Ipotesi rigassificatore a Punta Marina di Ravenna

Il progetto è da respingere per varie ragioni di sicurezza, salubrità ambientale e geopolitiche. Dal punto di vista geopolitico la motivazione principale addotta dai proponenti è totalmente e gravemente subalterna alla ipotesi di un confitto russo-ucraino infinito e inevitabile. I proponenti infatti hanno messo in evidenza la quota di gas non più fornito dalla Russia che il rigassificatore potrebbe rimpiazzare (un sesto); poiché la fruizione dell’impianto ravennate non sarà disponibile prima della seconda metà del 2024 evidentemente chi propone il progetto è certo che a quella data il conflitto sarà ancora in corso. Dovesse “scoppiare la pace” prima della seconda metà del 2024 sarebbe una “sfortuna” che renderebbe il progetto uno spreco assoluto: circa 50 km. di tubazioni appena realizzate sarebbero da rottamare. Chi propone il progetto e chi lo condivide prevede una guerra permanente ? e se il confitto si spostasse dal fronte russo al fronte degli ipotetici fornitori via mare?

In verità i proponenti hanno evidentemente grandi capacità di prevedere il futuro se la nave BW Singapore è stata comprata nel luglio 2022. Ma se si compra un’auto per un lungo viaggio e dopo averla comprata si scopre che è più ergonomico ed ecologico fare il viaggio in treno? L’acquisto della nave BW Singapore risponde evidentemente alla logica del “fatto compiuto” che dà per scontato il bypass delle più elementari norme della democrazia e della partecipazione popolare.

Si può ipotizzare che i proponenti il progetto dispongano di informazioni riservate che consentono loro di fare previsioni sulla guerra in atto ? Se la guerra finisce, come si augurano tutti gli “uomini di buona volontà” che ce ne facciamo degli impianti al servizio della nave BW Singapore e della stessa nave ?

Una seconda questione di carattere storico induce a Ravenna alla massima prudenza; non che in altri contesti territoriali sia legittimo procedere più “sommariamente… ma Ravenna è stata teatro di una tragica strage operaia il 13 marzo 1987, maturata in un contesto di assenza totale di vigilanza (fu delegata alla valutazione affidata da un imprenditore privato ad un professionista privato); quella «vigilanza» asserì l’esistenza di un ambiente “gas free” nella stiva della nave Elisabetta Montanari ma il gas c’era e una semplice fiamma ossidrica determinò l’esplosione che causò la morte di 13 persone. A chi sarebbe affidata oggi la vigilanza sull’impianto di rigassificazione che evidentemente comporta un rischio intrinseco enormemente più alto di un cantiere navale ?

Solo tredici anni fa a Viareggio una “piccola” quantità di gas circolante su strada ferrata – per un evento non monofattoriale ma più articolato – ha determinato una strage in cui il primum movens fu l’omessa o non sufficiente manutenzione della componente di un carro ferroviario, complicato da un altro rischio (non bonificato per ritardo e incuria) a terra cioè un picchetto piantato nel suolo che non era stato rimosso per tempo e lacerò un serbatoio.

La stessa strage – diciamo per brevità, “impunita” – dell’amianto/Enichem a Ravenna rende il territorio allergico alla ipotesi di accollare alla comunità umana ivi residente ulteriori rischi oltre a quelli già sopportati: dall’inquinamento da amianto delle acque “potabili” che la Ausl non intende indagare (o ha indagato senza far conoscere i dati relativi) alla condizione delle acque superficiali nelle quali è stata monitorata la presenza di ftalati (interferenti endocrini e sospetti cancerogeni) che appunto sono stati reperiti sia nel 2020 che nel 2021 in diversi siti (acque superficiali) della provincia; certo non esiste una relazione diretta tra gli ftalati e il principale inquinante correlato all’esercizio del rigassificatore (cloro) ma la complessiva situazione ambientale di aria/suolo/acque nel territorio ravennate necessita già oggi di una rilevante attività e intervento di bonifica piuttosto che di ulteriori inquinanti (si sovrapporrebbero ed entrerebbero in sinergia negativa con quelli già reperibili).

Ulteriore fattore di preoccupazione è la scarsa chiarezza da parte dei decisori politici sulla natura della “domanda energetica” . Questa viene descritta come se la domanda fosse ripartita equamente, pro-capite, fra tutti i cittadini. Negli anni ottanta del secolo scorso una grande campagna mediatica attirò l’attenzione dell’opinione pubblica sui cfc e sul ruolo di questi composti chimici nel pregiudicare l’ozono atmosferico che filtra e protegge dai raggi ultravioletti; fu una campagna non inutile ma lo slogan «fatevi la barba con il pennello» trascurava il fatto che i consumi individuali e domestici di cfc erano marginali rispetto all’enorme quantità di cfc utilizzati nei cicli produttivi industriali. Venendo all’oggi è necessario dunque chiarire che la domanda di energia è molto differenziata fra “comuni cittadini” e industrie, con particolare riferimento a quelle energivore che oggi minacciano apocalittiche chiusure con cassa integrazione ma che avrebbero dovuto, per tempo, differenziare le loro fonti e mitigare la loro bulimia energetica.

Questo vale anche ovviamente per i trasporti: la movimentazione coatta e irrazionale di merci relega a pure illusione i consumi a km zero con quello che ciò comporta in sprechi energetici e inquinamento. In altri termini: se dovessimo arrivare a dovere razionare le risorse energetiche quanti cittadini dovremmo esporre alle basse temperature per produrre 1 km. quadrato di pavimenti ceramici? Nessuno trascura, ovviamente, gli effetti sociali negativi di una vera e seria crisi della base produttiva ma non si può continuare ad accreditare , in maniera nebulosa, l’ipotesi di una fornitura energetica equamente distribuita fra tutti.

Circa i rischi di inquinamento (a) e di incidente (b)

  1. Dai progetti relativi al rigassificatore al momento resi pubblici si deduce un impatto ambientale sanitario veicolato in particolare da cloro, temperature e rilascio in atmosfera di metano:

1) Il cloro; necessario per la disinfezione dell’impianto; le quantità di acque clorate reimmesse nell’ambiente naturale dall’impianto sarebbero 18.000 metri cubi /ora; ipotizzando un trattamento con 0.2 mg/litro la immissione di cloro sarebbe di 3.6 kg./ora di 86.4 kg. ogni 24 ore e di 31.536 kg. anno; il cloro immesso in mare si combinerebbe con le sostenze organiche naturalmente presenti nelle acque a formare quantità non facilmente prevedibili di trialometani fra cui certamente il cloroformio; si formerebbe cioè una enorme quantità di sostanze sensibilizzanti e cancerogene per l’uomo; gli studi epidemiologici che depongono per un’evidente azione cancerogena riguardano le acque “potabili” quindi ingerite ma i trialometani si assorbono anche per vie diverse da quella digestiva e nella clorazione delle acqua (che si continua a fare pressoché in tutto il mondo) si fa un calcolo costi/benefici tra rischio cancerogeno e biologico; parimenti, sia per l’acqua potabile che per le piscine, la minimizzazione dei residui di cloro è oggi un obiettivo igienistico- preventivo unanimemente riconosciuto; se il cloro della “potabilizzazione” risponde a un calcolo costi/benefici , il cloro dell’impianto di rigassificazione è totalmente eliminabile alla fonte senza che ciò induca rischi biologici o epidemici , semplicemente, DECIDENDO DI NON REALIZZARE L’IMPIANTO

2) le temperature; la “restituzione” di acqua (sempre 18.000 metri cubi/ora) con temperatura di sette gradi inferiore a quella prelevata – come già altri osservatori e critici hanno rilevato – è suscettibile di indurre uno squilibrio negativo nella condizione naturale e fisiologica del corpo ricettore che certamente non è stato studiato sufficientemente in particolare per quello che riguarda la balneabilità (già compromessa dalla iperclorazione delle acque) e le condizioni di vita della fauna ittica

3) il rilascio di metano; gas altamente climalterante… Il rilascio, in parte “fisiologico” e in parte accidentale, comporterà un impatto 25 volte superiore a uguali quantità di CO2 con gli effetti che è ovvio immaginare,

  1. Per quel che riguarda i rischi di incidente; si è già detto di Viareggio dove un vagone deragliato ha devastato pesantemente l’area del quartiere confinante con la ferrovia causando la nota strage del 2009 ; ancora oggi si discute sulla manutenzione non eseguita ai vagoni ferroviari, sui picchetti a terra che hanno lacerato un serbatoio e che avrebbero dovuto essere rimossi da tempo e sul ruolo che avrebbe potuto avere un muro di sbarramento (inesistente) a protezione delle abitazioni vicine (avrebbe potuto ridurre i danni?); le vicende giudiziarie seguite alla strage di Viareggio non hanno migliorato le relazioni fra istituzioni e cittadini, hanno alimentato piuttosto la sfiducia di questi ultimi nei confronti della “giustizia” e della effettiva volontà/capacità delle istituzioni di adottare criteri e prassi di prevenzione primaria; ovviamente lo scenario di rischio relativo alle navi metanifere è ben diverso da quello di vagoni ferroviari che trasportano gpl ma per Ravenna si tratta di rischio comunque evitabile ed eliminabile alla fonte; peraltro il dare per scontato che la nave rigassificatrice avrà una qualche utilità ancora nella seconda metà del 2024 è un’idea (come abbiamo già detto) conseguente all’ipotesi di una guerra di lunga durata… Ma una guerra di lunga durata non fa di quell’impianto (proposto in sostituzione del gas russo) un obiettivo bellico? Come si va ipotizzando per quanto è accaduto al gasdotto Nordstream … NON SI RISCHIA CIOE’ DI COLLOCARE A RAVENNA UN OBIETTIVO MILITARE? TANTO PIU’ QUANTO PIU’ SI INSISTE SUL RUOLO DEL RIGASSIFICATORE PER RIMPIAZZARE UN SESTO DELLA FORNITURA RUSSA PRE-BELLICA? I recentissimi eventi che hanno coinvolto il gasdotto Nord Stream – al di là delle polemiche su dinamica e responsabilità – dovrebbero far riflettere sulla possibilità di un certo tipo di attacchi rivendicati o no in futuro. In conclusione: pur essendo i casi e gli eventi noti e più volte citati nel dibattito sul rigassificatore di Ravenna , alleghiamo una cronistoria degli enti che si sono verificati di recente a livello planetario.

Gli enti che fanno parte della Conferenza dei servizi

Dichiarare che sono 40 ha l’effetto di un esercizio di ipnosi che vorrebbe indurre nel cittadino la falsa credenza di essere “protetto”. Il cittadino (pensano i proponenti e il commissario) crederà che con la sorveglianza di 40 enti sarà certamente al sicuro; dalla disamina degli enti citati ne vediamo alcuni le cui competenze in materia di prevenzione e sicurezza sono quantomeno dubbie. Tuttavia non vogliamo sottovalutare eventuali competenze a noi sconosciute. Snam avrebbe già effettuato: 1) valutazione di impatto sanitario; non è tuttavia dato di conoscerla; 2) idem: non si conoscere «il modello di dispersione termica e chimica in ambiente marino in fase di esercizio»; ciononostante chi propone il progetto rassicura che gli impianti «avranno impatti minimi che Snam si impegna (!) a tenere entro limiti significativamente inferiori a quelli previsti dalla legge». Si tratta delle rassicurazioni di rito che chiunque proporrebbe ma che rimangono aleatorie e prive di contenuti. Occorre essere precisi e supportare le affermazioni e le previsioni con dati concreti: quanto cloro verrebbe usato, quale scarto termico , quali rilasci di metano sono prevedibili, quali misure per la prevenzione degli incidenti. Il presunto mancato superamento dei “limiti di legge” è quello asserito dai padroni dell’Enichem nel recente processo per l’amianto: il che dimostra che storicamente l’impegno e addirittura la convinzione di non aver superato i “limiti di legge” non coincide con la salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica.

Rimane un interrogativo: chi valuta e valida criticamente l’impatto sanitario? Per il modello di dispersione termica e chimica , presumiamo, sia previsto il monitoraggio da parte di Arpae (ente che viene citato nella documentazione messa a disposizione dalla Regione). Fermo restando che l’orientamento dei cittadini è verso la “non delega” anche se Arpae è presente al tavolo della Conferenza, è inevitabile chiedersi se la valutazione di impatto sanitario sarà affidata alla Ausl ente che (per un mero lapsus?) non è citato fra i 40. E’ evidente che la eventuale presenza della Ausl richiamerebbe comunque, per prudenza, il criterio della “non delega” e in maniera ovviamente rigorosa (certamente per quello che ci riguarda) visti i pregressi rapporti fra associazioni e Ausl: non abbiamo mai avuto risposta alle nostre richieste di dati sulla presenza di fibre di amianto nell’acqua “potabile” e allora riusciremo, noi cittadini, a conoscere i dati sulla dispersione e crescita di cloro nell’acqua a Punta Marina e dintorni dove si immergeranno i bagnanti?

Attendiamo dunque di conoscere le valutazioni della Snam, di conoscere le eventuali valutazioni critiche (o l’eventuale validazione da parte di Ausl e Arpae) e di poterci pronunciare anche noi , autonomamente, sulla fondatezza e attendibilità delle stesse. Se i fautori della rigassificazione a mare minimizzano la questione del cloro equiparandola alla portata dell’impatto nelle comuni piscine, aspettiamo di conoscere i dati quantitativi , le sostanze a cui il cloro utilizzato nel processo di rigassificazione darà vita combinandosi con altre molecole contenute nell’acqua; aspettiamo di valutare la tossicologia e l’impatto sanitario (acuto e cronico, immediato e dopo lunga latenza) di tutte queste neoformate sostanze; prendiamo atto che, al momento, possiamo contare solo su vaghe e generiche rassicurazioni provenienti da SNAM ; per contro la Ausl ai sensi dell’articolo 20 della legge di riforma sanitaria (833 del 1978) ha il compito istituzionale di redigere la mappa dei rischi presenti nei luoghi di lavoro e nel territorio. Ciononostante non ci risultano analisi e valutazioni effettuate da questo ente salvo che la Regione Emilia-Romagna, considerando la Ausl una sua emanazione non abbia ritenuto superfluo l’esercizio di una valutazione autonoma … stante il parere favorevole ampiamente dichiarato appunto dalla Regione E-R con ciò inducendo una palese forzatura rispetto alla separazione dei poteri e ai compiti specifici degli organismi tecnici competenti in materia di sanlute pubblica.

CONCLUSIONI

Il progetto del rigassificatore perpetuerebbe una perniciosa dipendenza dalle fonti fossili di energia.

Non comporterebbe un aumento della autonomia energetica dell’Italia.

Rappresenterebbe un obiettivo militare nel caso malaugurato di un prolungamento del conflitto bellico.

Sarebbe un danno per l’ambiente, l’ecosistema e la salute pubblica.

Il progetto non risponde agli interessi della collettività e sarebbe imposto a una comunità totalmente esautorata da decisioni e scelte maturate fuori dalle più elementari norme della democrazia.

Il progetto è da respingere con contestuale rottamazione della nave BW Singapore.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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