che è potuto iniziare in Inghilterra perché si tratta pure di un Paese a sovranità limitata, ma non è nelle condizioni di totale asservimento come di fatto lo sono i Paesi UE. A partire dall’8 settembre è andato in scena uno spettacolo cerimoniale preparato da tempo che ha destato la meraviglia di tutto il mondo: Amica scrive: “Il 19 settembre si sono celebrati i funerali di Stato della Regina Elisabetta. Si stima che, a guardare la cerimonia, siano stati 4 miliardi di persone. Se i dati venissero confermati, si tratterebbe di un vero e proprio record”. Dal punto di vista mediatico la BBC, che ha gestito la trasmissione in mondovisione dei vari eventi inerenti alla successione dei due sovrani, ha venduto un “prodotto” al massimo livello di perfezione, e il clamoroso successo planetario lo ha confermato. In Italia, taluni commentatori, ad esempio Radio Popolare, emittente di Radical Chic con le toppe ai jeans, hanno commentato sarcasticamente questa messa in scena da parte di un Paese eccentrico e un po’ “vintage”, non avendo la fortuna di vivere in una Repubblica come quella del Bel Paese. Occorre ricordare loro che, recentemente, il prodotto mediatico italiano maggiormente richiesto dal mercato audiovisivo è stato: “Gomorra tra le migliori serie internazionali del 2021 secondo il New York Times”, Sky del 6 dicembre 2021.
Ognuno vende quel che può. La cerimonia dei funerali di Elisabetta II, oggettivamente solenne e pomposa, ha molteplici significati e anche una tradizione storica propria degli ex imperi. Il 28 settembre 1786, Johann Wolfgang von Goethe arrivava finalmente a Venezia, per lui e per gli uomini di cultura del suo tempo una grande emozione, essendo quella città adornata da un’aurea mitica. Il 6 ottobre Goethe scrive: “Questa mane di buon ora mi sono recato alla funzione a cui assiste tutti gli anni in questo giorno, nella chiesa di Santa Giustina, il doge, in memoria di una vittoria riportata anticamente sui Turchi. Allorquando giunsero davanti alla piccola piazza le barche dorate, le quali portavano il principe, e buona parte della nobiltà, ornate tutte di drappi, e mosse da remi dipinti in rosso, allorquando sbarcarono il clero e le confraternite, con lanterne d’argento, fissate in cima a lunghe aste, attraversando il ponte ricoperto di tappeti, che dal canale dava accesso alla terraferma, e che si videro strisciare sul suolo le code, prima delle toghe di colore violaceo dei Savi, quindi di quelle rosse dei senatori, e finalmente il doge, col berretto frigio in oro, con veste talare parimenti di tela d’oro, col manto d’armellino, di cui tre domestici sorreggevano la coda, e che si videro sulla piccola piazza, davanti alla chiesa le bandiere tolte ai Turchi, avrei detto di avere sott’occhio un tappeto antico di stupendo disegno, e di vivace colorito”.
Venezia ricordava i fasti del suo impero perduto, delle vittorie contro i Turchi, della ricchezza posseduta e ricordata attraverso la sontuosità di barche e vestiti, ma allo stesso tempo sollecitava lo spirito patriottico nei veneziani stessi. Il meccanismo emozionale legato alle esequie di Elisabetta II è di questo tipo, ovviamente declinato in un Paese del Nord Europa nel 2022: feretro con bandiera reale; presenza di numerosi capi di Stato e governo; rappresentanze dei corpi militari britannici; dignitari in alta uniforme; spettacolo solenne e perfettamente riuscito. È la rappresentazione della Gran Bretagna imperiale esistita fino al 5 agosto 1947, data dell’indipendenza dell’India e, conseguentemente, fine sostanziale del dominio britannico su vastissime aree del mondo. Quelle divise, quei dignitari e quella solennità hanno, altresì, ricordato agli inglesi l’ordine “naturale” delle cose: Londra è il centro, gli altri luoghi sono Dominions, sono Commonwealth e sono ex colonie ribelli d’oltreoceano. In sintesi, il funerale di Elisabetta II è stata una chiamata patriottica di una parte della classe dirigente inglese
Il partito “aristocratico” delle navi e della moneta
A questo punto occorre verificare se il nuovo sovrano Carlo III intende portare avanti questa delicata strategia che potrebbe dare fastidio a molti, sia in Gran Bretagna sia nella NATO
Nel suo primo discorso da sovrano al parlamento di Westminster, di fronte ai componenti della Camera dei Comuni dei Lord riuniti, il re ha rivolto loro un discorso ricco d’interessanti contenuti: “Non posso fare a meno di sentire il peso della storia che ci circonda e che ci ricorda le tradizioni parlamentari vitali a cui i membri di entrambe le Camere si dedicano, con un impegno così personale per il miglioramento di tutti noi… Che le vostre tradizioni siano antiche, vediamo nella costruzione di questa grande sala e nei ricordi dei predecessori medievali dell’ufficio a cui sono stato chiamato… Westminster Hall è l’edificio più antico del Parlamento ed era il luogo in cui furono processati Guy Fawkes e Carlo I, dove re e regine ospitarono magnifici banchetti medievali e dove furono presentati discorsi cerimoniali alla regina Elisabetta II durante i suoi giubilei d’argento, d’oro e di diamanti… La nostra defunta regina è stata qui per celebrare i momenti storici, come il 50° anniversario della seconda guerra mondiale, una guerra in cui lei stessa ha prestato servizio nelle forze armate. E, nel 1988, abbiamo celebrato il 300° anniversario delle rivoluzioni dal 1688 al 1689”. Carlo III racconta delle istituzioni inglesi, della loro antica tradizione e della necessaria concordia che ci deve essere tra monarchia e parlamento, nella totale assenza di accenni agli alleati americani, ai vicini europei. Con una certa difficoltà, essendo messaggi contenuti all’interno di complesse cerimonie, il sovrano sembra affermare che in Gran Bretagna esiste un partito che non apprezza particolarmente l’attuale situazione politica globale. Carlo III menziona, inoltre, il suo augusto avo Carlo I Stuart, processato dal Parlamento e decapitato il 30 gennaio 1649.
Questo passaggio forse non è casuale, ma potrebbe fare un velato riferimento al confronto in corso tra un partito “aristocratico”, come lo si può intendere nel XXI secolo, e uno parlamentare, o per meglio dire dei partiti. Da chi è composto questo partito “aristocratico”? Alti ufficiali delle forze armate inglesi, canadesi, australiane, neozelandesi, oppure componenti di consigli d’amministrazione di colossi bancari come HBSC, Royal Bank of Scotland, Barclays Bank, oppure ancora operatori finanziari della City e alti funzionari della Banca d’Inghilterra; in sintesi, gli eredi di coloro che nell’impero britannico gestivano le navi e la moneta.
Cosa temono questi signori?
I pericoli provenienti dalle navi e dalla moneta degli altri. In caso di conflitto convenzionale con la Russia, le forze armate britanniche assumerebbero un ruolo di indiscussa leadership nella NATO, potendo contare pienamente solo sull’esercito francese, e in via subordinata sugli eserciti tedesco, spagnolo e polacco. Al contrario, gli inglesi non potrebbero fare affidamento né sugli americani e tanto meno sugli italiani, i quali si squaglierebbero militarmente al primo scontro serio con i russi, come sempre è successo nella loro storia militare.
La leadership nella NATO comporterebbe una pericolosa sovra esposizione da parte di Londra, che correrebbe il pericolo di diventare un facile obiettivo per la controffensiva russa a causa della sua conformazione insulare, non tanto per attacchi missilistici provenienti dal territorio russo, quanto per la fatale esposizione agli attacchi dei sommergibili nucleari, che possono posizionarsi in qualsiasi punto della lunghissima costa e raggiungere agevolmente e velocemente obiettivi militari e industriali. In altre parole, a questo partito non garba di fare i manovali della guerra per conto degli americani i quali, come loro tradizione, si limiterebbero al conflitto aereo e, in misura minore, navale in un teatro, quello europeo, che necessita invece di stivali sul terreno.
Oltre al danno vi sarebbe anche la beffa di vedersi scippare il ruolo di coloro che mandano avanti altri, per impegnarsi successivamente a campagna avanzata: strategia adottata sia nella Prima (nei confronti dei francesi) che nella Seconda (nei confronti dei russi) guerra mondiale. I pericoli derivanti dalla moneta degli altri sono ovviamente quelli del dollaro da una parte e del rublo dall’altra.
Il dollaro è entrato in una terribile crisi inflazionistica che, come descritto in precedenti articoli, non ha un orizzonte valutabile e prevedibile. In questo articolo possiamo ricordare velocemente che gli Stati Uniti stampano carta moneta incessantemente e sempre in maggior quantità dal 1971, e quindi la potenzialità inflazionistica del dollaro è letteralmente sconosciuta, non potendo fare neppure lontani paragoni con l’esperienza dell’iper inflazione del Papier Mark tedesco del 1923.
Cosa preoccupa, ad esempio, i gestori della sterlina? Come fa un Paese che ha un debito pubblico di quasi 31.000 miliardi di dollari ad inviare armi all’Ucraina per 45 miliardi in soli 4 mesi (dagli inizi di marzo al 23 luglio 2022, data dell’articolo di Wired “Tutte le armi che gli alleati hanno inviato all’Ucraina). Gli americani stanno cercando di trasformare enormi quantità di denaro in armi per tenere sotto controllo l’inflazione, oltre a fare felice il sempre più famelico complesso industriale militare USA. Grazie alla scusa della guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni applicate formalmente alla Russia, gli americani stanno esportando aliquote della propria inflazione non solo nella Unione, ma anche in Gran Bretagna e in modo altrettanto rovinoso. La percentuale dell’inflazione inglese del mese di agosto 2022 è stata del 8,653%, mentre quella dello stesso mese del 2021 era di 3,033% e nel mese di agosto del 2020 addirittura dello 0,462% (fonte Global-Rates.com). Anche la sterlina necessita di allargare la sua base monetaria, facendo un po’ di debiti per far fronte ai prezzi dell’energia i quali, espressi in dollari, stanno salendo alle stelle. Ma se il dollaro già esporta la sua inflazione nel Regno Unito e anche la sterlina si mette sulla stessa strada, quale aliquota potrebbe raggiungere l’inflazione nello UK? La Stampa Economia del 22 agosto 2022 titola “Regno Unito, Citi stima inflazione al 18% a inizio 2023…. Citi (la banca d’affari americana Citigroup Inc., N.d.R.) prevede che l’inflazione del Regno Unito raggiungerà il 18,6% a gennaio 2023, a causa di aumenti delle bollette energetiche che spingeranno il costo della vita nella ‘stratosfera’. Lo si legge in una nota firmata da Benjamin Nabarro, chief UK economist della banca. Inoltre, viene stimato che il prezzo massimo per le bollette energetiche in Gran Bretagna salirà a 3.717 sterline in ottobre (da 1.971 di oggi), quindi salirà a 4.567 sterline a gennaio e poi a 5.816 sterline ad aprile”.
Va da sé che se a Londra l’inflazione sarà al 18%, a Roma si raggiungerà il 20%: si capisce perché fanno tutti gli auguri a Giorgia Meloni, a cominciare dai suoi padrini politici Mario Draghi ed Enrico Letta, accompagnata dal famoso motto “vai avanti tu che mi scappa da ridere”.
Si sta profilando un conflitto d’interessi tra dollaro e sterlina per quanto riguarda l’agibilità di fare debiti; solo il dollaro possiede questo privilegio senza doverne pagare il conto, essendo esportatore della sua inflazione nel resto del globo, le altre divise, compresa la sterlina, sono escluse da questo privilegio. Dall’altro lato, la City di Londra deve decidere come porsi di fronte al rublo russo. Dal 28 marzo scorso, infatti, la Banca centrale russa ha fissato il valore della sua moneta al metallo giallo in ragione di 5.000 rubli per un grammo d’oro. Con la fissazione del cambio rigido tra rublo e oro, sia pure per un periodo di tempo limitato fino al 30 giugno, si aggiunge un altro tassello alla battaglia economica su scala globale che si è aperta sul terreno dell’organizzazione finanziaria internazionale
Il rublo, inoltre, ha aggiunto una seconda convertibilità in quanto è valuta richiesta per il pagamento del gas russo; queste due convertibilità hanno reso il rublo la moneta più pregiata del mondo. Dal 1° luglio, il rublo è divenuto pienamente convertibile nei mercati valutari di tutto il mondo dopo più di un secolo. Piena convertibilità significa che non ci sono più restrizioni di nessun genere al movimento transfrontaliero di capitali né all’acquisto o alla vendita della valuta russa, né dentro il Paese né all’estero. Gli esperti finanziari hanno subito valutato la probabilità di forti speculazioni al rialzo del rublo contro il dollaro americano da parte degli operatori internazionali. Le autorità monetarie russe hanno deciso di affrontare il Dollar Standard forte di un Paese che cresce ad ottimi ritmi, il bilancio statale segna continui surplus, tanto che Mosca ha potuto annunciare un accorciamento dei tempi previsti per il completo ripianamento del debito. Il Cremlino ha annunciato l’intenzione di aprire entro i prossimi mesi una borsa-energia a Mosca: finora, il gas e il petrolio russi erano venduti contro dollari sui mercati internazionali, ora possono essere acquistati in Russia contro rubli il che spingerà ancora più su la valuta nazionale. La City di Londra vuole fortemente partecipare alla nuova frontiera del business in rubli, ma la situazione politica che di fatto tiene la Gran Bretagna ostaggio nel Dollar Standard nonché politicamente incatenata agli Stati Uniti, come il resto dei Paesi europei aderenti alla NATO, sta facendo perdere ottime opportunità anche alla sterlina. Questo è un secondo elemento di divergenza d’interesse strategico tra UK e USA.
Il partito dei “collaborazionisti” e l’anomalia di Margaret Thatcher
Abbiamo visto che, oltre alla successione al trono del Regno Unito, dovuta a motivi naturali, quasi contemporaneamente vi è stato l’avvicendamento alla guida del governo di Sua Maestà: il partito conservatore ha nominato Liz Truss al posto di Boris Johnson. Abbiamo descritto, anche se in superficie, data la sua particolarità, il cosiddetto “partito aristocratico” palesatosi nel mese di settembre. Ma fino al mese di luglio 2022 era il partito avverso ad essere sugli scudi, quello dei collaborazionisti con gli Stati Uniti. Questo partito è assolutamente trasversale tra laburisti e conservatori e si riconosce in quello che fa e non in quello che dice: ad esempio, chi mai penserebbe che un campione del partito aristocratico (quindi avverso agli Stati Uniti) fu proprio quella Margaret Thatcher che ufficialmente faceva coppia con Ronald Reagan nella lotta senza quartiere al comunismo, mentre i due leader più collaborazionisti furono due laburisti: Tony Blair e il suo sodale Gordon Brown. Per meglio capire il passaggio politico che l’Inghilterra potrebbe apprestarsi a fare, occorrono alcune considerazioni sulla politica della “Iron Lady”.
È indubbio che la Thatcher fu una bandiera del liberismo in economia, ma non del liberismo della scuola di Chicago, bensì di quello della tradizione britannica. È incontestabile che la Lady di Ferro passava un giorno sì e l’altro pure a stigmatizzare il comunismo e ad attaccare verbalmente l’Unione Sovietica, salvo poi osteggiare apertamente il progetto di riunione tedesca, paventando il futuro, eccessivo potere della Germania. Thatcher si oppose pubblicamente in tutte le sedi diplomatiche al progetto di unità della Germania, di creazione dell’Unione Europea e della moneta unica. Facile immaginare che un leader accorto come Margareth Thatcher avesse perfettamente compreso che una Germania unita ma ancora pesantemente occupata dagli americani sarebbe stata la perla del loro impero, come l’India lo fu per gli inglesi. Non solo, la Germania unita e sostenuta dagli Stati Uniti avrebbe realizzato quell’Unione europea che si spostava verso Est, mentre i medesimi Paesi venivano inglobati nella NATO, i cui regimi sarebbero stati appunto mantenuti dai vecchi membri della Comunità Europea. La Lady di Ferro si dimostrò poco rispettosa anche nei confronti del giardino di casa degli Stati Uniti, come provato dalla guerra contro l’Argentina per le Isole Falkland. È vero che la giunta militare argentina pensò malauguratamente di rivendicare quelle isole e invaderle, ma rimane il dubbio se tale decisone fu spontanea oppure indotta. La guerra tra inglesi e argentini fu breve ma vera. Tuttavia, lo sconfitto regime militare di Buenos Aires, come tutti quelli del Sud America di allora, era approvato e “protetto” dalla Casa Bianca, la quale non apprezzò affatto il colpo mortale reso dalla Thatcher alla giunta del generale Leopoldo Galtieri.
In sintesi, mentre l’Inghilterra di allora a parole era la più anti comunista e anti sovietica del mondo, nei fatti conduceva una politica che, se avesse prevalso, avrebbe comportato un diverso destino sia per l’URSS che per gli altri Paesi dell’Est. Ad esempio, in Germania sarebbe passata la politica di due sistemi in un unico Stato sostenuta da Alfred Herrhausen, presidente di Deutsche Bank, ucciso in un attacco dinamitardo nel 1989 attribuito alla Rote Armeé Fraktion. Pochi giorni prima di morire, Herrhausen aveva scritto un articolo su Wall Street Journal in cui esponeva la sua “Ostpolitik” economica, ovvero la visione di una politica della Deutsche Bank favorevole allo sviluppo equilibrato dell’est e dell’ovest della Germania riunita, e aperta ai rapporti con Mosca. L’omicidio di Herrhausen fu determinante per far capire a tutti quale fosse la strada da intraprendere per l’unificazione della RFT e della RDT.
Margareth Thatcher anteponeva visione e interessi della Gran Bretagna a quelli degli Stati Uniti, e poco importa se questa divergenza prevedesse la sopravvivenza della DDR, dell’Unione Sovietica e della Comunità Europea a 12 nazioni. Gli inglesi, però, sbagliarono strategia, sottovalutando la pace separata siglata tra Stati Uniti e Russia, con tutte le conseguenze che abbiamo visto negli anni Novanta. Washington fece i conti con tutti coloro che negli anni precedenti avevano osato opporsi alla sua visione del mondo: attraverso Mani Pulite in Italia si spazzò via la Prima Repubblica e la sua Economia mista; l’Inghilterra dovette pagare il suo conto ai vincitori a stelle e strisce. La Lady di Ferro fu costretta a lasciare il potere il 28 novembre 1990, e dopo sette anni di premiership di John Major, che cercò un difficile accomodamento con i padroni americani, alla fine la Gran Bretagna dovette sottostare al governo di due fanatici atlantisti come Tony Blair e
Durante il mandato del primo, la strana morte di Lady Diana (operazione dell’intelligence USA? Personalmente lo ritengo assai probabile), mise in seria difficoltà la famiglia reale, e la difesa del Primo Ministro non fu così limpida come la storia ufficiale ci vuole fare credere, tutt’altro. Sempre l’ineffabile Blair seguì fedelmente l’alleato americano nella guerra del Kosovo del 1989, nell’invasione afgana del 2001 e in quella dell’Iraq del 2003, condividendo le menzogne escogitate dalla Casa Bianca per giustificare l’aggressione a Bagdad, scelte che una Thatcher difficilmente avrebbe compiuto. Al suo successore e sodale Gordon Brown, premier dal 2007 al 2010, va invece ascritto il merito di aver svenduto l’oro della riserva britannica quando era Cancelliere dello Scacchiere! Adrian Ash di BullionVault ricorda quel fatto: “Il 7 maggio 2019 segna il ventesimo anniversario dall’annuncio del programma del nuovo governo Labour che vendette 401 tonnellate di oro delle 715 tonnellate presenti nelle riserve nazionali inglesi entro la fine del 2002… Ignorando i consigli degli esperti in metalli preziosi, e sfidando l’opposizione della Bank of England, quest’azione fu un’ulteriore spinta al ribasso per il mercato dell’oro, già ribassista da due decenni. Il Regno Unito vendette 401 tonnellate d’oro tra il 1999 ed il 2002. Il prezzo medio ottenuto fu di 275 dollari l’oncia. Questo prezzo era 10 dollari in meno del prezzo dell’oro il 6 maggio 1999, il giorno prima dell’annuncio. Oggi (5 marzo 2019 N.d.R.) l’oro è a 1.272 dollari l’oncia (+367% rispetto al prezzo medio di vendita di Brown). La maggior parte degli investitori prende decisioni sbagliate in privato, danneggiando solo i propri guadagni. Ma mentre la vendita di oro non è forse la peggiore decisione che Gordon Brown abbia preso, dopo il taglio dei crediti d’imposta sui dividendi e lo smantellamento del controllo della Bank of England sulla City, il “fondo di Brown” del prezzo dell’oro è certamente la decisione di investimento peggiore della storia moderna”.
Nessun errore, in quegli anni la vendita dell’oro servì ad evitare l’innesco dell’impennata del prezzo del metallo giallo espresso in dollari, meccanismo che oggi conosciamo in riferimento al gas. Tony Blair e Gordon Brown erano a capo del partito filo americano dei collaborazionisti, ed Elisabetta II lo sapeva bene: titola la Repubblica del 25 aprile 2013: “Lo sgarbo della regina a Blair e Brown: per loro niente Ordine della Giarrettiera… Il più antico e prestigioso titolo araldico inglese, conferito da Elisabetta II a tutti i primi ministri che hanno servito la monarchia, è negato ancora una volta ai due premier laburisti. Uno sgarbo che non può essere casuale”.
Nella storia più recente, il partito aristocratico e quello dei collaborazionisti si è alternato ai vertici del potere inglese, sempre in modo trasversale e a volte coordinato tra le leadership dei conservatori e dei laburisti. Il partito aristocratico, ad esempio, ha guidato il Paese negli anni di David Cameron e della segreteria laburista di Jeremy Corbyn nel decennio dal 2010 al 2020. In quegli anni la strategia inglese era fortemente orientata nei confronti della Cina attraverso la piazza finanziaria di Hong Kong, perseguendo il disegno di rendere la sterlina intermediaria per l’internazionalizzazione del Renminbi. La valuta britannica, avendo perso gran parte delle sue riserve in oro, avrebbe trovato nella valuta inconvertibile ma pregiata di Pechino una nuova garanzia per il suo corso: geniale! Questo ruolo avrebbe tuttavia minato fortemente i rapporti con gli Stati Uniti, che non sono certamente rimasti a guardare, varando la loro nuova strategia globale proprio a partire dal 2015 (vedi l’articolo pubblicato su Gramsci Oggi “Elezioni del 25 settembre: l’Italia nel baratro tra Partito Unico ed economia di guerra”) che prevedeva la promozione dei propri Gauleiter ai vertici di UE e principali Paesi europei. Anche la Gran Bretagna fu interessata a questo disegno, essendo un Paese a sovranità limitata e occupata da circa 30 basi americane sul proprio territorio.
Ecco che il partito dei collaborazionisti è tornato al potere sia nei conservatori con Boris Johnson che nei laburisti con il neo blairiano Keir Starmer, segretario di quel partito dal 2020. Conosciamo la linea filo atlantista di Johnson, il coinvolgimento di ufficiali britannici a Kiev, ed alcune posizioni del governo britannico aggressive nei confronti del Cremlino che hanno addirittura superato quelle americane. Veniamo ora a Liz Truss, perché su di lei qualche sospetto di essere del Partito aristocratico lo abbiamo. Il nuovo premier britannico si è presentata sul palcoscenico politico decisamente agguerrita, e apparentemente in totale sintonia con la politica del suo predecessore soprattutto per quanto riguarda la politica estera: ad esempio, in merito alla crisi ucraina, Truss ha confermato l’assoluta sintonia con la Casa Bianca di contrapposizione alla Russia ancora più esplicita e decisa. Allora cosa è cambiato rispetto alla linea di Johnson, altrettanto assertivo contro il Cremlino?
L’ANSA del 5 settembre titola: “Liz Truss, a Downing Street sognando la Thatcher… Il richiamo al modello Thatcher è stato la costante della campagna d’immagine che ha dato impulso alla non proprio irresistibile ascesa della nuova premier di Sua Maestà, attesa adesso dalla prova del miracolo di cercare di unificare e rilanciare un partito e un Paese in crisi – fra scandali, emergenza energetica, inflazione, scioperi, pulsioni secessioniste, contraccolpi post Covid e post Brexit – pur in assenza di tracce visibili da leader carismatica… Nel giro di due anni diventa sottosegretaria all’Istruzione nella compagine di coalizione guidata da David Cameron. Promossa ministra dell’Agricoltura (nei cui panni si esibisce in uno sconclusionato discorso di sostegno patriottico ai formaggi britannici), Truss resta leale a Cameron nel 2016 sposando la causa perdente del no alla Brexit al referendum. Con la May passa alla Giustizia, per retrocedere poi a uno scranno da vice, seppur di peso, al Tesoro. Salvo ritrovarsi titolare del Commercio Internazionale – da brexiteer convertita – dopo la svolta a Downing Street del 2019, con quel Boris Johnson che nel settembre 2021 le dà la spinta decisiva: assegnandole per la prima volta un dicastero top, gli Esteri, in barba allo scarso talento diplomatico e oratorio. Poco importa. Per Liz – abile nel non rinnegare fino in fondo la fedeltà a BoJo, ma anche a prepararsi scientificamente alla successione col sostegno degli stessi pretoriani più irriducibili del premier uscente nel momento della crisi – è il trampolino finale verso Number 10”. Da questi brevi accenni possiamo attingere alcune informazioni interessanti: se Liz Truss si ispira effettivamente a Margareth Thatcher, la sua politica estera antepone gli interessi britannici a quelli americani, e abbiamo visto che cosa significa in termini di rapporti reali, e non urlati, con la Russia. Il nuovo premier deve la sua carriera a David Cameron, un leader che è appartenuto alla fase di preminenza del partito aristocratico, non solo, che ha dovuto rimediare agli autentici disastri compiuti dai due suoi predecessori, i collaborazionisti Tony Blair e Gordon Brown.
Nel suo primo mese di governo, Liz Truss ha già aperto un contenzioso e non nei confronti di Vladimir Putin, come ci si dovrebbe aspettare da un leader conservatore britannico; il contenzioso è niente meno che con il Fondo Monetario Internazionale. Titola il Post del 28 settembre 2022: “Il Fondo Monetario Internazionale ha consigliato a Liz Truss di ritirare le sue riforme fiscali … Dopo che l’annuncio di grossi tagli alle tasse per i ricchi fatto dal governo britannico ha provocato un gravissimo crollo della sterlina… Il Fondo Monetario Internazionale, l’organismo che monitora la stabilità finanziaria globale, con un’inusuale dichiarazione ha espressamente criticato il grande piano di riduzione delle tasse per i più ricchi che era stato annunciato dal governo britannico di Liz Truss venerdì e che ha causato un grave calo della sterlina in questi giorni. L’istituzione avverte che il pacchetto fiscale rischia di alimentare ulteriormente l’inflazione, che nel Regno Unito è all’8,6 per cento e consiglia di fatto di ritirare le riforme. Nella dichiarazione si legge anche che «è probabile che le misure fiscali del Regno Unito aumenteranno le disuguaglianze» … Tutte queste misure di favore per le fasce più ricche, che saranno finanziate a debito, secondo il governo favorirebbero la crescita, attraverso l’aumento dei consumi, degli investimenti e la creazione di nuovi posti di lavoro, secondo un approccio che si ispira alle politiche americane di Ronald Reagan, che fu presidente negli anni Ottanta.
Nella sua dichiarazione, l’FMI dice di «non raccomandare ampi pacchetti di stimolo fiscale in questa congiuntura, poiché è importante che le politiche di bilancio non agiscano in contrasto con la politica monetaria». Le banche centrali di tutto il mondo, inclusa la Banca di Inghilterra, stanno infatti da mesi aumentando i tassi di interesse per “raffreddare” l’economia e fare in modo che i prezzi scendano: indebitarsi per far crescere l’economia è esattamente una politica di bilancio in contrasto con la politica monetaria che alza i tassi per frenare l’inflazione”.
Traduciamo in termini geopolitici l’intervento del Fondo Monetario. Questa istituzione, figlia degli accordi di Bretton Woods, è diventata il cane da guardia del Dollar Standard nel mondo. Il richiamo al governo britannico serve a ricordare che all’interno del Dollar Standard solo la divisa americana ha il privilegio di aumentare la sua base monetaria attraverso il costante indebitamento degli Stati Uniti, e di esportare in Europa parte della conseguente inflazione.
Anche in considerazione dell’asse preferenziale Washington Londra, i rapporti dei due Paesi non vanno fraintesi: gli Stati Uniti sono la metropoli imperiale con i conseguenti benefici, la Gran Bretagna è una provincia, e nemmeno la più importante essendo la Germania la perla dell’Impero. Il Regno Unito non può fare debiti facendoli pagare ad altri, perché questa è la prerogativa esclusiva degli Stati Uniti, e non può alimentare l’inflazione domestica, perché tale spazio è già riservato all’inflazione del dollaro. Gli interessi di dollaro e sterlina sono dunque divergenti determinando lo scollamento strategico delle rispettive élite nazionali. L’elemento di contraddizione di questo “divorzio” obbligato risiede nel diverso modo d’influenzarsi reciprocamente. Gli inglesi influenzano la classe dirigente “bostoniana”, erede della tradizione della Nuova Inghilterra e che controlla Wall Street, ma abbiamo visto che già su questo terreno vi sono elementi oggettivi di frizione con la City di Londra, mentre sostanzialmente non ha nessuna influenza con gli altri due centri di potere americani: i “texani”, cioè la classe dirigente più squisitamente americana, formatasi nella conquista dell’Ovest, e i “californiani” di origine tedesca ed eredi degli sconfitti della Seconda guerra mondiale emigrati in quello Stato (George Schulz, Caspar Weinberger, Arnold Schwarzenegger per fare i nomi più noti). La capacità d’influenza degli americani è più diretta, deriva dall’attività d’influenza e di finanziamento che, attraverso l’appoggio logistico fornito dalle basi NATO, gli americani effettuano su partiti, gruppi politici ed associazioni. In altre parole, gli americani accusano i russi di fare quello che essi stessi hanno sempre fatto: influenzare la politica locale.
Se gli inglesi sbagliano strategia la guerra nucleare è possibile
Dall’inizio dell’operazione speciale, nella narrazione del conflitto vi è stato sempre un convitato di pietra: la bomba atomica. Ovviamente, gli americani hanno fatto sempre intendere che i russi, prima o poi, l’avrebbero usata. Si tratta di una provocazione oppure di una speranza? Magari sono gli stessi americani che vorrebbero ottenere un “incidente” nucleare per scatenare l’olocausto in Europa.
In passati articoli abbiamo ricordato che, oltre ai due ordigni che gli Stati Uniti, e non altri, hanno sganciato sulla testa dei poveri cittadini di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, l’umanità ha corso un pericolo molto maggiore allorquando gli americani, e non altri, si misero in testa di bombardare atomicamente il fronte coreano nel 1951.
Allora si parlò di un bombardamento nucleare a tappeto dalla Corea alla Manciuria fino a Vladivostok con l’impiego di oltre 30 ordigni allo scopo anche di creare un’ampia fascia radioattiva che bloccasse l’avanzata dei nord coreani e dei cinesi. L’11 aprile di quell’anno il presidente Harry Truman destituì il generale a cinque stelle Douglas McArthur, comandante in capo delle forze armate americane in Estremo Oriente, vincitore del Giappone, soprannominato il “Cesare del Pacifico”; e lo era di nome e di fatto.
Cos’era successo? Il generale McArthur aveva chiesto alla Casa Bianca il permesso di attuare il suo piano sul fronte coreano per annientare in un sol colpo l’avanzata dell’eserciti nemici, ormai incontenibili. Truman oppose un diniego e il generale a 5 stelle, non capendo e non accettando la decisione, si mise su di un velivolo alla volta di Washington per discutere la questione vis-à-vis con il Presidente, il quale per tutta risposta lo sollevò dal comando mentre “Cesare” era in volo; decisone assai rischiosa, vista l’enorme popolarità del generale McArthur in patria, maggiore di quella del suo alter ego Eisenhower. Truman destituì il Cesare del Pacifico perché costretto e non perché in disaccordo sull’uso della bomba atomica contro i cinesi; costretto dalle pressioni provenienti da… Londra. Se McArthur avesse bombardato atomicamente i cinesi, i russi avrebbero attaccato gli alleati americani in Europa, arrivando fino a Londra, e allora si parlava che alle invitte armate sovietiche ci sarebbero volute meno di due settimane per giungere alla Manica.
Oggi ci troviamo in una situazione simile e ancora peggiore di quella coreana. Un nemico temibile, l’inflazione, si appresta a rompere il fronte eretto a difesa del dollaro da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Nonostante le difese, la forza distruttrice insita nel dollaro stesso è talmente elevata che qualche “generale a 5 stelle” della finanza mondiale, cinico fino alla patologia come potrebbe essere una Janet Yellen oppure un Mario Draghi, potrebbe aver suggerito alla Casa Bianca che solo la bomba atomica, quella vera, potrebbe scongiurare la dissoluzione del dollaro in una terribile iper inflazione.
A Washington potrebbero studiare come trasformare il conflitto regionale ucraino in una Terza guerra mondiale nucleare in Europa, stratagemma per raggiungere la soluzione definitiva del “dossier dollaro”: bruciare tutto il vecchio continente in modo che la moneta americana rimanga l’unica utilizzata dai sopravvissuti; ma più probabile coprire la definitiva evaporazione del biglietto verde da un olocausto nucleare. Ma, come nel 1951, i russi sanno che la Gran Bretagna non è un’isola mobile, e sarebbe la prima a pagare il conto salato, e questa volta lo sarebbe veramente, della guerra nucleare voluta dagli alleati e cugini d’oltreoceano
Anche gli inglesi sanno di correre questo rischio, sanno che i veri matti non abitano a Mosca ma a Washington, e forse si stanno decidendo a cambiare campo per fermare i folli che vediamo pontificare ogni giorno in televisione.
Permettetemi una considerazione poco ortodossa. Sono sempre stato convinto che l’arma atomica sia “comunista” per definizione, in quanto rappresenta l’unica vera minaccia per le élite dei Paesi capitalistici. Ad esempio, la crisi climatica non interessa affatto ai signori del denaro, perché vi sarà sempre un luogo sul pianeta con abbondante cibo, acqua e comodità di ogni genere e che li terrà al sicuro mentre tutti mentre il resto dell’umanità soffrirà le carestie, le siccità e i cataclismi che lo sfruttamento capitalistico del pianeta ineluttabilmente determinerà; quindi non facciamoci illusioni sul ruolo del tutto mistificatorio dei movimenti ecologisti e dei Friday for Future, recite organizzate dagli stessi signori del denaro per imbonire soprattutto i giovani. La guerra atomica è una cosa diversa: un bombardamento nucleare su Londra brucerebbe tutti, da Carlo III alla sua regale famiglia, ai signori del denaro che vivono a Chelsea, ai dirigenti delle grandi banche, ai proprietari dei potenti fondi d’investimento, tutti sarebbero avvolti nel medesimo rogo della gente comune della città. Queste considerazioni le facciamo noi, che poco sappiamo e molto speculiamo, e le fanno loro che invece conoscono molto meglio i piani che passano per la testa dei frequentatori della stanza ovale a Washington. Oggi, solo due centri di potere nel mondo occidentale possono fermare il Frankenstein d’oltre oceano: la Curia romana e il partito aristocratico inglese. Purtroppo dobbiamo confidare in loro perché nell’epoca dell’agonia del dollaro l’inimmaginabile può diventare possibile.
* esperto di questioni internazionali e geopolitiche, collaboratore di “Cumpanis”. 30 settembre 2022